Campo profughi di Mahama (foto The New Times) |
Oggi si celebra la Giornata mondiale dei migranti, con il serio rischio che in Italia si riduca alla giornata dell'accoglienza, dimenticando totalmente i milioni di rifugiati, sfollati e migranti sparpagliati nel mondo. In Africa, l'ultimo dato delle agenzie dell'ONU quantifica in oltre 17 milioni le persone che si trovano in una situazione di aver abbandonato la propria casa, se mai ne avevano una, per trovare rifugio in campi più o meno attrezzati ed assistiti grazie agli aiuti internazionali.Un piccolo spaccato di questo mondo lo troviamo anche in Rwanda.
Fin dal lontano
1996 sono attivi in Rwanda due campi profughi gestiti dall’UNCHR,
rispettivamente a Byumba e nei pressi di Gatsibo con 17.000 rifugiati congolesi
cadauno, in gran parte di etnia banyamulenge, provenienti dalla regione del
nord Kiwu da cui si sono allontanati per sfuggire ai vari momenti di guerra che
si sono succeduti in quel periodo nella regione.Negli anni successivi ci
furono ulteriori afflussi di rifugiati, tanto che fino
al giugno 2014, furono aperti altri tre campi profughi gestiti
dall’UNHCR, per un numero complessivo di rifugiati di poco inferiore a
75.000. Un numero decisamente maggiore,
171.126, si trovavano invece in Uganda. A partire
dall’aprile 2015, la crisi politica venutasi a creare nel vicino Burundi, a
seguito dell’intenzione del presidente uscente, Pierre
Nkurunziza , di correre per un terzo mandato in spregio alla
costituzione, ha provocato la fuoriuscita dal paese di migliaia di
persone.Secondo i dati dell’UNHCR, nel giro di un anno
si sono riversati in Rwanda, 73.926
rifugiati, su un totale di circa 250.000 rifugiati burundesi suddivisi tra i
paesi confinanti:circa 48mila rifugiati
vivono nel campo di Mahama, il più grande campo del Rwanda, e più di
26mila a Kigali e in altre città. A
novembre 2017, risultavano presenti nei diversi
campi profughi operativi in Rwanda
172.706 rifugiati e richiedenti asilo, di cui il 50 per cento minorenni.
In questi campi, i rifugiati godono degli stessi diritti dei cittadini
rwandesi: i rifugiati possono liberamente accedere all'istruzione e
all'assistenza sanitaria e, se in possesso di qualche qualifica, possono
sfruttare le opportunità di lavoro che si presentano.
I
rifugiati rwandesi all’estero
Contemporaneamente, secondo dati ufficiali dell’UNHCR,
a fine 2017, permanevano all’estero 269.500 rwandesi, dopo che ben 3,5 milioni erano rientrati a diverse tornate in Rwanda,
immediatamente dopo la fine della guerra civile e, nei decenni successivi,
sulla spinta di appositi programmi governativi tendenti a favorire il reintegro nella società civile di tutti i
fuoriusciti, che non si fossero macchiati di gravi delitti, al tempo della
guerra civile. Va detto che per le
migliaia di rwandesi fuggiti dal loro
paese prima del 1998 e rifugiati nella Repubblica Democratica del Congo, in
Uganda, Zambia e Congo-Brazzaville, lo status di rifugiati è scaduto alla fine
del 2017; dopo tale data i rifugiati interessati devono scegliere tra
l’acquisire il passaporto dei paesi ospitanti o rimpatriare. L'UNHCR
continuerà a fornire agli ex rifugiati tutti i supporti per ottenere un
soggiorno legale alternativo. Diversamente il governo ruandese, desideroso di
chiudere i conti con il passato,
sostiene come non ci sia più motivo per i propri cittadini di vivere
come rifugiati, all'estero e spinge per il loro rientro.
Secondo il Ministero, tra il giugno 2009 e fine 2017, sono stati 84.596
i rifugiati tornati a casa, per il 78% provenienti dalla R.D. del Congo,
supportati da un contributo finanziario atto a favorire il reinsediamento: $ 250 per ogni adulto e $ 150 per ogni
bambino. Le rassicurazioni governative non riescono a convincere tutti gli
ultimi rimasti, che secondo i dati del
Ministero della Ristrutturazione dei Disastri e degli Affari dei Rifugiati del
Ruanda ammonterebbero a 16.000 persone, tra i quali vanno
annoverati anche quelli più radicallizzati nell’opposizione all’attuale
governo, anche per timore di possibili ritorsioni come denunciato da un rapporto di Human
Rights Watch
riportante casi di tortura ai danni di rimpatriati dalla R.D. del Congo. Anche alla luce di questi
possibili rischi, l'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati
(Unhcr), che in
tutti questi anni si è fatto promotore
del rientro, ha assicurato che non abbandonerà queste persone, mettendo in campo iniziative volte a favorirne
l’integrazione nelle comunità ospiti, e
garantendo il mantenimento dello status per coloro che ne fanno
richiesta.
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