"Prima ancora che il diritto a emigrare, va riaffermato il diritto a non emigrare, cioè a essere in condizione di rimanere nella propria terra". Benedetto XVI


lunedì 10 settembre 2012

Progetto Mikan, best practice

Se il termine best practice,  traducibile in italiano come  migliore pratica o migliore prassi,  definisce  in genere le esperienze più significative, o comunque quelle che hanno permesso di ottenere migliori risultati, nei più svariati contesti, soprattutto aziendali, possiamo sicuramente dire che il Progetto Mikan si sta rivelando una best practice nel comparto degli interventi di promozione e sviluppo condotti da associazioni di volantariato in ambito rwandese.Se andiamo ad analizzare le componenti vincenti del progetto scopriamo  che nella sua estrema semplicità il Progetto Mikan si caratterizza per: una forte responsabilizzazione dei destinatari dell'aiuto sia in termini di impegno personale ( formazione per essere in grado di avere cura della propria capra fino al momento dello svezzamento del primo nato) sia in termini di lavoro di gruppo per il raggiungimento dell'obiettivo della consegna di 25 caprette ad altrettante famiglie, una buona organizzazione fatta  di  regole di funzionamento chiaramente definite e codificate in un manualetto. Importante  è altresì il contenuto investimento monetario ( circa 800 euro per ogni nuovo gruppo promosso) in grado di innescare un processo moltiplicativo delle caprette  a costo zero ( salvo i costi organizzativi). In sintesi: buona organizzazione con regole chiare e definite,   formazione e responsabilizzazione delle persone coinvolte, ottimo rapporto costi/benefici e la capacità di autofinanziare il Progetto. Possiamo trasferire queste semplici regole anche ad altri progetti?
 Proviamo,  per esempio, con il progetto di  allevamento di galline ovaiole.Per cominciare si dovrà pensare a una pianificazione puntuale del progetto che ne preveda  uno sviluppo  graduale nel tempo ( iniziando con un numero limitato di galline), alla formazione e alla responsabilizzione delle persone coinvolte, rendiamo il progetto in grado di autofinanziarsi reinvestendo nel progetto stesso i guadagni  del primo anno  di attività. Se questi semplici regole  venissero condivise dai nostri amici rwandesi si potrebbe legittimamente pensare a  progetti realizzati meglio e in numero superiore con beneficio per tutti.  

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