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venerdì 28 ottobre 2016

Rwanda 5° al mondo per parità di genere.Italia 50°

Il Rwanda si piazza al 5° posto al mondo  nella classifica  Global Gender Gap Report, stilato dal World Economic Forum, che si occupa di misurare i passi avanti fatti verso la parità di genere, prendendo  in considerazione le chance date ad entrambi i sessi negli ambiti di economia, salute, istruzione, rappresentanza politica e lavoro. 
Nella top ten di quest’anno molte conferme (Islanda prima, seguita da Finlandia, Norvegia, Svezia), con l'’Italia che si piazza al 50° posto, perdendo 9 posizioni rispetto al 2015.
Così il Report fotografa la situazione del Rwanda:  "si avvicina al superamento della soglia dell'80% nel gap e si mette alle spalle l'Irlanda, entrando tra i primi cinque per la prima volta da quando e' classifica. Ciò è dovuto principalmente ai miglioramenti nel suo punteggio nel sottoindice Partecipazione economica e opportunità, in cui il paese recupera  sei punti rispetto allo scorso anno a seguito di una migliore parità di reddito percepito stimato. Rimane il paese con la più alta quota di parlamentari donne in tutto il mondo, il 64%, e mantiene il suo rispettivo punteggio nel sottoindice  Empowerment politico, nonostante la paerdita di una posizione all'ottavo posto. In campo educativo il divario di genere permane, tanto che la posizione è solo  112 °, nonostante il miglioramento nell'iscrizione all'istruzione terziaria. Il suo gap di genere nell'indice Salute e Sopravvivenza rimane aperto, ponendolo al 94 ° posto nel mondo".

mercoledì 26 ottobre 2016

Rwanda secondo miglior paese in Africa per fare impresa

 Il World Bank Doing Business Report 2017, rilasciato oggi,  riconferma l’ottimo giudizio sul Rwanda per quanto attiene la facilità d’intraprendere per gli investitori che vogliano avviare un’impresa nel paese.Nella classifica, che si basa su  una serie di parametri: si va dalla facilità di avviare un'impresa, ai tempi di ottenimento di permessi di costruzione all’accesso all’energia elettrica, dalla registrazione dei titoli di proprietà all’accesso al credito fino alla tutela degli investitori di minoranza e alla risoluzione degli stati di insolvenza, il Rwanda si posiziona al 56° posto al mondo su 190 paesi, migliorando di sei posti rispetto alla precedente edizione, e al  2 °posto  in Africa dopo Mauritius. Le classifiche indicano anche che il Rwanda ha ridotto il divario con Mauritius da 30 posti l'anno scorso a soli sette posti. Il Botswana è al terzo posto in Africa e al 72 ° a livello mondiale, seguito dal Sud Africa che si trova al 73 ° a livello mondiale. Marocco è quinto a livello continentale e 75 ° a livello mondiale. Il Rapporto scrive che il “Rwanda è un esempio di una economia che ha utilizzato il Doing Business come una guida per migliorare il suo ambiente di business. Da Doing Business 2005 al Doing Business 2017 il Rwanda ha implementato un totale di 47 riforme in tutti gli indicatori. Il Rwanda è uno delle  sole 10 economie che hanno attuato riforme in tutti gli indicatori Doing Business e ogni anno dal Doing Business 2006.  Queste riforme sono in linea con la Vision 2020, la strategia di sviluppo del Rwanda, che mira a trasformare il Rwanda da un'economia a basso reddito ad un'economia medio-basso reddito, aumentando il reddito pro capite da $ 290 $ a $ 1240  per il 2020”.

lunedì 24 ottobre 2016

Rwanda: una smart card ai rifugiati per comprarsi direttamente il cibo giornaliero

