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sabato 15 settembre 2018

Kagame concede la grazia a Victoire Ingabire e Kizito Mihigo

Il cantante Kizito all'uscita dal carcere
Il presidente Paul Kagame ha concesso ieri, esercitando le proprie prerogative presidenziali, un'amnistia che ha comportato il rilascio anticipato a oltre 2.000 detenuti condannati per vari crimini.Tra i beneficiari ci sono anche il  musicista Kizito Mihigo ( la sua storia qui), che doveva scontare  una pena di 10 anni per l'accusa di cospirazione, e Victoire Ingabire ( la sua storia qui), che è in detenzione dal 2010 quando era rientrata in Rwanda per candidarsi alle elezioni presidenziali.
Plaudiamo al gesto presidenziale, un importante passo sulla strada di una completa riconciliazione, ricordando quanto auspicato nelle conclusioni del recente libro Aiutiamoli a casa loro Il modello Rwanda qui riportato.
L’ora dell’autocrate ragionevole
La signora Ingabire all'uscita dal carcere
 Un autocrate ragionevole e, per molti, illuminato quale può essere appunto definito Paul Kagame, forte della grande investitura e dell’oggettivo appoggio della stragrande maggioranza dei ruandesi, dovrebbe essere capace, in presenza di un potere ormai consolidato, anche di quei gesti di “benevolenza” che ne affinino l’immagine, soprattutto a livello internazionale, senza che possa essere messa a rischio la sicurezza interna in cui si trova a vivere il Paese. Un politico attento come il presidente ruandese dovrebbe essere capace di alcuni segnali di apertura, che lungi dall'apparire gesti di debolezza ne confermerebbero al contrario l'autorevolezza. Un passo in questa direzione potrebbe tradursi in un gesto di clemenza verso Victoria Ingabire, piuttosto che del famoso cantante Kizito Mihigo condannato a 10 anni di carcere essendo stato riconosciuto colpevole di "complotto contro il governo”. Un allentamento dei forti vincoli imposti ai media e alle voci della società civile e un’interruzione di certe pratiche, che portano alla scomparsa di oppositori più o meno famosi, non inficerebbero né la credibilità, né l’autorevolezza di un leader riconosciuto e consolidato. 
Sarebbe altresì fondamentale che Kagame sapesse alimentare quei segnali colti da un profondo conoscitore della realtà africana, padre Giulio Albanese, che in un suo articolo apparso su Avvenire nell’agosto 2017, così descriveva la situazione del Rwanda. “Si sta affermando un graduale processo di democratizzazione "dal basso", frutto della lenta ma sicura maturazione di un’opinione pubblica interna sensibile alla cittadinanza e al superamento dell’etnocentrismo politico. Il fatto che il governo di Kigali continui a essere saldamente nelle mani del Fronte patriottico ruandese (FPR), grazie anche ai successi delle politiche di modernizzazione messe in atto in questi anni dal regime, non esclude scenari inediti alla narrazione giornalistica internazionale. Esiste, infatti, una resistenza democratica locale fatta di piccole realtà rurali e cittadine, espressioni eloquenti della società civile, che, con impegno e determinazione, silenziosamente, contribuisce a modificare i meccanismi di relazioni interetniche, rafforzando il ruolo socioeconomico dei territori e delle comunità autoctone. Si tratta di reti di solidarietà che nascono soprattutto tra i giovani e le donne, nuove mentalità di gestione e innovative pratiche di management sociale; gruppi informali i cui attori mutano e si diversificano costantemente, con una coscienza accresciuta dei loro diritti di cittadinanza". Da ultimo, rimane la sfida decisiva: preparare le condizioni perché alle prossime elezioni, che si terranno nel 2024, Kagame non abbia la necessità di scendere nuovamente in campo, avendo nel frattempo creato le condizioni di una successione, speriamo non dinastica, in grado di raccogliere il testimone per proseguire sulla strada dello sviluppo, della piena riconciliazione nazionale e di definitiva apertura a una governance compiutamente democratica.

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