Qui di seguito riportiamo un passaggio di un’interessante
intervista apparsa sul sito cattolico on line La nuova Bussola quotidiana a Monsignor
Silvano Tomasi, fino a pochi mesi fa nunzio apostolico presso le Nazioni Unite
a Ginevra, missionario scalabriniano che
ha dedicato tutta la vita sacerdotale ai migranti e al tema delle migrazioni.
Si dice “aiutiamoli a casa loro”, ma anche questo slogan è oggetto
di feroci discussioni….
Dire che dobbiamo aiutare i potenziali migranti e i richiedenti asilo a casa loro è certamente una espressione ambigua. Perché da una parte vuol dire che non vogliamo prendercene cura adesso dove arrivano; ma dall’altra c’è un aspetto molto reale e molto vero, perché il problema si risolve alla radice, da dove partono queste persone. Allora però bisogna essere ben coscienti di tutto ciò che implica questa affermazione: non può essere una frase retorica e una scusa per lavarsi le mani davanti alle necessità attuali, ma è un impegno serio a lungo termine per cambiare la realtà politica sociale di questi paesi, un impegno paziente e duraturo.
Dire che dobbiamo aiutare i potenziali migranti e i richiedenti asilo a casa loro è certamente una espressione ambigua. Perché da una parte vuol dire che non vogliamo prendercene cura adesso dove arrivano; ma dall’altra c’è un aspetto molto reale e molto vero, perché il problema si risolve alla radice, da dove partono queste persone. Allora però bisogna essere ben coscienti di tutto ciò che implica questa affermazione: non può essere una frase retorica e una scusa per lavarsi le mani davanti alle necessità attuali, ma è un impegno serio a lungo termine per cambiare la realtà politica sociale di questi paesi, un impegno paziente e duraturo.
Che si concretizza in cosa?
La responsabilità internazionale è anzitutto quella di prevenire guerre e violenze che forzano centinaia di migliaia di persone a cercare rifugio altrove. Aiutarli a casa loro significa anche essere giusti nello sviluppare il commercio, nel garantire l’accesso ai mercati, dare insomma una possibilità di sviluppo e di partecipazione all’economia internazionale in maniera proporzionata alle loro capacità. E poi aiutarli a casa loro implica anche avere la preveggenza di facilitare in maniera giusta e proporzionata l’accesso alle nuove tecnologie, alle nuove medicine in modo che la popolazione sia sana, possa lavorare, e abbia quelle conoscenze che facilitano lo sviluppo in maniera adeguata ai loro bisogni.
La responsabilità internazionale è anzitutto quella di prevenire guerre e violenze che forzano centinaia di migliaia di persone a cercare rifugio altrove. Aiutarli a casa loro significa anche essere giusti nello sviluppare il commercio, nel garantire l’accesso ai mercati, dare insomma una possibilità di sviluppo e di partecipazione all’economia internazionale in maniera proporzionata alle loro capacità. E poi aiutarli a casa loro implica anche avere la preveggenza di facilitare in maniera giusta e proporzionata l’accesso alle nuove tecnologie, alle nuove medicine in modo che la popolazione sia sana, possa lavorare, e abbia quelle conoscenze che facilitano lo sviluppo in maniera adeguata ai loro bisogni.
Quando si parla di immigrati si parla sempre di
accoglienza, dei nostri obblighi qui in Italia, poco o nulla si dice sui paesi
di provenienza. Eppure il primo diritto umano violato è quello di poter
risiedere e crescere nel proprio paese.
È vero, il primo diritto è a non dovere migrare…
È vero, il primo diritto è a non dovere migrare…
...Peraltro queste partenze sono anche un impoverimento
per i paesi di origine. Lei è stato per molti anni nunzio apostolico in una
zona da cui tanti fuggono, ne è testimone.
Le persone che partono, che lasciano il loro paese in cerca di fortuna, come si diceva una volta, in genere sono giovani, meglio preparati della media dei loro coetanei che rimangono nel paese. Quindi sono forze vive da usare per sviluppare la loro realtà locale. D’altra parte queste persone non trovano le condizioni per realizzare le loro aspirazioni e mettere a profitto le loro conoscenze. E ciò spinge a quella che in termine tecnico possiamo chiamare “fuga di cervelli”, ma anche a livello normale è una perdita di popolazione sana e fattiva, una risorsa per il paese da dove partono.
Le persone che partono, che lasciano il loro paese in cerca di fortuna, come si diceva una volta, in genere sono giovani, meglio preparati della media dei loro coetanei che rimangono nel paese. Quindi sono forze vive da usare per sviluppare la loro realtà locale. D’altra parte queste persone non trovano le condizioni per realizzare le loro aspirazioni e mettere a profitto le loro conoscenze. E ciò spinge a quella che in termine tecnico possiamo chiamare “fuga di cervelli”, ma anche a livello normale è una perdita di popolazione sana e fattiva, una risorsa per il paese da dove partono.
L’intera intervista si può leggere cliccando qui.
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