I circa 160.000 rifugiati presenti nei campi profughi operativi in Rwanda al posto delle razioni giornaliere di cibo riceveranno il corrispettivo in denaro, accreditato su una smart card. E' il nuovo modello di assistenza introdotto dal governo rwandese, in accordo con l’agenzia per i rifugiati dell’Onu-UNHCR e l’altra organizzazione onusiana PAM-Programma alimentare mondiale. 
La distribuzione delle smart card (The New Times)
Inizialmente l’importo accreditato mensilmente sarà pari a Rwf 6.200, circa 7 euro; ricordiamo al riguardo che il salario mensile di un operaio agricolo si aggira attorno a una cifra che non supera i 1.000 Frw al giorno, mentre una raccoglitrice di the ne guadagna anche solo 500. L’esperimento è partito dai campi profughi di  Gihembe, Kigeme e Nyabiheke, che ospitano i rifugiati dalla Repubblica democratica del Congo, e presto sarà introdotto anche negli altri tre campi presenti in Rwanda, tra cui quello di Mahama che ospita i rifugiati burundesi. Complessivamente i sei campi ospitano circa 160.000 rifugiati: fin dal lontano 1996, i campi di Gihembe e Nyabiheke ospitano profughi congolesi, in gran parte di etnia banyamulenge, provenienti dalla regione del nord Kiwu da cui si sono allontanati per sfuggire ai vari momenti di guerra che si sono succeduti, nella seconda metà degli anni novanta, nella regione dei Grandi Laghi.Secondo Seraphine Mukantabana, Ministro per la Gestione dei Disastri e per gli affari dei rifugiati (Midmar), presente nei giorni scorsi alla cerimonia di distribuzione delle smart card nel campo di Nyabiheke, il provvedimento di dare direttamente il denaro per il cibo ai profughi, ma in futuro sulla carta potranno essere caricati anche i contributi di altri benefattori e i soldi necessari per la biancheria e utensili vari,    permette loro di scegliere cosa mangiare ed eventualmente di risparmiare del denaro per intraprendere qualche piccola iniziativa in proprio. "Il nostro obiettivo è quello di avere tutti i rifugiati autosufficienti, perché la dipendenza dagli aiuti degrada l'umanità", ha detto Mukantabana.  Analogamente, il rappresentante dell’UNHCR in Rwanda, Azam Seber, presente all’evento, ha ricordato ai  rifugiati  che gli aiuti dell’organizzazione saranno erogati sotto forma di  denaro e “ quando vi diamo  soldi per l'acquisto di qualcosa che avete già, è possibile scegliere di risparmiare quei soldi, mettendoli a frutto in qualche iniziativa ". L’introduzione della smart card sembra aver incontrato il favore dei rifugiati che, per bocca di un loro rappresentante, hanno sottolineato come l’iniziativa li faccia  sentire come gli altri cittadini del paese ospite.

giovedì 20 ottobre 2016

E' morto Kigeli V, l'ultimo re rwandese: viveva solo e in esilio negli USA

Kigeli V
Kigeli V, l'ultimo re del Rwanda, è morto domenica sera 16 ottobre a Washington, all'età di 80 anni. E’ morto solo, non era infatti sposato, e in esilio, dopo aver lasciato il Rwanda il 2 ottobre 1961. Nonostante a parole le autorità rwandesi si fossero dichiarate disponibili a un suo rientro, Kigeli V ritenne non ci fossero i presupposti per un tale passo che, forse, avrebbe potuto andare nel senso di una reale riconciliazione, perché come sostenuto da alcuni esponenti dell’opposizione rwandese “le sue mani non grondavano sangue”. Al riguardo si legga questo nostro post
Il governo rwandese  ha dato notizia della morte, limitandosi ad esprimere la propria tristezza per la scomparsa e  ad assicurare alla famiglia ogni possibile assistenza in  tutte le incombenze del caso. La stampa rwandese non ha dato particolare spazio all’avvenimento. Ma chi era Kigeli V? Ecco la sua storia, da un nostro post del 29 marzo 2013dal titolo Un re senza regno.

lunedì 17 ottobre 2016

Calendario Kwizera 2017:tre lustri d'impegno in Rwanda a favore del diritto a non emigrare

E' in distribuzione il calendario 2017 dell'Associazione Kwizera onlus di cui riportiamo qui di seguito la presentazione che compare sulla quarta di copertina.

