"Prima ancora che il diritto a emigrare, va riaffermato il diritto a non emigrare, cioè a essere in condizione di rimanere nella propria terra". Benedetto XVI


lunedì 29 giugno 2020

Dentro il Rwanda: l'Introduzione

Pubblichiamo qui di seguito l'Introduzione a Dentro il Rwanda, il libro disponibile sulla piattaforma Amazon (clicca qui).

Introduzione

La prima volta che sentii parlare del Rwanda fu, come per molti, nella primavera del 1994 quando giunse a conclusione nella maniera più tragica la feroce guerra civile che, da anni, insanguinava quel piccolo stato africano. Di quel periodo ricordo le immagini che venivano trasmesse dai networks internazionali, in cui si alternavano i corpi, sfigurati dai colpi di machete, abbandonati sui cigli delle strade o trascinati dalle correnti dei fiumi, con le colonne di profughi che scappavano dagli orrori di simile carneficina. Proprio allora arrivarono a Grosio tre di quei profughi: Cirillo, Paolo e Roberto, tre seminaristi sfuggiti a tale scempio grazie a un ponte aereo della Croce Rossa che da Kigali li portò in Italia. Ospitai per qualche giorno Cirillo e conobbi gli altri due. Tutti e tre tornarono ben presto ai propri studi in un collegio romano, sempre seguiti dalla comunità di Grosio in questo loro percorso verso il sacerdozio. I rapporti si mantennero nel tempo grazie anche ai frequenti soggiorni presso le famiglie grosine. Per anni le tragiche storie che i tre avevano alle spalle rimasero ammantate di una cortina mista di dolore, paura e pudore. Ordinati sacerdoti, don Cirillo e don Roberto rimasero in Italia, mentre don Paolo fece coraggiosamente ritorno in Rwanda. Altri seminaristi ruandesi vennero a studiare a Roma e conobbero l’ospitalità grosina. Proprio aderendo all’invito di uno di questi ad assistere alla sua ordinazione sacerdotale, che si teneva in Rwanda, scaturì l’occasione per il primo viaggio africano. Così nell’agosto del 2003, con mia moglie Daniela partimmo per un viaggio che forse non poteva definirsi banalmente turistico, come passare una settimana a Malindi, ma che non era ancora alimentato dalla fiammella dell’impegno.Sul volo Bruxelles-Kigali successe qualcosa che nella sua banalità segnò, nel tempo, quel viaggio. Dopo oltre un’ora di volo, quando ci trovavamo sulla verticale di Roma, il responsabile di cabina annunciò che a causa di imprecisati problemi tecnici l’aereo doveva far rientro alla base. Un signore, seduto davanti a noi, che non aveva prestato attenzione all’annuncio, vedendo il trambusto creatosi tra i passeggeri si rivolse, con accento toscano, verso di noi per chiedere ragione dell’accaduto. Gli risposi che c’erano problemi tecnici e che dovevamo fare rientro a Bruxelles e che comunque l’hostess aveva tranquillizzato tutti escludendo che ci fossero rischi; aggiunsi “e noi facciamo finta di crederle”. Atterrammo felicemente a Bruxelles accompagnati sulla pista da un imponente dispiego di autopompe dei vigili del fuoco. Finì tutto bene e, all’indomani, ripartimmo per Kigali. Nella fase di sbarco mi imbattei nuovamente nel signore del giorno prima, che si presentò come appartenente a un Gruppo missionario toscano che avrebbe passato qualche giorno nella diocesi di Byumba, la stessa nostra destinazione, impegnato nella realizzazione di non ricordo quale progetto. Era in perfetta tenuta da sbarco in Africa, con tanto di cappello in pelle da cacciatore da safari. Tra me e me, lo confesso, pensai ironicamente “ecco uno che vuol cambiare il mondo”! Nei giorni successivi non ebbi più modo di rivederlo. Con Daniela passammo in Rwanda una decina di giorni, sempre accompagnati da don Paolo Gahutu impegnato a spiegarci quello che passava sotto i nostri occhi e, soprattutto, quello che non vedevamo. Dovemmo misurarci con i segni esteriori lasciati dalla guerra civile, ma, ancor più, con le lacerazioni interiori che la stessa aveva lasciato nelle persone con cui venivamo a contatto. Molte, qualunque fosse la loro appartenenza tra le parti in conflitto, piangevano la morte cruenta di qualche congiunto. Una sorta di cappa opprimeva la comunità ruandese prigioniera dei fantasmi del suo recente passato, tanto che la diffidenza e la paura dell’altro erano la cifra caratterizzante i rapporti interpersonali, di cui noi stessi eravamo, di volta in volta, testimoni e vittime. Al rientro tutto fu diverso. Nonostante le vaccinazioni e le pastiglie assunte, un virus insidioso s’insinua subdolamente in noi: l’interesse per quello che si è visto, la simpatia per la gente che si è incontrata, il tarlo per l’incolmabile