"Prima ancora che il diritto a emigrare, va riaffermato il diritto a non emigrare, cioè a essere in condizione di rimanere nella propria terra". Benedetto XVI


domenica 23 marzo 2025

Il Villaggio Kwizera

Eravamo all’inizio di dicembre del 2001, quando i primi volontari dell’Associazione Kwizera arrivarono in Rwanda, dopo un lungo viaggio aereo, pagato di tasca propria da ognuno, come sarebbe stato per tutti i viaggi successivi. Cominciarono da Muhura, nel nord del Paese, a prendere i primi contatti con una realtà estremamente diversa e lontana; sono i primi piccoli passi. A Muhura, l’impegno dell’Associazione si concretizza nell’acquisto di un terreno, nei pressi dell’ospedale locale, da destinare alla costruzione di uno spaccio e di alloggi per infermieri e personale sanitario. Negli anni successivi, i volontari si sposteranno più a sud, nei pressi della città di Gitarama, sulla collina di Cyeza, dove già operano le Suore Oblate dello Spirito Santo, originarie della diocesi di Lucca. Qui, in fasi successive, vengono acquistati diversi appezzamenti di terreno, da destinare alla messa a coltura, per produrre alimenti da destinare alla mensa scolastica della scuola superiore di Cyeza. Poi, prendendo confidenza con la nuova realtà, gli impegni diventano più importanti. Viene acquistato un terreno su cui i volontari curano direttamente i lavori di edificazione di una stalla che sarà ultimata nel 2003. Ultimata la stalla, i volontari lasciano Cyeza e fanno ritorno nella diocesi di Byumba da dove erano partiti; Muhura si trova, infatti, in quella diocesi. Qui, operando in stretto contatto con l’economato diocesano, al tempo retto da don Paolo Gahutu, comincia un nuovo percorso che negli anni successivi porterà frutti copiosi. I quindici anni che seguiranno saranno anni di intensa attività, valorizzata anche dall’esperienza che i volontari andavano via via maturando sul campo, confrontandosi con una realtà nuova e complessa. Rivolgendosi oggi, a quasi venti anni di distanza dal quel muovere incerto delle prime missioni, a guardare quanto realizzato in questi anni, grazie all’impegno dei volontari, il sostegno dei benefattori e la continua vicinanza dei tanti amici, si fa una scoperta per certi versi sorprendente. Raggruppando in un unico luogo tutte le realizzazioni portate a termine in questi anni, l’Associazione avrebbe dato vita a una piccola città o, se preferite, a un grande villaggio. Ecco, forse, è meglio parlare di villaggio, il Villaggio Kwizera, il Villaggio della speranza. E allora andiamo a vedere, insieme, come questa realtà ha preso corpo al susseguirsi delle missioni annuali. All’inizio ci sono state due fattorie: la prima a Cyeza e poi quella edificata sulla collina di Nyinawimana, che ha visto il terrazzamento 43 ettari di collina, la realizzazione di una stalla e la fornitura di una quindicina di mucche da latte, la realizzazione di una cisterna di 150.000 litri, di un magazzino di stoccaggio e di un alveare. Proprio su questa collina di Nyinawimana (che in kinyarwanda significa Madre di Dio) potremmo idealmente raggruppare tutte le varie strutture che vanno a comporre il nostro Villaggio. Per cominciare, senza necessariamente rispettare la sequenza cronologica delle varie realizzazioni, vi troverebbero collocazione le 47 casette unifamiliari, edificate per dare un tetto ad altrettante famiglie, facenti parte della comunità batwa di Kibali, fino ad allora alloggiate in ricoveri di fortuna fatti di frasche e teli. Naturalmente un simile agglomerato necessita di tutte le strutture a supporto per il dispiegarsi di una vita quotidiana dignitosa. Ed allora ecco che l’acquedotto, come quelli realizzati a Kiruri ed a Rubaya e le quasi duecento cisterne per la raccolta dell’acqua piovana distribuite nell’ambito del Progetto Amazi (acqua in kinyarwanda), oltre che la linea elettrica, come quella stesa sempre a Kiruri, garantirebbero l’immediata vivibilità delle casette. Appena preso possesso delle nuove case, bisogna pensare ai bambini: rispondono alla bisogna un completo polo scolastico formato da un asilo, come l’asilo Carlin di Kagera gestito direttamente da Kwizera, e due edifici scolastici quali quelli realizzati rispettivamente a Kibali e a Kiruri, arricchiti di un locale servizi a supporto, oltre che di una grande sala polifunzionale intitolata al prof Felice Martinelli, tutti dotati degli arredi necessari. In linea con i principi ispiratori dell’impegno associativo non poteva mancare una presenza cristiana all’interno della comunità, per questo si è pensato a tutto quanto serve a una comunità parrocchiale; per cominciare la Chiesa, come quella di Bugarama, la casa parrocchiale e la sala della comunità quali quelle della parrocchia di Mutete, per finire con un vero e proprio centro parrocchiale come quello di Nyagahanga, con il suo oratorio, il campo di basket e le aule di formazione. Il nostro Villaggio può anche contare sulla presenza discreta di una comunità claustrale di suore clarisse che si trovano nel monastero di Nyinawimana alla cui realizzazione l’Associazione ha concorso, garantendo altresì sostegno alle attività agricole portate avanti dalla comunità. Laboratori, come quelli realizzati a Bungwe e ancora a Nyagahanga, completano la dotazione del nostro Villaggio Kwizera. Senza dimenticare che la comunità di villaggio è fatta di famiglie e di bambini; per questo si è cercato di dare una risposta ai loro bisogni con il Progetto Adozioni che, attraverso il sostegno a oltre 300 bambini, ha portato un vero aiuto ad altrettante famiglie e il Progetto Mikan che, coinvolgendo oltre 5.000 famiglie, ha dato loro, attraverso il dono di una semplice capretta, un segno di vicinanza e di speranza. La stessa speranza che si è voluto trasmettere alle giovani ragazze madri, riservando loro una speciale edizione Baby dello stesso Progetto Mikan. Poi ci siamo accorti che il nostro Villaggio mancava di un presidio sanitario, così abbiamo dato vita al Posto di sanità di Mubuga, intitolato ad Alfredo Pierotti, donato alla diocesi di Byumba e gestito dal centro sanitario di Kisaro. Fanno da supporto a questo nostro villaggio iniziative quali: il sostegno ai progetti agricoli dei batwa, momenti formativi e professionalizzanti e tutto quanto concorre all’armonico dispiegarsi di una vita comunitaria. Suggella la quasi ventennale presenza di Kwizera in Rwanda l’edificazione della Casa di Catia, dedicata alle ragazze madri, a ricordo di Catia Asti, una delle fondatrici dell’Associazione.                                    ( Tratto da: Dentro il Rwanda)