2002-2017: quindici anni d’impegno in Rwanda per dare concretezza al diritto a non emigrare
Il nostro impegno in Rwanda a favore delle popolazioni locali data ormai da quindici anni, tre lustri. 
Pur rinnovandosi anno dopo anno, restiamo fedeli a quella scelta iniziale di portare l’aiuto, nella misura consentitaci dalla generosità di tanti amici e benefattori, là dove queste persone bisognose vivono: il Rwanda.
Ispiriamo questa nostra scelta al  costante magistero pontificio: quello di Benedetto XVI quando, nel  Messaggio per la giornata mondiale del migrante e del rifugiato del 2013,  scrive che “prima ancora che il diritto a emigrare, va riaffermato il diritto a non emigrare, cioè a essere in condizione di rimanere nella propria terra, ripetendo con il santo Giovanni Paolo II che «diritto primario dell’uomo è di vivere nella propria patria: diritto che però diventa effettivo solo se si tengono costantemente sotto controllo i fattori che spingono all’emigrazione» e di  papa Francesco, quando, nello stesso Messaggio del 2016, chiede che milioni di africani possano “vivere con dignità, anzitutto esercitando il diritto a non emigrare per contribuire allo sviluppo del loro Paese ". Soprattutto ci interpellano i vescovi africani che, in occasione di un grande incontro panafricano di giovani,  hanno esortato la loro gioventù a non lasciarsi attrarre dalle sirene di un inesistente posto di lavoro in occidente, ma ad impegnarsi  nei rispettivi paesi per il futuro del continente.
Per noi “Aiutiamoli a casa loro”, lungi dall’essere un abusato e strumentale slogan propagandistico, significa dare concretezza a questi auspici rispondendo innanzitutto a un principio di equità e secondariamente a un efficace utilizzo delle scarse risorse finanziarie disponibili.
E', infatti, equo ricordarci oltre che delle decine di migliaia di migranti economici ( che per correttezza sarebbe bene distinguere dalla minoranza degli aventi diritto alle forme di protezione internazionale) anche delle centinaia di milioni di africani che rimangono nei rispettivi paesi e lì vogliono costruirsi  un futuro dignitoso, anche se  le loro storie non entrano nei dibattiti televisivi o negli approfondimenti giornalistici.
E’ altresì corretto chiedersi quale sia il miglior utilizzo delle ingenti risorse finanziarie che vengono comunque stanziate per far fronte ai flussi migratori, tenuto conto del ben diverso valore di un euro in termini di merci e servizi acquistabili a seconda che lo stesso sia speso  da noi, piuttosto che in Africa.
Dal 2002 ad oggi, anno dopo anno, abbiamo visto quali cambiamenti possano intervenire in un paese  in cui gli aiuti ricevuti da istituzioni e privati vengano messi a frutto, con una gestione corretta.
Nel tempo, a fatica e pur  fra mille contraddizioni, in cui il percorso nella conquista  delle libertà civili è ancora lungo e accidentato e il solco che divide il livello di vita  tra città e campagne  rischia di accentuarsi,  si stanno purtuttavia creando  in Rwanda le condizioni perché il diritto a rimanere non sia un vuoto slogan, ma una reale alternativa, e la tentazione di migrare non faccia breccia nei giovani rwandesi che, in effetti, non sono tra i migranti che sbarcano dai barconi.
Continueremo quindi, anche in questo nuovo anno, nella nostra missione in Rwanda, grazie soprattutto alla concreta vicinanza di tutti voi.