sproporzione tra le necessità che ti vengono sbattute in faccia da una realtà dura e la pochezza del nostro impegno. Allora si comincia a smanettare su internet per raccogliere materiale di ogni tipo per conoscere meglio quella realtà con cui ci si è scontrati. E’ qui che nelle videate che Google rilascia dopo aver digitato “Rwanda” fa la sua comparsa il sito dell’Associazione Kwizera. Nel 2003 già vi sono illustrate le prime realizzazioni portate a termine e i progetti per l’immediato futuro. Parlando con Don Paolo scopro che sono “quelli di Lucca”, impegnati nella diocesi di Byumba. Dopo averli seguiti da lontano su internet nel progredire del loro impegno, che inanella via via realizzazioni sempre più importanti, finalmente nel 2006 in occasione della permanenza di Don Paolo a Barga si presenta l’occasione per fare la conoscenza di “quelli di Lucca”. Ci si trova alla sede dell’Associazione. Sulla porta dell’ufficio, unitamente a mia moglie, vengo accolto con un sorriso smagliante da quel signore del volo Bruxelles-Kigali. Ci riconosciamo subito, anche se Angelo è senza cappello da safari. Un abbraccio suggella l’incontro. Da lì, unitamente a Franco, il presidente di Kwizera, inizia un percorso comune fatto di successivi incontri, di confronti di idee, di approfondimenti su possibili nuovi progetti. Inizia anche l’impegno diretto nelle missioni annuali promosse dall’Associazione. Nel loro succedersi, inizia un percorso di   conoscenza del contesto sociale in cui si opera e parallelamente di assistere al progredire, lento ma deciso, nella ricostruzione del Rwanda post ’94 e nella ricucitura lenta, sofferta, a volte combattuta, del tessuto sociale lacerato da tanto sangue versato. Oggi, alla quindicesima missione, siamo testimoni di un Rwanda diverso. Pur tra immancabili contraddizioni, siamo in presenza di un Paese che sta recuperando un clima comunitario più confidente e che legittimamente si accredita, per i progressi sociali, nella sanità e nell’istruzione, ed economici conseguiti, come esempio di sviluppo per l’intero continente. Se gli osservatori più critici non mancano di sottolineare i ritardi ancora evidenti sul terreno delle conquiste democratiche – ma attenzione a voler misurare l’Africa con i nostri criteri di giudizio occidentali- ci pare di poter cogliere, anche su questo fronte, tanti piccoli segnali che possono preludere a possibili sviluppi positivi. Che la prossima sfida sia appunto quella di attivare un processo che porti a una dinamica di potere pienamente democratica, ne è cosciente lo stesso presidente ruandese, Paul Kagame, l’artefice del successo del Rwanda, spesso accusato di essere un dittatore. In una recente intervista al settimanale Jeune Afrique, dopo aver sottolineato i buoni risultati conseguiti in questi venticinque anni e aver richiamato i suoi ministri e amministratori “a fare ancora meglio”, Kagame non ha mancato di sottolineare come democrazia e crescita debbano marciare di pari passo, perché “non c'è democrazia se le condizioni socio-economiche non sono soddisfatte e le disuguaglianze sono troppo grandi. E non c'è crescita sostenibile senza lo stato di diritto”. Ecco quindi le prossime sfide che attendono il Rwanda se si vuole dare continuità al trend di crescita economica intrapresa: ridurre le disuguaglianze tra città e campagne e marciare decisi sulla strada che porta a uno stato di diritto, senza dimenticare la necessità di creare una classe politica che se ne faccia interprete.In attesa di poter assistere all’attuarsi di questi auspici, con questo libro mi piace accompagnare il lettore dentro il Rwanda, per aiutarlo a coglierne alcuni degli aspetti più profondi, con particolare riguardo all’umanità che lo abita.Nella prima parte del libro, sintesi a cura di Tony Corti del mio precedente lavoro Aiutiamoli a casa loro Il modello Rwanda, il lettore viene accompagnato alla scoperta dell’odierno Rwanda, così come si presenta ai milioni di visitatori che annualmente si recano nel Paese, non solo per turismo. Un inquadramento storico, anche con riferimento alla tragedia del 1994, fa da cornice alla narrazione del percorso, fatto in questi ultimo quarto di secolo, che ha portato il Rwanda ad assurgere ad esempio di sviluppo per l’Africa. Nella seconda parte sono raccolte annotazioni e riflessioni scritte nel corso degli anni, al susseguirsi delle diverse missioni effettuate in Rwanda, molte delle quali pubblicate come post sul mio blog Albe rwandesi e qui riprese indicando la data di pubblicazione

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