La recente Dichiarazione “Fiducia supplicans” sul senso pastorale delle benedizioni emessa del Dicastero per la Dottrina della Fede a firma del prefetto card. Víctor Manuel FERNÁNDEZ ha creato non poco disorientamento, confusione ed altrettante polemiche nella Chiesa d'Africa. Tanto che diverse Conferenze Episcopali nazionali si sono pronunciate al riguardo, a partire dalla Conferenza del Malawi, dello Zambia, della Nigeria, dichiarando esplicitamente che mai avrebbero ammesso la benedizione delle coppie dello stesso sesso in quanto in contraddizione alla legge di Dio ed alla stessa cultura africana. Queste prime reazioni hanno indotto lo stesso Presidente delle Conferenze episcopali d'Africa e Madagascar, card. Fridolin Ambongo, a promuove una consultazione tra tutte le conferenze episcopali africane sulla Fiducia Supplicans, per pervenire, nello spirito di sinodalita', all'emanazione di una dichiarazione pastorale valida per tutto il continente. Anche la Conferenza Episcopale del Rwanda ha emanato una dichiarazione in cui, prendendo spunto dal disorientamento creatosi nelle comunità cattoliche ruandesi, chiariscono che, ferma restando la validità della dottrina sul matrimonio cristiano, mai la Chiesa potrà "benedire le relazioni omosessuali perché lo farebbe contraddicendo la legge di Dio e la nostra cultura". Di fronte a queste reazioni della Chiesa d'Africa c'è qualcuno, come il giornalista di Famiglia Cristiana, Roberto Zichittella, che liquida il tutto con uno sprezzante tweet in cui scrive: "I vescovi della Chiesa cattolica africana, da sempre fra i più retrogradi e omofobi in circolazione, si schierano in maggioranza contro la benedizione delle coppie omosessuali autorizzata dal documento “Fiducia supplicans”. Il futuro della Chiesa non sarà certo in Africa". Non si capisce fin dove arrivi l'arroganza di un giornalista schierato ed inizi invece l'ignoranza sulla situazione della Chiesa africana che per spiritualità e numeri nulla ha da imparare dalle altre chiese dei vari continenti.
Pagine
venerdì 22 dicembre 2023
mercoledì 13 dicembre 2023
venerdì 24 novembre 2023
L'immigrazione tra arrivi regolamentati ed irregolari alla luce del Decreto flussi
Il 27 settembre scorso è stato emanato il Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri "Programmazione dei flussi d'ingresso legale in Italia dei lavoratori stranieri per il triennio 2023-2025". Alla luce di questo provvedimento saranno ammessi in Italia complessivamente 452 mila cittadini stranieri, per motivi di lavoro subordinato stagionale e non stagionale e di lavoro autonomo, così suddivisi:136.000 cittadini stranieri per l'anno 2023; 151.000 cittadini stranieri per l'anno 2024; 165.000 cittadini stranieri per l'anno 2025. Con questo provvedimento si dà attuazione ai famosi canali d’entrata regolari, come da tempo auspicato dalle varie componenti impegnate sul fronte migratorio, dalle Ong al mondo del volontariato ecclesiale fino alle cooperative di vario orientamento politico. Va detto che il provvedimento non ha raccolto, sino ad oggi, in questo specifico mondo gli apprezzamenti che ci si poteva aspettare dai fautori di una simile misura. A questo punto sarà molto interessante verificare come all'entrata in vigore del provvedimento e all'arrivo dei primi migranti regolari reagiranno i fautori di un’immigrazione senza regole. In assenza di ogni sorta di alibi per sostenere l’immigrazione gestita dagli scafisti, si rassegnerà il variegato mondo che ruota attorno alla gestione dell’immigrazione irregolare a riconoscere la bontà della scelta governativa, abdicando al ruolo di soli paladini dei migranti? Di più, qualora il Governo dovesse stabilire che il numero degli ingressi regolamentati sia quello che fisiologicamente l’Italia è in grado di gestire per garantire efficaci processi di accoglienza di integrazione per i nuovi arrivati, potrebbero seguire ulteriori provvedimenti governativi. In particolare, potrebbe verificarsi che le autorità possano stabilire che quello contenuto nel Decreto sia annualmente il numero massimo di ingressi, regolamentati ed irregolari, ammessi e decidesse conseguentemente di correlare l’intero numero degli ingressi programmati nel Decreto a quello dei flussi irregolari, andando conseguentemente a diminuire il numero degli arrivi programmati del numero degli arrivi irregolari. Si vedrà allora se ci sarà qualcuno che avrà il coraggio di sostenere che un migrante irregolare possa sottrarre il diritto ad altri migranti di entrare regolarmente in Italia. Naturalmente queste nostre osservazioni si dovrebbero applicare ai soli migranti economici, con esclusione di tutte le persone aventi i requisiti per avvalersi degli istituti di protezione internazionale vigenti.