domenica 16 ottobre 2016

Kigali tiene a battesimo l’accordo sul controllo dei gas serra

Circa 150 Paesi hanno concordato di limitare l'uso degli idrofluorocarburi (HFC), potentissimi gas serra utilizzati nei freezer e nei condizionatori d'aria, nella lotta al surriscaldamento del pianeta. L'accordo, raggiunto sabato mattina a Kigali (Rwanda) scrive la Bbc online, impegna i paesi industrializzati a ridurre l'uso degli HFC prima dei Paesi in via di sviluppo. L'accordo rappresenta il primo test della volontà globale di combattere il surriscaldamento del pianeta dallo storico Accordo di Parigi per ridurre le emissioni di carbonio raggiunto l'anno scorso. Secondo l'intesa, alla quale si e' arrivati dopo negoziati durati tutta la notte, verrà posto un tetto alle emissioni di gas HFC, che verranno ridotte gradualmente a partire dal 2019 dai Paesi industrializzati, inclusi gli Stati Uniti. Oltre 100 paesi in via di sviluppo, inclusa la Cina, seguiranno entro il 2024. Un piccolo gruppo di Paesi, inclusa l'India e il Pakistan, hanno sostenuto che le loro economie hanno bisogno di più tempo per crescere e cominceranno a muoversi invece nel 2028. Le organizzazioni mondiali per la difesa dell'ambiente avevano sperato che l'accordo avrebbe potuto ridurre il surriscaldamento globale di mezzo grado entro la fine di questo secolo, mentre secondo il presidente dell'Istituto per la governance e lo sviluppo sostenibile, Dur wood Zaelke, questo obiettivo verrà centrato solo al 90%. In ogni caso, si tratterà della "più grande riduzione di temperatura mai raggiunta da un singolo accordo". L'accordo, ha detto David Doniger del Consiglio per la difesa delle risorse naturali, "equivale a fermare le emissioni di CO2 di tutto il mondo per oltre due anni"( fonte Ansa).

mercoledì 12 ottobre 2016

Opportunità di crescita per le bambine e le ragazze: Rwanda 49° al mondo

In occasione della Giornata internazionale delle bambine e delle ragazze che si è tenuta ieri, l’Ong Save the Children ha reso noto il  rapporto “Every Last Girl: Freeto live, free to learn, free from harm” e stillato la classifica dei Paesi del mondo dove è più facile essere bambine e  ragazze e dove si hanno maggiori opportunità di crescita e di sviluppo. Il rapporto prende in considerazione 144 Paesi al mondo e ne stila la classifica basata su cinque parametri - matrimoni precoci, numero di bambini per madri adolescenti, mortalità materna, completamento della scuola secondaria di primo grado e numero di donne in Parlamento. Sulla base di questi parametri  il Niger è il posto peggiore al mondo dove essere una bambina o una ragazza; in coda alla classifica, prima del Niger, troviamo altri Paesi africani quali Ciad, Repubblica Centrafricana, Mali e Somalia, che si caratterizzano per numeri molto alti di spose bambine, preceduti da quasi tutti gli altri paesi africani. Si salva il solo Rwanda che secondo il rapporto, “ ha la più alta percentuale di donne parlamentari nel mondo e sta anche facendo relativamente bene nel prevenire i matrimoni precoci e le gravidanze adolescenziali rispetto ad altri paesi a basso reddito. Collocandosi così 49° posto nell'indice, rispetto ai suoi vicini Burundi e Tanzania rispettivamente a 107 e 118”. Il Rapporto ricorda altresì come nella  parità di genere fra i parlamentari, indipendentemente dalle dimensioni della loro economia, il Rwanda è in cima alla tabella con il 64% di parlamentari donne, seguita da Bolivia e Cuba. Al contrario, solo il 19% dei membri del Congresso degli Stati Uniti sono donne, e solo il 29% dei membri del Parlamento del Regno Unito. Ricordiamo che la testa della classifica generale è occupata dalla Svezia, seguita dagli  altri due Paesi scandinavi, Finlandia e Norvegia,  mentre l’Italia si piazza in decima posizione, davanti a Spagna e Germania.

martedì 11 ottobre 2016

Reazioni alla risoluzione UE e alla riapertura delle indagini francesi sul 6 aprile 1994

