Riprendiamo da Il quotidiano on-line dell’Empolese Valdelsa e oltre.
Don Emmanuel Uwayezu, prete ruandese, da 4 anni vice parroco della chiesa di Ponzano, a Empoli, è accusato da African Rights di essere coinvolto nel massacro, il 7 maggio 1994, "di più di 80 giovani alunni fra i 12 e i 20 anni" che studiavano nel complesso scolastico Misericordia di Maria, di cui era direttore, a Kibeho, nel sud del Ruanda. Lui, raggiunto dai giornalisti si è difeso, raccontando di aver fatto di tutto per salvare alcuni ragazzi tutsie.
LA DENUNCIA DI AFRICAN RIGHTS
"La mattina del 7 maggio 1994 - denuncia l'Ong, che ha base a Londra - un gran numero di miliziani che brandivano machete e coltelli ha accerchiato gli alunni, la maggioranza dei quali si trovava nel refettorio. Padre Uwayezu era là. I gendarmi che aveva piazzato" per garantire la sicurezza dei ragazzi "hanno sparato in aria invece di disperdere gli attaccanti. Il massacro - prosegue il documento di African Rights - è quindi cominciato. A eccezione di un pugno di sopravissuti, gli studenti in maggioranza morirono, uccisi dai fucili o dalle granate dei gendarmi o dalle lance, le accette e i machete dei miliziani" hutu. "Padre Uwayezu - dice ancora l'Ong - è tornato a Kibeho diversi giorni dopo i massacri per fare in modo che i gendarmi impartissero un addestramento militare agli allievi hutu di sesso maschile affinché potessero cercare i sopravvissuti". African Rights fa infine appello alle autorità di Ruanda e Italia e alla Chiesa cattolica ruandese "perché conducano proprie inchieste sulle gravi accuse contenute nel rapporto"
LA DIFESA DI DON EMMANUEL
"Sono il primo a volere che su questa vicenda venga aperto un regolare processo affinché sia stabilita la realtà dei fatti. Io non ho partecipato a nessun genocidio. Anzi, col vescovo tentammo di salvare i giovani massacrati dai miliziani ma non ci riuscimmo". Si difende così don Emmanuel Uwayezu: "Sapevo - ha aggiunto don Emmanuel - che c'era chi mi accusava di essere coinvolto in questa strage e so che non sono l'unico sacerdote di etnia Hutu accusato da African Rights. Purtroppo è da 15 anni che vengono messe in giro voci infondate da persone che non hanno vissuto quei momenti terribili".
Ai giornalisti che lo hanno raggiunto don Emmanuel ha anche detto: "Chiedo al Governo italiano e alla comunità internazionale di far luce sulla verità con un regolare processo".
"Con la guerra civile - ha continuato don Emmanuel - la zona di Kibeho si riempì di miliziani di entrambe le etnie, Hutu e Tutsi, e la situazione diventò rapidamente pericolosa e carica di tensione, finché un giorno venni a sapere che alcuni miliziani Hutu avevano l'intenzione di uccidere i ragazzi Tutsi della mia scuola i quali, nel frattempo, si erano spostati in un altro istituto, gestito da suore, ad appena 800 metri".
"Io non ero più ufficialmente il direttore della scuola, perché intanto il vescovo mi aveva tolto la responsabilità, chiedendomi però di restare per aiutarli. Con due gendarmi ingaggiati dalla diocesi - ha proseguito il sacerdote - andammo dal vescovo per avvertirlo del pericolo imminente e subito fu organizzata un'autocolonna per la mattina successiva. Volevamo portarli via e così cercare di salvarli. Invece, quando stavamo per partire, arrivò la notizia che il massacro era stato già compiuto".
"Dopo la strage - ha raccontato ancora don Emmanuel - come tanti preti di etnia Hutu sono scappato in Congo, Kenia e quindi in Italia. Il ricordo di quei ragazzi è sempre con me e per anni ho lottato contro un forte stress nervoso per non essere riuscito a salvarli. Oggi, dopo aver letto le accuse in Internet - ha concluso - ho chiamato gli amici rimasti in Ruanda dove non posso tornare perché temo per la mia vita in quanto, da Hutu, cercai di salvare dei Tutsi".“Nella mia scuola - all'epoca avevo 32 anni e da cinque ero sacerdote, convivevano tranquillamente giovani studenti di etnia Hutu e Tutsi. Soffro molto per quello che è successo, ma io ho fatto di tutto per salvarli. Io voglio la verità”.
-------------------------------------
La richiesta di Don Emmanuel al Governo italiano e alla comunità internazionale di far luce sulla verità, con un regolare processo, va sicuramente nella direzione giusta per l'accertamento dei fatti. Toccherà ora ad African Rights e Kigali produrre prove a carico dell'accusato che reggano il vaglio di una corte di giustizia presieduta da un giudice indipendente.
Nessun commento:
Posta un commento