venerdì 10 novembre 2023
Il modello Rwanda funziona anche nella gestione dei rifugiati
Nel momento in cui in Italia si dibatte sull'accordo Italia-Albania sulla gestione dei migranti ed alla vigilia, la prossima settimana, della pronuncia della Suprema Corte britannica sull'accordo Gran Bretagna-Rwanda sulla stessa materia, arriva un comunicato dell’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (OIM) che fa giustizia di tante critiche che tali provvedimenti hanno suscitato, soprattutto con riferimento al ruolo del Rwanda nella gestione dei rifugiati. Infatti, il richiamato comunicato si premura di illustrare quanto fatto in materia dal Rwanda negli ultimi anni, ricordando come con la partenza, l'otto novembre scorso, di 13 rifugiati su un volo per Toronto, Canada, ammontano a 30.000 i rifugiati che a partire dal 2010, con l'assistenza dell'OIM, sono stati reinsediati in altri Paesi. La partenza più recente segna un traguardo fondamentale per l’Organizzazione e riconferma l'impegno della stessa a trovare soluzioni durevoli per i rifugiati e le persone bisognose di protezione internazionale. Durante tutto il programma di reinsediamento, l’Organizzazione facilita i colloqui da parte dei Paesi di reinsediamento, le valutazioni sanitarie, lo screening e il rinvio, nel corso del 2023culturale prima della partenza, nonché il trasporto e l’accoglienza sicuri nel Paese di destinazione finale. Ciò consente all’OIM di prendersi cura dei migranti e dei rifugiati durante tutto il loro viaggio mentre ricominciano la loro vita nella loro nuova casa. Secondo l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (UNHCR), al 30 settembre 2023 il Rwanda ospita oltre 135.000 rifugiati e richiedenti asilo . Quando altre soluzioni per i rifugiati sono irraggiungibili, il reinsediamento può essere l’unica opzione fattibile per fornire una protezione efficace e soddisfare le esigenze bisogni dei rifugiati i cui diritti fondamentali sono gravemente a rischio. Per soddisfare questa enorme esigenza, l’OIM continua a crescere in portata e complessità in Rwanda. Finora, nel corso del 2023, oltre 6.600 persone hanno ricevuto assistenza per il reinsediamento. Tra le persone reinsediate ci sono 1.288 persone che erano state inizialmente evacuate dalla Libia al Rwanda, attraverso il meccanismo di transito di emergenza (ETM).Soluzioni durevoli come il reinsediamento aiutano a facilitare percorsi migratori regolari per migranti e rifugiati in linea con l’obiettivo 10.7 degli Obiettivi di sviluppo sostenibile “facilitare la migrazione e la mobilità ordinata, sicura e responsabile delle persone” e l’obiettivo cinque del Global Compact for Safe , Migrazione ordinata e regolare .
lunedì 30 ottobre 2023
Rwanda, primo in Africa per il WJP Index sullo stato di diritto
Un importante e, forse, imprevisto riconoscimento per il Rwanda arriva dalla pubblicazione dell’indice
sullo stato di diritto del World
Justice Project (WJP) che valuta lo status di molti dei diritti umani
elencati nella Dichiarazione universale dei diritti umani.
venerdì 20 ottobre 2023
A project for the Mattei Plan for Africa
Paul Kagame - Giorgia Meloni |
and Cc HE
Paul Kagame, President of Rwanda
the announcement of a Mattei Plan for Africa, which should see Italy engaged in a partnership of equals with African countries, has fueled many hopes regarding the launch of a new approach to Africa, after years in which the continent was seen and perceived as a mere starting point for migratory flows. The fact that the contents are not yet known can only leave prejudicial critics perplexed, certainly not the world of volunteering operating in Africa which knows well the difficulties encountered in implementing even the smallest of projects which are actually very distant from the ours by culture, habits and governance. However, the recent allocation of three billion euros, from the climate fund, has in fact set in motion the process of launching the Plan, awaiting its formalization postponed to the beginning of 2024. Precisely taking inspiration from the aforementioned allocation, which has aroused criticism from environmentalists in actual permanent service, drives the proposal we are going to formulate.
