Quanto
accaduto dal 1990 al 1994 in Rwanda comincia ad essere oggetto, e lo sarà
sempre di più da qui in avanti, di indagini specifiche da parte di ricercatori e storici che si sforzano di darne una lettura che, sottraendosi ai condizionamenti della contingenza politica, collochi quanto accaduto in quel periodo in una prospettiva storica. Tali ricerche, quando si
discostano dalle interpretazioni correnti, vengono spesso sbrigativamente e spregiativamente bollate,
da chi non le condivide, come revisioniste. Potrebbe essere questo il destino di un
recente contributo critico di uno studioso dell'area dei Grandi Laghi, Serge
Dupuis, pubblicato dalla Fondazione francese Jean Jaures, che rivisita la
vulgata ufficiale secondo cui il genocidio dei tutsi rwandesi era
previsto fin dal primo progrom alla fine degli anni cinquanta e preparato nel
contesto di un'ideologia etnonazionalistica. Per sgomberare il campo da qualsiasi
equivoco o possibile accusa di negazionismo, Dupuis riconosce l'esistenza
del genocidio dei tutsi collocandolo però temporalmente in una fase successiva
al mese di aprile del 1994 e soprattutto non riscontrandone la premeditazione,
in questo rifacendosi a quanto sentenziato dal Tribunale penale
internazionale per il Rwanda-TPIR che nelle sue sentenze di condanno
degli imputati giudicati per genocidio, non ha mai riconosciuto la
pianificazione del genocidio stesso.Per arrivare a queste conclusione il ricercatore
parte dalla narrazione ufficiale che considera il genocidio come il
culmine di un lungo processo dove il razzismo anti-tutsi affonda le radici
nelle politiche messe in campo dai governi Kayibanda prima e Habyarimana
poi. Le dinamiche storiche vedrebbero da una parte il governo utilizzare
l'offensiva del RPF-Rwandan Patriotic Front come pretesto per compiere il
genocidio, dall'altra l'azione del RPF come mossa preventiva per scongiurare la
minaccia genocidaria.Secondo Serge Dupuis, che non condivide l'interpretazione
che va per la maggiore a livello internazionale, il genocidio è il risultato
del conflitto tra il RPF, mirante dichiaratamente alla conquista del potere, e
il governo a sua volta impegnato nella difesa dello statu quo e nel mantenimento
del potere stesso.In questa lotta per il potere, secondo lo studioso, il RPF, consapevole che
l'offensiva avrebbe risvegliato l'ideologia razzista, ha perseguito
una strategia di violenza per spingere il regime ad attaccare i tutsi e quindi
legittimare l'offensiva messa in atto. Il governo in carica, da parte sua,
sentendosi minacciato dalla ribellione, per paura di perdere la propria
egemonia, radicalizza la propria posizione perseguendo una politica
di tensione fino al genocidio.Chi volesse approfondire gli argomenti addotti
dal ricercatore francese a sostegno della propria tesi, che si colloca certo su
un terreno border line del revisionismo storico evitando peraltro
di sconfinare nel negazionismo, potrà leggere l'intero studio in francese, cliccando
qui, e, all'esito, cotestarne eventualmente la fondatezza.
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