Il Parlamento rwandese, nella seduta di ieri  10 ottobre, ha preso in esame  la risoluzione del  Parlamento UE, di cui abbiamo riferito in un precedente post, respingendola  in toto e sollecitando lo stesso  Parlamento europeo a ritirarla in quanto basata su false ricostruzioni dei fatti, oltretutto acquisiti  in occasione  di una visita di parlamentari europei in Rwanda avente ben diverso scopo.La  risoluzione, di cui allo stato non si conosce il testo definitivo,  essendo disponibile solo uno stringato comunicato sul sito del parlamento,  sarà presentata al Consiglio dell'UE, alla Commissione europea, al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, al Segretario generale dell'ONU, alle istituzioni dell'Unione africana, della Comunità dell'Africa orientale, l'ACP-UE Assemblea parlamentare paritetica , ai parlamenti degli Stati membri dell'Unione europea e per esortarli a non prendere in considerazione una tale risoluzione in quanto infondata, in contrasto con i fatti e basata esclusivamente su ragioni politiche.
Nel frattempo si preannunciano  nuove nuvole nei rapporti con la Francia, dopo che la magistratura francese ha deciso di riaprire l'indagine sull'abbattimento dell'aereo che ha  provocato la morte dell'ex presidente Juvénal Habyarimana e del suo omologo burundese il 6 aprile 1994, fatto scatenante la tragedia rwandese.
Secondo i media, la riapertura del caso, dopo che tutto sembrava concluso,  si baserebbe sulla necessità di raccogliere la testimonianza fornita dall'ex capo di stato maggiore dell'esercito rwandese, gen.  Kayumba Nyamwasa, già alto esponente del FPR  attualmente in esilio in Sud Africa dove è stato oggetto anche di un paio di attentati,  che ha sempre sostenuto in diverse dichiarazioni, non aventi però valenza testimoniale, la responsabilità di Kagame nell'organizzazione dell'attentato. Lo stesso presidente rwandese ha reagito con forza respingendo le accuse e dichiarando che "dovrebbe essere la Francia ad  essere processata per genocidio, non certo il Rwanda."

venerdì 7 ottobre 2016

Il Parlamento Europeo a favore di V. Ingabire e del rispetto dei diritti umani in Rwanda

Il Parlamento europeo ha approvato nella sessione plenaria di ieri una risoluzione  sul Rwanda, e sul caso Ingabire in particolare, in cui si esprime profonda preoccupazione per lo stato dei diritti civili nel paese e, come riferisce un comunicato del Parlamento,  per il rifiuto della Corte suprema rwandese di accogliere l'appello e la conseguente condanna di Victoire Ingabire a 15 anni di reclusione e per il peggioramento delle condizioni della sua detenzione. In data 30 ottobre 2012, la signora Ingabire, Presidente delle forze democratiche unificate (UDF), è stata accusata di cospirazione per danneggiare le autorità con atti di terrorismo e di minimizzare il genocidio del 1994.Le autorità del Rwanda dovrebbero garantire che processo di appello di Victoire Ingabire sia giusto, dice il testo. I deputati condannano ogni atto di intimidazione, arresto, detenzione dei leader, iscritti e militanti del partito di opposizione, così come dei giornalisti e delle altre persone percepite come  critici del governo rwandese, solo per aver espresso le proprie opinioni.Riconoscendo che il Rwanda è uno dei pochi paesi africani che giocano un ruolo di primo piano nel raggiungimento degli Obiettivi di Sviluppo del Millennio, i deputati sollecitano il governo ad estendere questi risultati economici e sociali al campo dei diritti umani, al fine di completare la transizione verso una democrazia moderna e inclusiva.
Di seguito sono riportate le conclusioni della risoluzione, consultabile cliccando qui.