Piano Mattei per l'Africa: un progetto con cui si potrebbe partire
S.E. Paul Kagame e on. Giorgia Meloni |
e p.c. S.E. Paul Kagame, presidente del Rwanda
l’annuncio di un Piano Mattei per l’Africa, che dovrebbe vedere l’Italia impegnata in un partenariato tra pari con i Paesi africani, ha alimentato molte speranze circa l’avvio di un nuovo approccio all’Africa, dopo anni in cui il continente è stato visto e percepito come mera base di partenza dei flussi migratori. Il fatto che ancora non se ne conoscano i contenuti può lasciare perplessi solo i critici pregiudiziali, non certo il mondo del volontariato operante in Africa che ben conosce le difficoltà che si incontrano nel metter in campo anche il più piccolo dei progetti in realtà molto distanti dalla nostra per cultura, abitudini e governance. Il recente stanziamento di tre miliardi di euro, a valere sul fondo per il clima, ha però di fatto messo in moto il processo d’avvio del Piano, in attesa della sua formalizzazione rinviata ad inizio 2024.Proprio prendendo spunto dal richiamato stanziamento, che ha suscitato le critiche degli ambientalisti in servizio permanente effettivo, muove la proposta che andiamo a formulare.
giovedì 19 ottobre 2023
Gli interventi per lo sviluppo secondo Benedetto XVI
lunedì 9 ottobre 2023
Rwanda ed Africa nell'intervista del presidente Kagame ad Al Jazeera
In una lunga intervista concessa all'emittente Al Jazeera, il presidente ruandese Paul Kagame ha affrontato diversi argomenti di politica interna, ma anche riguardanti l'Africa ed il suo futuro. Riferendosi al Rwanda ha riaffermato, riferendosi alla sua candidatura alle prossime presidenziali, la capacità dei ruandesi di fare scelte ed assumere decisioni in linea con i loro interessi. Anche perchè " i ruandesi non sono inferiori a nessuno quando si tratta di esprimere giudizi". Kagame ha sottolineato l’unità tra i ruandesi all’indomani della tragedia del 1994, sottolineando l’emergere di obiettivi ambiziosi tra gli individui guidati da un desiderio collettivo di superare le avversità. Ha sottolineato che i ruandesi sono capaci come chiunque altro e dovrebbero avere il controllo del proprio destino: "In ogni caso, questo non può essere risolto da nessuno al di fuori del Rwanda. Gli attori esterni possono contribuire, ma non possono sostituire i ruandesi nell'affrontare i nostri problemi complessi". Il presidente ha poi delineato la visione di una nazione unificata e prospera in cui i cittadini possano godere di una vita normale e pacifica, citando gli sviluppi positivi in corso nel paese. Ha quindi aggiunto che "questo è un viaggio che dobbiamo intraprendere, ed è lungo. Ma il nostro obiettivo finale è garantire la stabilità, la libertà per tutti, la convivenza e, soprattutto, lo sviluppo sociale ed economico, che alcune parti del mondo hanno preso per concesso".
domenica 1 ottobre 2023
mercoledì 27 settembre 2023
L'ultimo libro di Rampini:un ottimo reportage con qualche ma
A lettura ultimata del libro di Federico Rampini, La speranza africana, non possiamo nascondere una certa delusione. Si tratta sicuramente di un ottimo reportage giornalistico con un'apprezzabile visione geopolitica, con forse qualche ripresa di troppo di vecchie corrispondenze dell'autore.il contenuto tradisce però le attese create da un importante lancio editoriale e dalle numerose e intriganti presentazioni che ne aveva fatto l'autore, una delle quali ripresa nel precedente post. Infatti, dato atto all'autore del grande merito di aver demolito diversi luoghi comuni che nel tempo si sono venuti via via stratificando sull'Africa, a partire dal diffuso afropessimismo, e delle letture che ne fa il politicamente corretto occidentale, va detto che la "speranza" del titolo sembra concretizzarsi più nel successo di diversi artisti africani che non nelle realizzazioni statuali che nel tempo si sono via via affermate sul continente. Successi sbrigativamente trattati in un unico capitolo. Anche volendo attribuire al libro un taglio meramente giornalistico, ci sembrano francamente troppi i capitoli dedicati al Sud Africa che, pur dimensionalmente importante, non si può certo dire rappresenti uno spaccato significativo del continente data la sua storia del tutto particolare, seppur interessante, e meno che meno un esempio per gli altri paesi africani.Esempio che invece potrebbero rappresentare paesi come il Rwanda in cui le variabili che concorrono al successo di un paese, dalla governance alla gestione economica e sociale, sono adeguatamente declinate dalle locali classi dirigenti, una volta tanto non tacciabili di corruzione.Forse è di queste esperienze che può alimentarsi una reale speranza africana; speranza che sappia dare ai giovani africani reali prospettive per costruire una vita meritevole di essere vissuta nei rispettivi Paesi.
