Il
recente arrivo, nella parte orientale della Repubblica democratica del Congo
(RDC) controllata dal movimento ribelle M23, di circa 200 famiglie provenienti
dal Rwanda è il nuovo elemento che va ad alimentare le tensione in un’area già
sufficientemente calda.I contendenti in campo danno una diversa versione dei
fatti: da una parte il movimento M23 parla di famiglie tutsi congolesi che
ritornano nel territorio d’origine, dall’altra le autorità congolesi ritengono
si tratti di profughi rwandesi recentemente espulsi dalla Tanzania. Il tutto in
assenza di una spiegazione dell'Alto Commissario delle Nazioni Unite per i
Rifugiati (UNHCR), che dovrebbe sovraintendere a questi tipi di problema, e del
Rwanda firmatari, nel 2010, di un accordo con la RDC per regolare appunto la
gestione dei profughi dell’area .Nell’un caso come nell’altro l’UNHCR dovrebbe,
infatti, fornire delle spiegazioni. Se fossimo in presenza di profughi
congolesi bisognerebbe comprendere come mai rientrino proprio ora in Congo solo queste 200
famiglie delle decine di migliaia di sfollati congolesi che da anni marciscono nei campi profughi rwandesi, gestiti
appunto dall’UNHCR ( vedi post). Nell’altro caso,
sono comprensibili le preoccupazioni del governo congolese che vedrebbe un’infiltrazione
di profughi rwandesi sul proprio territorio che potrebbero facilmente diventare,
in futuro, motivo d’intromissione del Rwanda a tutela di propri connazionali,
secondo una strategia consolidata delle autorità rwandesi che si sentono
impegnate a proteggere le proprie minoranze nei paesi vicini ( un principio
questo che ha sempre creato non pochi problemi in altre parti del mondo, a
partire dall’Europa della prima metà del secolo ventesimo).E’ anche questa, molto
probabilmente, la ragione alla base della decisione delle autorità tanzaniane di
espellere, nelle settimane scorse, in maniera repentina e piuttosto brutale, alcune migliaia di rwandesi residenti
da anni in Tanzania, di cui, secondo qualcuno, farebbero appunto parte le 200 famiglie di cui si parla. Come si vede l’episodio delle 200 famiglie di profughi,
all’apparenza secondario rispetto alle dinamiche militari del conflitto in
corso nel Kivu, non aiuta certo ad attenuare le forti tensioni in essere e, semmai, disvela le strategie di alcuni degli attori
della crisi.
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