mercoledì 12 marzo 2025

Il mondo dell'informazione in una conferenza di mons. Angelo Riva

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Ieri sera in un’interessante conferenza, tenutasi a Grosio in preparazione della festa patronale di San Giuseppe, il direttore de Il Settimanale della diocesi di Como, mons. Angelo Riva, ci ha dato una rappresentazione dei chiaroscuri che caratterizzano l’attuale mondo dell’informazione. Partendo dallo scenario in cui viviamo nell’era della digitalizzazione, ci ha condotto attraverso l’infosfera in cui siamo immersi, allertandoci sui pericoli di manipolazione a cui siamo esposti dall’overdose di infodemia che rischia di travolgerci. Sommersi come siamo dalle insidie dei montanti e variegati populismi in cui, sempre più spesso, la verità, quando non è soppiantata dalla post verità, è piegata alle inevitabili polarizzazioni politiche, psicologiche, informative e comunicative, di cui i talk show sono i momenti liturgici. Tutte queste sono manifestazioni del precario stato di salute dell’informazione piagata dai tanti casi di disinformazione in cui tra fake news, complottismi e negazionismi si è persa la bussola della verità. Non bastasse la disinformazione dobbiamo guardarci anche dalla malinformazione che ci viene subdolamente somministrata tra semplificazioni, decontestualizzazioni, criminalizzazioni linguistiche ed hate speech. Nel pur variegato panorama tratteggiato dall’autorevole oratore dobbiamo tuttavia confessare che non siamo riusciti a trovare collocazione alla fattispecie, da noi più volte sollevata, del silenzio che circonda le prese di posizione della Chiesa cattolica africana in materia di migrazioni.    
Forse perché, come sottolineato da don Riva, il tema migratorio è quello che più risente del fenomeno della malinformazione: anche se gli esempi citati forse non erano del tutto convincenti. Tornando a noi. Proprio in materia di migrazioni, in quale categoria di disinformazione o malinformazione dovremmo appunto inquadrare la mancata pubblicazione da parte della stampa cattolica italiana dell’appello che l'Assemblea plenaria delle Conferenze episcopali dell'Africa Occidentale, raggruppante i vescovi dei 16 Paesi dell'area, nel 2019,  emanò sul fenomeno migratorio che si chiudeva con questo chiaro invito rivolto ad ogni giovane africano: “Non lasciarti sviare da false promesse che ti condurranno alla schiavitù e ad un futuro incerto. Con il duro lavoro e la perseveranza puoi avere successo in Africa   e, cosa più importante, rendere questo continente una terra prospera”?   