lunedì 11 settembre 2023
La speranza africana: l'ultimo libro di Federico Rampini
sabato 9 settembre 2023
Se l'emergenza sbarchi ci fa dimenticare l'Africa con i suoi 1.300 milioni di abitanti
venerdì 25 agosto 2023
Il mondo moderno ha le radici in Africa
Cos'ha portato alla nascita del mondo moderno? A scuola ci è
stato insegnato che l'origine della modernità affonda le proprie radici nelle
grandi scoperte geografiche del XV secolo; nello sviluppo del metodo
scientifico e delle innovazioni industriali; nel diffondersi di nuove abitudini
alimentari e di consumo; nel ruolo giocato dalle società del Vecchio
Continente, con la loro ingegnosità e inventiva, e nel fermento dei grandi
ideali civili... Il libro L'Africa e la nascita del mondo moderno ( ed. Rizzoli, euro 25) del
giornalista e scrittore americano, Howard W. French, in cui si racconta la storia dell'Africa dal 1400 al
1900, ci presenta una storia diversa ,evidenziando il ruolo
che il continente africano, attraverso le sue società ed i suoi abitanti, ha giocato
nello sviluppo del mondo moderno. In
un'ampia narrazione che abbraccia oltre sei secoli, dalle prime relazioni
commerciali tra Portogallo e Africa all'abolizione delle leggi segregazioniste
negli Stati Uniti, l'autore ricostruisce come il destino dell'Occidente sia
stato forgiato sfruttando risorse e manodopera africane. French inizia il suo
libro con una descrizione della ricchezza e della complessità delle società
africane prima dell'arrivo degli europei. Mostra come l'Africa fosse sede di
grandi imperi e come fosse un
importante centro di commercio e di scambio culturale. Proprio le coste di
questi imperi furono le prime mete ad attirare i navigatori europei, attratti
dalle ricchezze ivi presenti, a partire dall'oro. Subito dopo l'oro,
l'attenzione degli europei si riversò sulle braccia dei tanti schiavi che i
regnanti africani del luogo erano in grado di mettere a disposizione dei
mercanti. Sulla forza lavoro di oltre dodici milioni di schiavi deportati
dall'Africa verso le Americhe come manodopera a bassissimo costo sorsero le piantagioni, prima
della canna da zucchero e poi del cotone, le materie prime che crearono
ricchezza a partire dall'Atlantico per i Paesi europei ed alimentarono le
rispettive economie fino ad innescare i processi che portarono alla rivoluzione
industriale dell'Occidente, Stati Uniti compresi, dove l'importanza della schiavitù è così riassunta nell'Introduzione, "Il valore creato dal commercio e
dalla proprietà di schiavi negli Stati Uniti – distinto da quello del cotone e
di altri prodotti coltivati dagli schiavi – era superiore a quello di tutte le
fabbriche, le ferrovie e i canali del paese messi insieme."
