Il nostro impegno in Rwanda a favore delle
popolazioni locali data ormai da quindici anni, tre lustri.
Pur rinnovandosi anno dopo anno, restiamo fedeli a
quella scelta iniziale di portare l’aiuto, nella misura consentitaci dalla
generosità di tanti amici e benefattori, là dove queste persone bisognose
vivono: il Rwanda.
Ispiriamo questa nostra scelta al costante
magistero pontificio: quello di Benedetto XVI quando, nel Messaggio per
la giornata mondiale del migrante e del rifugiato del 2013, scrive che
“prima ancora che il diritto a emigrare, va riaffermato il diritto a non
emigrare, cioè a essere in condizione di rimanere nella propria terra,
ripetendo con il santo Giovanni Paolo II che «diritto primario
dell’uomo è di vivere nella propria patria: diritto che però diventa effettivo
solo se si tengono costantemente sotto controllo i fattori che spingono
all’emigrazione» e di papa Francesco, quando, nello stesso Messaggio del
2016, chiede che milioni di africani possano “vivere con dignità, anzitutto
esercitando il diritto a non emigrare per contribuire allo sviluppo del loro
Paese ". Soprattutto ci interpellano i vescovi africani che, in occasione
di un grande incontro panafricano di giovani, hanno esortato la loro
gioventù a non lasciarsi attrarre dalle sirene di un inesistente posto di
lavoro in occidente, ma ad impegnarsi nei rispettivi paesi per il futuro
del continente.
Per noi “Aiutiamoli a casa loro”, lungi
dall’essere un abusato e strumentale slogan propagandistico, significa dare
concretezza a questi auspici rispondendo innanzitutto a un principio di equità
e secondariamente a un efficace utilizzo delle scarse risorse finanziarie
disponibili.
E', infatti, equo ricordarci oltre che delle
decine di migliaia di migranti economici ( che per correttezza sarebbe bene
distinguere dalla minoranza degli aventi diritto alle forme di protezione
internazionale) anche delle centinaia di milioni di africani che rimangono nei
rispettivi paesi e lì vogliono costruirsi un futuro dignitoso, anche
se le loro storie non entrano nei dibattiti televisivi o negli
approfondimenti giornalistici.
E’ altresì corretto chiedersi quale sia il miglior
utilizzo delle ingenti risorse finanziarie che vengono comunque stanziate per
far fronte ai flussi migratori, tenuto conto del ben diverso valore di un euro
in termini di merci e servizi acquistabili a seconda che lo stesso sia speso
da noi, piuttosto che in Africa.
Dal 2002 ad oggi, anno dopo anno, abbiamo visto
quali cambiamenti possano intervenire in un paese in cui gli aiuti
ricevuti da istituzioni e privati vengano messi a frutto, con una gestione
corretta.
Nel tempo, a fatica e pur fra mille
contraddizioni, in cui il percorso nella conquista delle libertà civili è
ancora lungo e accidentato e il solco che divide il livello di vita tra
città e campagne rischia di accentuarsi, si stanno purtuttavia
creando in Rwanda le condizioni perché il diritto a rimanere non sia un
vuoto slogan, ma una reale alternativa, e la tentazione di migrare non faccia
breccia nei giovani rwandesi che, in effetti, non sono tra i migranti che
sbarcano dai barconi.
Continueremo quindi, anche in questo nuovo anno, nella
nostra missione in Rwanda, grazie soprattutto alla concreta vicinanza di tutti
voi.