"Prima ancora che il diritto a emigrare, va riaffermato il diritto a non emigrare, cioè a essere in condizione di rimanere nella propria terra". Benedetto XVI


venerdì 11 aprile 2008

Il primo viaggio in Rwanda

La prima volta che sentii parlare del Rwanda fu, come per molti, nella primavera del 1994 quando giunse a conclusione nella maniera più tragica la feroce guerra civile che, da anni, insanguinava quel piccolo stato africano.
Di quel periodo ricordo le immagini che venivano trasmesse dai network internazionali in cui si alternavano i corpi, sfigurati dai colpi di machete, abbandonati sui cigli delle strade o trascinati dalle correnti dei fiumi con le colonne di profughi che scappavano dagli orrori di simile carneficina. Proprio allora arrivarono a Grosio tre di quei profughi: Cirillo, Paolo e Roberto, tre seminaristi sfuggiti a tale scempio grazie a un ponte aere della Croce Rossa che da Kigali li portò in Italia.Ospitai per qualche giorno Cirillo e conobbi gli altri due. Tutti e tre tornarono ben presto ai propri studi in un collegio romano, sempre seguiti dalla comunità di Grosio in questo loro percorso verso il sacerdozio.I rapporti si mantennero nel tempo grazie anche ai frequenti soggiorni presso le famiglie grosine. Per anni le tragiche storie che i tre avevano alle spalle rimasero ammantate di una cortina mista di dolore, paura e pudore. Ordinati sacerdoti, don Cirillo e don Roberto rimasero in Italia, mentre don Paolo ( nella foto) fece ritorno in Rwanda. Altri seminaristi rwandesi vennero a studiare a Roma e conobbero l’ospitalità grosina. Proprio aderendo all’invito di uno di questi, Don Vicenzo, ad assistere alla sua ordinazione sacerdotale che si teneva in Rwanda scaturì l’occasione per il primo viaggio africano. Così nell’agosto del 2003, con mia moglie Daniela partimmo per un viaggio che forse non poteva definirsi banalmente turistico, come passare una settimana a Malindi, ma che non era ancora alimentato dalla fiammella dell’impegno.



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