venerdì 18 agosto 2023
Giovanni Davite è il nuovo Console onorario italiano a Kigali
Giovanni Davite |
giovedì 17 agosto 2023
Come l'Africa può diventare destinataria degli insediamenti industriali ad alta intensità tecnologica
Con le sue abbondanti risorse e un mercato dei consumi in crescita, l'Africa può diventare una delle principali destinazioni manifatturiere per le industrie ad alta intensità tecnologica e un anello vitale nelle catene di approvvigionamento globali. Lo sostiene la Conferenza delle Nazioni Unite sul commercio e lo sviluppo (UNCTAD) nel suo Rapporto 2023 sullo Sviluppo economico in Africa rilasciato nei giorni scorsi a Nairobi. Le catene di approvvigionamento comprendono i sistemi e le risorse necessarie per sviluppare, produrre e trasportare beni e servizi dai fornitori ai consumatori. L'abbondanza di minerali e metalli essenziali in Africa, come alluminio, cobalto, rame, litio e manganese, componenti vitali per le industrie ad alta intensità tecnologica, rende il continente una destinazione attraente per i settori manifatturieri, in particolare quelli dell'automobile, dell'elettronica, delle energie rinnovabili, dei prodotti farmaceutici e dei dispositivi medici. L'Africa offre anche vantaggi come un accesso più breve e più facile agli input primari, una forza lavoro più giovane, esperta di tecnologia e adattabile e una fiorente classe media, nota per la sua crescente domanda di beni e servizi più sofisticati. Il Rapporto sottolinea che la creazione di un ambiente favorevole per le industrie ad alta intensità tecnologica consentirebbe un aumento dei salari nel continente, attualmente fissato a un minimo di $ 220 al mese, rispetto a una media di $ 668 nelle Americhe. Un'ulteriore integrazione nelle catene di approvvigionamento globali diversificherebbe anche le economie africane e rafforzerebbe la loro resilienza agli shock futuri. L'espansione delle catene di approvvigionamento energetico in Africa è anche un'opportunità per accelerare l'azione per il clima.
lunedì 7 agosto 2023
Come finalizzare al meglio i fondi inviati in Africa: il modello Kwizera
Qualche anno fa, navigando su internet, ci imbattemmo nel sito di un'importante Ong svizzera in cui veniva illustrato un progetto che la stessa Ong diceva di aver realizzato in Rwanda. Quel progetto ci era particolarmente familiare. Si trattava infatti del terrazzamento di una collina nel villaggio di Niynawimana, un villaggio situato nel nord del Rwanda, con annessa realizzazione di una moderna fattoria ( stalla, cisterne e magazzino di stoccaggio), né più né meno della medesima realizzazione portata a termine a partire dal 2004 dall’Associazione Kwizera, come documentato nella nostra pubblicazione Kwizera Rwanda del 2011, a partire da pag 119. L'intervento era stato attuato, appoggiandosi su referenti locali, don Paolo Gahutu, allora responsabile dell'Economato diocesano e fratel Francois, esperto in opere di terrazzamento, e seguendo i lavori dall'Italia, secondo modalità operative messe in campo dall’associazione nella realizzazione dei propri progetti in terra ruandese. Modalità molto semplici: seguire ogni singolo progetto con propri uomini di fiducia sul campo, dall'iniziale fase progettuale, agli stati di avanzamento fino alla sua realizzazione, dal budget di spesa al rendiconto finale. Perché raccontiamo questo episodio? Lo raccontiamo perché abbiamo letto nei giorni scorsi l'intervento dell'africanista Anna Bono sul La Nuova Bussola Quotidiana in cui si paventava che un piano Marshall per l'Africa possa comportare il rischio che i fondi che i governi occidentali stanziano per interventi in Africa possano andare ad ingrassare le autocrazie locali invece che a finanziare reali progetti di sviluppo. Se è lecito portare la piccola esperienza di una realtà dalle dimensioni contenute come l'Ass. Kwizera, che ha pur sempre realizzato in Rwanda progetti per oltre un milione e mezzo di euro negli ultimi 15 anni, possiamo dire che la malversazione dei fondi degli aiuti può essere evitata se il donatore si fa carico di seguire e realizzare direttamente i progetti che intende finanziare, avvalendosi di propri fiduciari in zona. Nel momento in cui si applicano queste prassi la possibilità che i fondi dei donatori siano utilizzati in maniera fraudolenta per altri fini o piuttosto che vadano a finanziare figurativamente progetti che sono già stati finanziati da altri donatori, come nel caso illustrato, si riduce drasticamente. Quindi se il donatore si fa carico di seguire localmente l'individuazione, con le autorità locali, dell'opera da finanziare, di richiedere i relativi budget a realtà locali, confrontandoli tra loro e con i prezzi di mercato esistenti su piazza, il rischio di malversazione sui fondi dei donatori si riducono effettivamente al minimo, anche se sicuramente anche qualche euro dall'Associazione sarà finito impropriamente in qualche tasca dove non doveva arrivare per qualche costo gonfiato, ma la grossa parte dei fondi stanziati si sono concretizzati nei relativi progetti. Volendo trasferire questa piccola esperienza ad una realtà più grande come quella governativa si potrebbe pensare che gli stanziamenti governativi a favore di un paese africano possono concretizzarsi in realizzazione di opere strutturali, nei più vari campi, effettuate direttamente dal donatore, piuttosto che farli transitare dalle mani delle varie autorità locali, perché non succeda, nel migliore dei casi, quello che è successo con la Ong straniera che aveva sì mandato proprio i fondi in Rwanda, non seguendone però il conseguente utilizzo, salvo vedersi riconosciuto la realizzazione del progetto, realizzato e finanziato da altri, con il conseguente dirottamento dei fondi stanziati ad altre finalità più o meno nobili. Se poi l'esperienza di una piccola realtà associativa non risultasse convincente, forse andrebbero studiate le politiche messe in atto dalla Cina in Africa, certo non sempre convincenti e condivisibili sotto diversi aspetti, ma che comunque difficilmente si prestano alle malversazione paventate dalla brava, anche se un po' pessimista, professoressa Bono.
