L’ottima Anna Bono, in successivi articoli sul sito on line La Nuova Bussola Quotidiana, ha richiamato l’attenzione dei
lettori sul fondato rischio che gli aiuti che i paesi sostenitori indirizzano
verso i paesi africani finiscano per la gran parte nelle tasche dei
numerosi governanti corrotti, spesso
pure incapaci, che allignano nel continente africano.Pur con qualche lodevole
eccezione, purtroppo la realtà non si discosta di molto dal fosco scenario prospettato.
Non possiamo però rassegnarci a questo triste destino come paventato dalla Bono, pur convinti che la stessa studiosa auspichi qualche modo per superare questa sorta d'impasse, per
due ordini di ragioni.
La prima: se togliamo ai paesi africani la possibilità di
contare sugli aiuti esteri, li priviamo dell’unica vera e reale occasione di
crescita delle loro economia e dello
sviluppo delle rispettive società che ne potrebbe conseguire, lasciando come
unica alternativa quella di incentivare le migrazioni verso l’Europa alla ricerca
di nuove prospettive di vita. A quel punto il problema graverebbe in toto
sull’Europa, cui spetterebbe dare risposte al fenomeno migratorio, senza
peraltro poter contare sulla leva dell’aiutiamoli a casa loro, intesa nella
migliore delle sue accezioni, che, allo stato, rimane l’unica reale alternativa
all’accoglienza incondizionata con tutte le ricadute da tutti conosciute.
La seconda: tagliare gli aiuti, perché non si è in grado
di assicurare che gli stessi siano correttamente finalizzati, significa alzare
bandiera bianca di fronte alla diffusa corruzione del ceto politico e
burocratico dei paesi africani e, di nuovo, abbandonare quei paesi a se stessi
e ai loro problemi.
In realtà, i paesi donatori avrebbero gli strumenti per
intervenire su entrambi i fronti, a patto che, superando ogni recondito falso
senso di colpa circa il passato coloniale, siano disposti a interventi anche
“invasivi” su quei paesi: nella gran parte dei casi non si tratta di violare
una inesistente sovranità nazionale, ma molto più semplicemente la
suscettibilità dell’autocrate locale.
Gli aiuti erogati, preferibilmente ai bilanci dello stato,
dovrebbero essere condizionati a standard comportamentali, possibilmente
condivisi dalla comunità dei donatori, a cui i governanti africani dovrebbero
sottostare e su cui dovrebbero vigilare, in primis, autorità internazionali
indipendenti e su cui dovrebbe farsi
sentire anche la società civile locale, il cui sviluppo dovrebbe trovare
adeguato spazio nei programmi d’intervento dei paesi donatori. Senza
dimenticare che quando si realizza un utilizzo corretto degli aiuti ricevuti,
per capacità dei governanti e/o per la vigilanza di donatori, si innesca un
circolo virtuoso, in cui il buon uso fatto degli aiuti ricevuti ne richiama di
nuovi: ne è una conferma il Rwanda,
giudicato dal Forum economico di Davos uno dei migliori utilizzatori al mondo (
7° nella classifica mondiale) dei fondi ricevuti dalla comunità internazionale.
I paesi donatori possono dire la loro anche sul fronte del
contrasto delle diffusa corruzione nella classe di dirigente africana. Si
prenda il caso, citato dalla Bono in un suo recente articolo, di quei due
generali del Sud Sudan, avversari in patria nell’immancabile guerra civile
africana, che si trovano quasi condomini a Nairobi, dove si sono acquistati un
appartamento milionario che il loro stipendio, di qualche decina di migliaia di
dollari annui, mai avrebbe permesso
loro di acquistare, se non grazie alle integrazioni derivanti dalla corruzione.
Ebbene, se le autorità keniane fossero state costrette a rispettare le normative
internazionali antiriciclaggio che si applicano alle Persone esposte politicamente ( PEP- Politically
Exposed Person) emanate a livello internazionale dal GAFI
(Gruppo di Azione Finanziaria Internazionale in inglese FATF -Financial Action Task Force), come
avrebbe richiesto l’adesione dello
stesso Kenya all’ESAAMLG, il gruppo dei paesi dell’Africa orientale e
meridionale che si sono impegnati a dare attuazione alle 40
raccomandazione dello stesso GAFI per il contrasto del riciclaggio del denaro di
fondi illeciti o ad altri reati quali la corruzione o concussione, forse quella
transazione immobiliare non sarebbe stata possibile. E come quella transazione
non sarebbero possibili le numerose altre transazioni finanziarie che avvengono
a tutte le latitudini da parte di autocrati e loro parenti. Di per sé le normative
a livello internazionale ci sarebbero, il problema è tutta nella volontà dei
singoli paesi, occidentali ed africani, nell’applicarle e, soprattutto, con
quale grado di incisività. Infatti,
quanti governanti africani possiedono, direttamente o in maniera
schermata, immobili a Parigi, Londra o New York? Senza peraltro dimenticare che a fronte dei corrotti, esistono
sempre i corruttori, che nel caso saremmo noi occidentali, sempre pronti ad
allungare una mazzetta, più o meno grande, per accaparrarsi un buon
affare. Purtroppo, qualche fascicolo aperto per corruzione internazionale è
giacente anche presso i tribunali italiani.
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