Forse siamo in presenza di una fattispecie vecchia come il mondo, che nell'infosfera trova una declinazione più sofisticata: la censura. Di cui peraltro ieri sera non si è parlato, ma che nella stessa giornata di ieri ha trovato addiritura una sua consacrazione in una proposta di legge avanzata dall’on. Calenda (leggi qui).                                                                                                                                                               

sabato 1 marzo 2025

Attualita' di una spy story di Le Carré sul Kivu

“Un solo Kivu, Salvo figlio mio…In pace con se stesso, sotto la bandiera del Congo, con la benedizione del Signore…Libero dalla peste  dello sfruttamento straniero, ma disposto ad assorbire coloro che vogliono sinceramente condividere il dono divino delle sue risorse naturali e l’illuminazione della sua gente…Prego solo che tu viva abbastanza a lungo da vedere l’alba di quel giorno, Salvo, figlio mio.”Questo l’auspicio che Salvo, il “Figlio del peccato" di un missionario irlandese e di una ragazza congolese, porta con sé, dopo una sofferta infanzia trascorsa in un istituto religioso nella provincia del Kivu, e poi nella sua adolescenza in Inghilterra, dove ha perfezionato i suoi studi e si è  sposato con una giovane giornalista in carriera.Bruno Salvador,  detto Salvo,  è il protagonista di un romanzo, Il canto della missione, ed. Mondatori 2007, del noto scrittore di spy story, John Le Carré, dove il Kivu e il suo tragico destino fanno da sfondo all’intera storia. A ventotto anni, Salvo è uno stimato e richiestissimo interprete di lingue africane, delle quali conosce le più sottili sfumature, e sono in molti a richiedere i suoi servigi, compreso il governo britannico e le sue agenzie, sevizi segreti compresi. E' proprio per conto di  questi che viene coinvolto in un summit segreto, che si tiene in una sperduta isola del Mare del Nord, tra un leader africano che intende realizzare un colpo di stato nel Kivu e tre signori della guerra che dovrebbero supportare il colpo di stato: un esponente dei banyamulenge i tutsi congolesi, un altro dei  mai mai e il terzo un ricco signore, educato in Francia,  esponente degli imprenditori di Bukavu.Facendo da interprete,  durante gli incontri ufficiali,  ma soprattutto origliando anche le confidenze  che i protagonisti si scambiano, off the record, utilizzando di volta in volta le lingue locali - il kinyamulenge piuttosto che il kinyarwanda, lo shi o lo swahili- convinti che nessuno li possa capire, Salvo  apprenderà  i reali obiettivi del summit. La presa del potere da parte del nuovo  leader, oggetto ufficiale del summit, non  è altro che la copertura che serve ad un consorzio straniero per appropriarsi delle ricchezze della zona. Questa scoperta cambierà l’esistenza  di Salvo che, una volta rientrato  a Londra dal  summit,  in uno slancio idealistico, tenta il tutto per tutto per sventare le trame dei protagonisti del summit che getterebbero nella guerra civile la sua terra d’origine relegandola a un destino ben lontano dal sogno del vecchio padre.Pagherà di persona questo suo impegno civile, in compenso il colpo di stato programmato non avrà luogo.Al di là di un finale che lascia un po’ di amaro in bocca, il romanzo potrà essere gustato da chi conosce un po’ i luoghi e la storia di quella travagliata zona ai confini tra Rwanda e Congo.