mercoledì 26 luglio 2023
Rwanda: brilla l'export di oro in attesa di una moneta d'oro ruandese
Cercatori d'oro nella zona di Miyove |
sabato 22 luglio 2023
Continua la digitalizzazione della giustizia ruandese
Prosegue la digitalizzazione dell'amministrazione della giustizia in Rwanda, dopo che nel 2017 era stato adottato il Sistema integrato di gestione elettronica dei casi (IECMS), che consente la gestione digitale dei casi giudiziari, la cui documentazione è tutta consultabile on-line dalle diverse parti in causa (clicca qui). Ora, come riferisce The New Times qui, si compie un ulteriore passo con l'introduzione di un nuovo strumento informatico, il Judicial Management Performance System (JPMS). Il nuovo sistema migliora le prestazioni della magistratura, monitorando l'avanzamento del lavoro rispetto agli obiettivi, il rispetto dei budget, i tempi di trattazione di una causa, dal momento in cui un caso viene portato all'attenzione dei giudici a quando arriva a processo. Uno strumento che potrebbe trovare applicazione anche da noi visti tempi e modi con cui viene amministrata la giustizia italiana.
sabato 24 giugno 2023
Pubblicati gli elenchi dei destinatari del 5x1000 del 2022
Sono stati pubblicati sul sito dell’Agenzia delle entrate gli importi che gli enti che hanno accesso al 5 per mille 2022 riceveranno. La parte del leone lo hanno fatto le solite organizzazioni, come evidenziato qui di seguito.
L'Associazione Kwizera odv e' stata scelta da 49 contribuenti, ai quali va il nostro ringraziamento, per un ammontare di 2.985 euro.
martedì 13 giugno 2023
In accordo con l l'UNHCR, arrivati in Rwanda 134 rifugiati dalla Libia
Sono arrivati ieri all’aeroporto di Kigali, 134 rifugiati e richiedenti asilo, provenienti dalla Libia nell’ambito dell’accordo tra il governo del Rwanda, l'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR) e l'Unione Africana.Firmato per la prima volta nel 2019 e successivamente rinnovato nel 2021, l'accordo ha portato alla creazione di un Meccanismo di Transito di Emergenza (ETM) che fornisce protezione, assistenza e soluzioni a lungo termine ai rifugiati vulnerabili e ai richiedenti asilo che si trovano intrappolati in Libia. L’ultimo arrivato è il 14esimo gruppo accolto nel Paese dall'inizio dell'evacuazione nel 2019 per un totale di oltre 1.600 persone. Secondo il ministero responsabile della gestione delle emergenze , l'ultimo gruppo comprende eritrei (64), sudanesi (35), somali (15), etiopi (17), due camerunesi e un maliano. Saranno alloggiati nel centro di transito di Gashora nel distretto di Bugesera. Da qui potranno trasferirsi in paesi terzi, ritornare nei paesi d'origine oppure optare per rimanere in Rwanda come cittadini. La validità dell’accordo trova conferma in una recente dichiarazione rilasciata al The New Times in aprile, dalla portavoce dell'UNHCR Rwanda, Lilly Carlisle, che ha espresso il desiderio dell'agenzia di estendere l'accordo in scadenza nel dicembre 2023.
