Riprendiamo dal libro Aiutiamoli a casa loro Il modello Rwanda questo contributo relativo a un argomento particolarmente dibattuto anche in Italia.
Come vigilare sul buon uso degli aiuti all'Africa
Come vigilare sul buon uso degli aiuti all'Africa
Uno dei rischi che
accompagnano la cooperazione internazionale è che gli aiuti che i paesi
sostenitori indirizzano verso i paesi africani finiscano per la gran parte
nelle tasche dei numerosi governanti corrotti, spesso pure incapaci, che
allignano nel continente africano. Simili malversazioni non possono però
mettere in discussione la politica degli aiuti, per due ordini di ragioni. La
prima: se togliamo ai paesi africani la possibilità di contare sugli aiuti
esteri, li priviamo dell’unica vera e reale occasione di crescita delle loro
economia e dello sviluppo delle rispettive società che ne potrebbe conseguire,
lasciando come unica alternativa quella di incentivare le migrazioni verso
l’Europa alla ricerca di nuove prospettive di vita. A quel punto il problema
graverebbe in toto sull’Europa, cui spetterebbe dare risposte al fenomeno
migratorio, senza peraltro poter contare sulla leva dell’aiutiamoli a casa
loro, intesa nella migliore delle sue accezioni, che, allo stato, rimane
l’unica reale alternativa all’accoglienza incondizionata, con tutte le ricadute
da tutti conosciute. La seconda: tagliare gli aiuti, perché non si è in grado
di assicurare che gli stessi siano correttamente finalizzati, significa alzare
bandiera bianca di fronte alla diffusa corruzione del ceto politico e
burocratico dei paesi africani e, di nuovo, abbandonare quei paesi a se stessi
e ai loro problemi. In realtà, i paesi donatori avrebbero gli strumenti per
intervenire su entrambi i fronti, a patto che, superando ogni recondito falso
senso di colpa circa il passato coloniale, siano disposti a interventi anche
“invasivi” su quei paesi: nella gran parte dei casi non si tratta di violare
una inesistente sovranità nazionale, ma molto più semplicemente la
suscettibilità dell’autocrate locale. Gli aiuti erogati, preferibilmente ai
bilanci dello stato, dovrebbero essere condizionati a standard comportamentali,
possibilmente condivisi dalla comunità dei donatori, a cui i governanti
africani dovrebbero sottostare e su cui dovrebbero vigilare, in primis,
autorità internazionali indipendenti e su cui dovrebbe farsi sentire anche
la società civile locale, il cui sviluppo dovrebbe trovare adeguato spazio nei
programmi d’intervento dei paesi donatori. Senza dimenticare che quando si
realizza un utilizzo corretto degli aiuti ricevuti, per capacità dei governanti
e/o per la vigilanza dei donatori, si innesca un circolo virtuoso, in cui il
buon uso fatto degli aiuti ricevuti ne richiama di nuovi: ne è una conferma
il Rwanda, giudicato dal Forum economico di Davos uno dei migliori
utilizzatori al mondo (7° nella classifica mondiale) dei fondi ricevuti dalla
comunità internazionale. I paesi donatori possono dire la loro anche sul fronte
del contrasto delle diffusa corruzione nella classe dirigente africana. Si
prenda il caso, citato dall’africanista Anna Bono in un suo recente articolo,
di quei due generali del Sud Sudan, avversari in patria nell’immancabile guerra
civile africana, che si trovano quasi condomini a Nairobi, dove si sono
acquistati un appartamento milionario che il loro stipendio, di qualche decina
di migliaia di dollari annui, mai avrebbe permesso loro di acquistare, se
non grazie alle integrazioni derivanti dalla corruzione. Ebbene, se le autorità
keniane fossero state costrette a rispettare le normative internazionali
antiriciclaggio che si applicano alle Persone esposte politicamente
(PEP-Politically Exposed Person), emanate a livello internazionale
dal GAFI (Gruppo di Azione Finanziaria Internazionale in inglese FATF
-Financial Action Task Force), forse quella transazione immobiliare non sarebbe
stata possibile. Infatti, l’adesione dello stesso Kenya all’ESAAMLG, il
gruppo dei paesi dell’Africa orientale e meridionale che si sono impegnati a
dare attuazione alle 40 raccomandazione dello stesso GAFI per il
contrasto del riciclaggio del denaro di fondi illeciti o ad altri reati, quali
la corruzione o concussione, avrebbe appunto richiesto il blocco della
transazione. E come quella transazione non sarebbero possibili le
numerose altre transazioni finanziarie che avvengono a tutte le latitudini da
parte di autocrati e loro parenti. Di per sé le normative a livello
internazionale ci sarebbero, il problema è tutta nella volontà dei singoli
paesi, occidentali ed africani, nell’applicarle e, soprattutto, con quale grado
di incisività. Infatti, quanti governanti africani possiedono,
direttamente o in maniera schermata, immobili a Parigi, Londra o New
York? Senza peraltro dimenticare che a fronte dei corrotti, esistono
sempre i corruttori, che nel caso saremmo noi occidentali, sempre pronti ad
allungare una mazzetta, più o meno grande, per accaparrarsi un buon affare.
Purtroppo, qualche fascicolo aperto per corruzione internazionale è giacente
anche presso i tribunali italiani.
Nessun commento:
Posta un commento