La Commissione
Episcopale per le Migrazioni della CEI ha indirizzato alle comunità cristiane
la lettera “Comunità accoglienti, uscire dalla paura”. Il documento arriva in
occasione del 25° anniversario del precedente, “Ero forestiero e mi avete
ospitato” (1993). Nella lettera si leggono, finalmente, parole di sano realismo sul fenomeno migratorio.Si riconoscono, infatti, gli oggettivi limiti posti all'accoglienza dalle condizioni che sta vivendo il Paese là dove nella lettera si scrive: “Siamo consapevoli
che nemmeno noi cristiani, di fronte al fenomeno globale delle migrazioni, con
le sue opportunità e i suoi problemi, possiamo limitarci a risposte
prefabbricate, ma dobbiamo affrontarlo con realismo e intelligenza, con
creatività e audacia, e al tempo stesso, con prudenza, evitando soluzioni
semplicistiche. Riconosciamo che esistono dei limiti nell’accoglienza”. E ancora, “Al di là di quelli dettati dall’egoismo, dall’individualismo
di chi si rinchiude nel proprio benessere, da una economia e da una politica
che non riconosce la persona nella sua integralità, esistono limiti imposti da
una reale possibilità di offrire condizioni abitative, di lavoro e di vita
dignitose. Siamo, inoltre, consapevoli che il periodo di crisi che sta ancora
attraversando il nostro Paese rende più difficile l’accoglienza – si legge
nella lettera - perché l’altro è visto come un concorrente e non come
un’opportunità per un rinnovamento sociale e spirituale e una risorsa per la
stessa crescita del Paese”.
I vescovi ribadiscono altresì, alla luce del costante insegnamentoo della Dottrina sociale della Chiesa, dopo che solo pochi mesi fa sul portale della CEI era comparso l'infelice slogan "aiutiamoli a casa loro significa scaricare il problema", che « il primo diritto è
quello di non dover essere costretti a lasciare la propria terra. Per questo
appare ancora più urgente impegnarsi anche nei Paesi di origine dei migranti,
per porre rimedio ad alcuni dei fattori che ne motivano la partenza e per
ridurre la forte disuguaglianza economica e sociale oggi esistente».
Diritto che non può certo essere alimentato dal modello, fin qui oggettivamente privilegiato anche in seno alla comunità ecclesiale, di una comoda e passiva accoglienza, quando non anche lucrosa, di poche decine di migliaia di migranti economici, dimenticandosi del destino delle centinaia di milioni
di persone del sud del mondo che vogliono essere aiutati a vivere nella loro terra.Finalmente, viene riconosciuta legittimità anche al lavoro dei tanti volontari, in gran parte provenienti dal mondo cattolico, impegnati nei paesi in via di sviluppo per dare concretezza al richiamato diritto a non emigrare a quelle popolazioni.
Meglio tardi che mai!
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