venerdì 26 maggio 2023
Bilancio 2022 dell'Ass. Kwizera odv
Il bilancio 2022 dell'Associazione Kwizera odv, predisposto secondo il modello previsto dalla normativa vigente in materia, evidenzia una raccolta fondi di 17.040 euro. In Rwanda sono stati inviati 15.000 euro, mentre 500 euro, come l’anno scorso, sono stati donati a padre Damiano in Libano ed altri 500 euro sono stati inviati alla Caritas diocesana per gli aiuti alle popolazioni dell’Ucraina, mentre 2.000 euro della Raccolta parrocchiale sono stati inviati all’Ufficio missionario diocesano a favore di don Filippo Macchi. Si ricorda che in Rwanda è stato anche portato e consegnato al Posto di Sanità di Mubuga un ecografo portatile del valore circa 3.000 euro, donato dalla dottoressa Marinella Poggi. Complessivamente è stato quindi inviato in Rwanda un controvalore di 15.000 euro. Le spese sono state contenute in un totale di euro 1.242, per spese postali, bancarie e assicurative oltre alle spese inerenti la Missione 2022, per le quali si è attinto, come sopra detto, a specifica contribuzione. Al Progetto Adozioni, che coinvolge 33 bambini e ragazzi, sono andati Frw 2.930.000.Alla gestione dell’Asilo Carlin sono stati destinati per il pagamento degli stipendi delle tre insegnanti e le refezioni di mezza mattina Frw 2.660.400, non comprensiva degli stipendi dei primi 8 mesi, i cui conteggi non sono ancora stati confermati dalla parrocchia di Nyagahanga, a cui vanno aggiunti Frw 2.294.500 per la sostituzione della cisterna ed altri lavori di manutenzione (rifacimento pavimenti). Al Progetto Batwa, che questo anno si è concretizzato nella distribuzione di 5 kg di fagioli e 5 kg di farina di mais ai 65 nuclei familiari della comunità dei pigmei di Kibali e ai 28 nuclei della comunità di Miyive, sono stati destinati Frw 800.000, mentre il sostegno al monastero delle Clarisse di Nyinawimana, consistente in un contributo mensile di 100.000 Frw, sono stati destinati complessivamente Frw 1.310.000. Tra le altre spese vanno ricordate quelle erogate ai collaboratori locali e per sante messe per 800.000 Frw, a cui si aggiungono le spese relative alla gestione in loco (affitti, missione, spese varie) ammontanti a Frw 750.000. Altre spese hanno riguardato: l’acquisto di 4 cisterne, a ricordo del matrimonio di Gigi e Claudia, per un controvalore di Frw 1.440.000; il finanziamento di un alveare della parrocchia di don Paolo per Frw 500.000; interventi caritativi vari per Frw 1.150.000 (un intervento sanitario, l’acquisto di lamiere in occasione di danni da maltempo e consegna di beni di conforto ai carcerati).
