"Prima ancora che il diritto a emigrare, va riaffermato il diritto a non emigrare, cioè a essere in condizione di rimanere nella propria terra". Benedetto XVI


sabato 17 febbraio 2018

Quando una capretta ti cambia la vita

Jean Damascene con la moglie
Quella di Jean Damascene e di sua moglie Claudina è una di quelle storie di cui vanno pazzi gli uffici di pubbliche relazioni delle Ong,  sempre alla ricerca della storia edificante da raccontare per muovere l’interesse della gente su qualche causa più o meno nobile.In effetti, quando ci era stata anticipata, prima della partenza per il Rwanda, sembrava proprio una di quelle storie. Ci hanno però pensato gli stessi protagonisti a fugare ogni dubbio, quando siamo andati a trovarli nella loro casa situata a metà collina sopra Nyagahanga. Dopo aver percorso un tratto di strada sterrata in jeep ed essersi sobbarcati una camminata tra bananeti e campi coltivati, siamo arrivati finalmente a destinazione. La coppia ci attendeva all’entrata del cortile di casa; per l’abbigliamento, una sorta di uniforme festiva con la camicia dell’uomo uguale al vestito della donna, e per una certa fierezza nel  portamento, abbiamo avuto immediata la sensazione di avere a che fare con una coppia per certi versi speciale. Ne abbiamo avuto conferma quando, entrati in casa, ci siamo accomodati su un divano che assieme a un tavolinetto e tre sedie,  formava l’arredo scarno ma dignitoso del locale principale, impreziosito da un semplice crocefisso in legno appeso alla parete.Senza troppi preamboli, il marito ha cominciato a raccontare la loro storia, avendo al fianco la moglie attenta ma quasi distaccata, con quel fare fiero ed austero ad un tempo, tipico di certe donne ruandesi nei cui occhi sono passate immagini che ti segnano per il resto della vita.
L'incontro
 Era la storia di una coppia che, sposatasi  alla fine del 1994 a conclusione della feroce guerra civile che insanguinò il Rwanda, ha dovuto fare i conti con il difficile periodo post bellico e la ricostruzione materiale del Paese, ma soprattutto di quel tessuto sociale uscito  irrimediabilmente lacerato dal conflitto. Agricoltori abituati alla fatica nei campi, per anni hanno vissuto in una capanna tradizionale su una delle colline che incorniciano la vallata di Nyagahanga. Gli anni del post conflitto sono stati duri e monotonamente uguali. Nel 2009 una prima svolta. Partecipano ai programmi di pastorale familiare che vengono promossi in parrocchia. Proprio in quell’anno,  nell’ambito della pastorale familiare, parte a Nyagahanga il progetto Mikan promosso dall’Ass. Kwizera unitamente al parroco, don Paolo Gahutu, che prevede che alle coppie partecipanti venga regalata una capretta, con l’unico impegno di rendere il primo nato ad un’altra famiglia. Dato l’alto numero delle famiglie partecipanti, il turno di Jean Damascene e Claudina come assegnatari della capretta arriva solo nel 2012. L’attesa viene però per certi versi premiata, perché alla coppia tocca una capretta dalle qualità procreative molto spiccate. Infatti, dopo il primo parto i cui frutti sono da assegnare al progetto, quelli successivi sono tutti eccezionalmente trigemellari, così che ben presto Jean Damascene si trova a disporre di 7 capre e provvede a vederne 4 per acquistare le lamiere per sostituire i tetto di paglia della casupola in cui viveva con la moglie e i quattro figli. I parti si susseguono, così come le vendite con cui prima acquista un piccolo appezzamento di terreno e quindi una mucca e successivamente amplia la casa. Intanto conferisce qualche risparmio a una cooperativa, e quando arriva il suo turno nel poter richiedere un prestito si compera una seconda mucca, mantenendo anche un certo numero di capre.  Ormai è in grado di pagare per sé e i familiari la Mutua sanitaria obbligatoria, e , quando si sposa il primogenito, è in grado di far fronte alla dote dovuta alla famiglia della sposa, nonché far fronte alle spese scolastiche degli altri figli. La vita nell’angusta capanna del passato è ormai un ricordo; oggi vive in una casetta in muratura, circondata da terreni di proprietà, con sul retro lo spazio riservato agli animali che ci ha mostrato con orgoglio: 4 capre grandi con quattro capretti, una mucca, due pecore e due galline con, rispettivamente, sette ed otto pulcini. Il tutto, partendo da quella piccola insignificante capretta ottenuta dal Progetto Mikan che altri, magari, si sono mangiata all’indomani dell’adempimento dell’obbligo del conferimento del primo capretto nato. La storia di Jean Damascene e di sua moglie non è unica. C’è, infatti, anche quella della famiglia di Evode e Patricie, sempre di Nyagahanga che, partiti con una capretta nel 2009, se ne sono trovate 17 nel 2016, quando dalla loro vendita hanno ottenuto il ricavato per acquistare due mucche.Queste famiglie hanno  saputo rispondere al meglio a quelle che erano le attese di Michele e Anna, i promotori del progetto, quando, nel gennaio del 2009, agli inizii del Progetto Mikan, così scrivevano:
Che dire…si comincia! E' con grande soddisfazione che vediamo partire il nostro progetto. Non pretendiamo certo di salvare l'Africa, nè tantomeno di colorare di "bianco"qualcosa che sta benissimo in "nero".. Una cosa però vogliamo provare a farla..Non intendevamo inviare a queste famiglie dei semplici aiuti. Noi vogliamo aiutarle ad aiutarsi!! Le nostre capre vogliono essere l'inizio della circolazione di conoscenza, di consapevolezza, di crescita attraverso il lavoro di squadra, appunto un "aiuto ad aiutarsi"..Certo, la nostra e' una scommessa, ma siamo fiduciosi che anche con l'aiuto di Don Paolo riusciremo a salvare capra e cavoli!
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