giovedì 6 ottobre 2016

Il nuovo libro del cardinale africano Robert Sarah

E’ uscito in questi giorni il nuovo libro del card. Robert Sarah, prefetto della Congregazione vaticana per il Culto Divino: "La force du silence", La forza del silenzio, curato come il precedente, Dieu ou rien", Dio o niente: 335 mila copie vendute in tredici lingue, dal giornalista Nicolas Diat. Attendiamo di poter disporre dell'edizione italiana che presto uscirà per i tipi di Cantagalli. Nel frattempo, proponiamo ai nostri lettori qualche stralcio del libro disponibile in rete.
Ricordiamo che una delle ultime uscite pubbliche del card. Sarah è stata in terra rwandese, in occasione della sua partecipazione, a metà settembre a Kigali, all'incontro promosso dalla Commissione Episcopale per la Famiglia sul tema "La famiglia in Africa e le sfide della modernità". In quella sede il cardinale  invitato i partecipanti ad approfondire "tutte le sfide, tutta la strategia globale che tendono a distruggere il rapporto tra uomo e donna, di travisare la relazione sessuale, per distruggere la famiglia ". Ha anche sollecitato un ritorno all'insegnamento di Dio, alla catechesi di Giovanni Paolo II e della rivelazione, come armi che possono consentire di affrontare il "mondo di oggi che è anti-Cristo, anti-Chiesa e anti-Dio". L'Africa deve attenersi alla sua concezione di una famiglia e difenderla."Vogliate proteggere la concezione divina della famiglia, nonostante l'emergenza distruttrice dell'Occidente" ha insistito. Per lui, l'Africa ha una grande ricchezza "la nostra famiglia", che è importante, centrale e preziosa.  "Una strategia strutturata in tutto il mondo tende ad opporre la donna all'uomo, liberandola della maternità, mentre la maternità è l'elemento più appagante delle donne. Esso si realizza pienamente quando in generosità, dà la vita ", ha sottolineato il cardinale. Eppure, "la Famiglia, ha aggiunto, deve essere rispettata nella sua originalità. Precede le strutture statuali e la politica ". Il cardinale Sarah ha poi chiesto ai partecipanti di non lasciare sparire "la catechesi di Giovanni Paolo II sul corpo umano, l'amore e la famiglia." Per questo la catechesi è in grado di aiutarci "per far fronte a questa strategia contro la donna e il rapporto di coppia." E' chiaro che distruggendo la famiglia si ha lo scopo di "distruggere Dio e la Chiesa". 

 Ecco alcuni passaggi del nuovo libro; ne segnaliamo uno particolarmente curioso, provenendo da un  cardinale africano:"in certe regioni dell'Africa deploro le processioni di offerta, lunghe e rumorose, fatte di danze interminabili....." che forse creerà qualche disorientamento presso i nostri amici rwandesi, ma che, vista la fonte, dovrebbe semmai  suggerire qualche riflessione.

domenica 2 ottobre 2016

Vigilare sul buon uso degli aiuti all'Africa sarebbe possibile

L’ottima Anna Bono, in successivi articoli sul sito on line La Nuova Bussola Quotidiana, ha richiamato l’attenzione dei lettori sul fondato rischio che gli aiuti che i paesi sostenitori indirizzano verso i paesi africani finiscano per la gran parte nelle tasche dei numerosi  governanti corrotti, spesso pure incapaci, che allignano nel continente africano.Pur con qualche lodevole eccezione, purtroppo la realtà non si discosta di molto dal fosco scenario prospettato. Non possiamo però rassegnarci a questo triste destino come paventato dalla Bono, pur convinti che la stessa studiosa auspichi qualche modo per superare questa sorta d'impasse, per due ordini di ragioni.
La prima: se togliamo ai paesi africani la possibilità di contare sugli aiuti esteri, li priviamo dell’unica vera e reale occasione di crescita delle loro economia  e dello sviluppo delle rispettive società che ne potrebbe conseguire, lasciando come unica alternativa quella di incentivare le migrazioni verso l’Europa alla ricerca di nuove prospettive di vita. A quel punto il problema graverebbe in toto sull’Europa, cui spetterebbe dare risposte al fenomeno migratorio, senza peraltro poter contare sulla leva dell’aiutiamoli a casa loro, intesa nella migliore delle sue accezioni, che, allo stato, rimane l’unica reale alternativa all’accoglienza incondizionata con tutte le ricadute da tutti conosciute.