Il Parlamento rwandese
ha ufficialmente dato il via ieri all’iter legislativo che porterà alla modifica
dell’art. 101 della costituzione, con il conseguente cassamento del vigente limite
di due mandati presidenziali. La modifica andrà sottoposta a un referendum confermativo
popolare; una mera formalità, visto che in alcune settimane più di 3,7 milioni
di rwandesi, su un elettorato di circa 6 milioni, hanno firmato, più o meno
spontaneamente, una petizioni che chiedeva appunto al Parlamento di modificare l'articolo 101
della Costituzione. Unica voce ufficiale contraria alla modifica è quella del
piccolo partito di opposizione, il Partito Democratico Verde, che ha anche
fatto ricorso alla Corte Suprema in opposizione alla revisione costituzionale,
senza peraltro trovare un solo avvocato in tutto il Rwanda che si facesse
carico di sostenere tale ricorso. All’esito dello scontatissimo iter di
revisione costituzionale Paul Kagame potrà tranquillamente candidarsi, nel
2017, per essere “incoronato” presidente per la terza volta. A quel punto si
potrebbe dischiudere in Rwanda lo stesso iter percorso da Singapore, modello spesso citato dall’attuale
leadership rwandese, in cui il padre
della patria Lee Kuan Yew, dopo
aver governato per trentanni e aver portato il paese ad un alto livello di
sviluppo economico a cui non ha corrisposto un analogo trend delle libertà
democratiche, i detrattori lo hanno infatti dipinto come una personalità autoritaria,
ha passato il testimone al figlio Lee Hsien Loong, attuale primo ministro. Per
la simpatia che ci lega al Rwanda non
osiamo pensare ad altro scenario che ci viene sempre dall’Asia, specificatamente
dalla Corea del Nord. Lì furono più sbrigativi, per il padre della patria Kim
Il-sung fu introdotta direttamente in costituzione la figura del "presidente
eterno”: fu l’inizio di una nuova dinastia che vede attualmente regnante su un
paese in piena miseria l’ineffabile nipote Kim Jong-un.
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