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Il cantante Kizito all'uscita dal carcere |
Il presidente Paul Kagame ha concesso ieri, esercitando le proprie prerogative presidenziali, un'amnistia che ha comportato il rilascio anticipato a oltre 2.000
detenuti condannati per vari crimini.Tra i beneficiari ci sono anche il musicista Kizito Mihigo (
la sua storia qui), che doveva scontare una pena di 10 anni per l'accusa di cospirazione, e Victoire Ingabire (
la sua storia qui), che è in detenzione dal 2010 quando era rientrata in Rwanda per candidarsi alle elezioni presidenziali.
Plaudiamo al gesto presidenziale, un importante passo sulla strada di una completa riconciliazione, ricordando quanto auspicato nelle conclusioni del recente libro Aiutiamoli a casa loro Il modello Rwanda qui riportato.
L’ora dell’autocrate
ragionevole
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La signora Ingabire all'uscita dal carcere |
Un autocrate ragionevole e, per molti, illuminato
quale può essere appunto definito Paul Kagame, forte della grande investitura e
dell’oggettivo appoggio della stragrande maggioranza dei ruandesi, dovrebbe
essere capace, in presenza di un potere ormai consolidato, anche di quei gesti
di “benevolenza” che ne affinino l’immagine, soprattutto a livello
internazionale, senza che possa essere messa a rischio la sicurezza interna in
cui si trova a vivere il Paese. Un politico attento come il presidente ruandese
dovrebbe essere capace di alcuni segnali di apertura, che lungi dall'apparire
gesti di debolezza ne confermerebbero al contrario l'autorevolezza. Un passo in
questa direzione potrebbe tradursi in un gesto di clemenza verso Victoria
Ingabire, piuttosto che del famoso cantante Kizito Mihigo condannato a 10 anni
di carcere essendo stato riconosciuto colpevole di "complotto contro il
governo”. Un allentamento dei forti vincoli imposti ai media e alle voci della
società civile e un’interruzione di certe pratiche, che portano alla scomparsa
di oppositori più o meno famosi, non inficerebbero né la credibilità, né
l’autorevolezza di un leader riconosciuto e consolidato.
Sarebbe altresì
fondamentale che Kagame sapesse alimentare quei segnali colti da un profondo
conoscitore della realtà africana, padre Giulio Albanese, che in un suo
articolo apparso su Avvenire nell’agosto 2017, così descriveva la situazione
del Rwanda. “Si sta affermando un graduale processo di democratizzazione
"dal basso", frutto della lenta ma sicura maturazione di un’opinione
pubblica interna sensibile alla cittadinanza e al superamento
dell’etnocentrismo politico. Il fatto che il governo di Kigali continui a
essere saldamente nelle mani del Fronte patriottico ruandese (FPR), grazie
anche ai successi delle politiche di modernizzazione messe in atto in questi
anni dal regime, non esclude scenari inediti alla narrazione giornalistica
internazionale. Esiste, infatti, una resistenza democratica locale fatta di
piccole realtà rurali e cittadine, espressioni eloquenti della società civile,
che, con impegno e determinazione, silenziosamente, contribuisce a modificare i
meccanismi di relazioni interetniche, rafforzando il ruolo socioeconomico dei territori
e delle comunità autoctone. Si tratta di reti di solidarietà che nascono
soprattutto tra i giovani e le donne, nuove mentalità di gestione e innovative
pratiche di management sociale; gruppi informali i cui attori mutano e si
diversificano costantemente, con una coscienza accresciuta dei loro diritti di
cittadinanza". Da ultimo, rimane la sfida decisiva: preparare le
condizioni perché alle prossime elezioni, che si terranno nel 2024, Kagame non
abbia la necessità di scendere nuovamente in campo, avendo nel frattempo creato
le condizioni di una successione, speriamo non dinastica, in grado di
raccogliere il testimone per proseguire sulla strada dello sviluppo, della
piena riconciliazione nazionale e di definitiva apertura a una governance
compiutamente democratica.
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