lunedì 15 maggio 2023
La lettura del fenomeno migratorio da parte del presidente del Rwanda
Nel momento in cui il Rwanda ritorna all'attenzione dei media per il controverso accordo (clicca qui) sottoscritto con la Gran Bretagna sulla gestione dei migranti, ci pare interessante andare a conoscere come la pensi in materia di migrazioni il presidente ruandese Paul Kagame. Al riguardo ci sembrano chiarificatrici due prese di posizione del 2018 di Kagame, quando ricopriva il ruolo di presidente dell’Unione Africana. Nella prima, del 7 dicembre 2018, in margine all’incontro con il cancelliere austriaco, Sebastian Kurz, in visita ufficiale in Rwanda, Kagame, parlando della cooperazione Europa-Africa, con particolare riferimento al problema migratorio era stato particolarmente diretto nello smontare certa vulgata immigrazionista da noi particolarmente diffusa. Infatti, come riferito dalla stampa locale, dopo aver ricordato i molti africani che hanno perso la vita nei loro viaggi e dei molti ancora bloccati ai punti di confine, Kagame si era posto il problema di come il fenomeno migratorio “possa essere gestito correttamente anche se avremmo dovuto farlo molto tempo fa, ma non è mai troppo tardi per fare la cosa giusta”. Ha detto che l'immigrazione è aumentata perché alcuni africani sentono che il loro continente non offre le condizioni di base per vivere una vita dignitosa. Per questo, "la partnership tra Europa e Africa dovrebbe mirare a creare un ambiente per mantenere i nostri giovani e garantire loro che stare nel proprio continente o Paese è meglio per loro potendo trovare sicurezza e lavoro". Purtroppo, secondo Kagame, andando all’origine del fenomeno, la crisi dell'immigrazione è peggiorata, per certi versi, da quando a causa dell'invito e dell'istigazione, prima della crisi, di una parte di alcuni Paesi europei agli immigrati africani ad andare in Europa, promettendo loro una vita migliore. "Se si guarda alla storia di questa migrazione, da molto tempo, l'Europa incita o invita le persone ad andare in Europa. Il messaggio era "i tuoi paesi africani sono governati male e tu dovresti venire da noi". L'impressione è stata che se hai un problema nel tuo paese, sia esso falso o vero, vieni nel nostro paradiso. E la gente è venuta. Al punto che le persone non possono più avere immigrati ", ha detto il presidente, aggiungendo altresì che col tempo, l'Europa è stata travolta dall'ondata di immigrati. Andando avanti, ha aggiunto, i due continenti dovrebbero concentrarsi sulle opportunità disponibili per ridurre la necessità per gli africani di cercare fortuna altrove. Creando le opportunità ed eliminando la necessità dell'immigrazione, ha spiegato, Europa e Africa spenderanno meno fondi: "Il tipo di investimento effettuato per gli immigrati è così grande che se investito in Africa, potremmo creare industrie. Il problema non è l'Europa, abbiamo la nostra giusta parte della colpa che dobbiamo assumere ", ha concluso Kagame. Riprendendo l’argomento sempre nel dicembre 2018 ( clicca qui), alla conclusione degli stati generali del Rwanda, l’Umushyikirano una sorta di assemblea nazionale in cui politici e amministratori si confrontano pubblicamente sui problemi del Paese, il presidente ruandese ha ulteriormente sottolineato come nessun giovane africano debba lasciare il continente rischiando la propria vita per cercare fortuna altrove, dovendo essere invece in grado di trovare tutte le soluzioni e le opportunità nel proprio Paese d'origine. “Se proprio devono emigrare - in Europa o in qualsiasi altra parte del mondo - allora lo facciano in modo ordinato, dove non abbiamo a che fare con un'ondata di persone in fuga dai loro paesi sotto qualsiasi pretesto, o alcune vere ragioni che potrebbero essere affrontate in modo genuino senza che ciò si traduca in problemi ", ha affermato Kagame. E per quelli che sono già emigrati dovrebbe esserci una collaborazione tra l'Europa e l'Unione Africana per garantire un adeguato processo d’integrazione o, diversamente, un ordinato e facilitato ritorno a casa. Non c’è altra soluzione magica nell'affrontare la crisi dell'immigrazione se non risolvere problemi socioeconomici irrisolti nel continente, in modo che “per coloro che non hanno ancora lasciato l'Africa, possiamo lavorare a situazioni migliori in termini di sicurezza e garantire che abbiano tutto ciò di cui hanno bisogno per soddisfare le loro aspirazioni e rimanere nei loro paesi.” Un’analisi lucida e realistica di un fenomeno che sulle due sponde del Mediterraneo ha letture contrastanti; con la parte africana, dove alla voce dei politici si accompagna anche quella dei vescovi, da ultimi quelli del Ghana e della Nigeria, che manifesta la volontà di offrire ai propri giovani le condizioni perché il diritto a non emigrare diventi realtà.
mercoledì 3 maggio 2023
A proposito dei confini tra Rwanda e R.D. del Congo
Un recente intervento del presidente ruandese Paul Kagame a proposito dei confini tra Rwanda e R.D. del Congo ha risollevato il problema delle affinità culturali di lunga data dei ruandofoni nei Grandi Laghi che potrebbero sembrare rafforzare le affermazioni storiche di Kigali su parti del Congo orientale, ma, come appare in questo contributo apparso sulla rivista African Arguments a firma Gillian Mathis, le cose sono più complicate di quanto sembri.
Le affinità culturali di lunga data dei ruandofoni nei Grandi Laghi possono sembrare rafforzare le affermazioni storiche di Kigali su parti del Congo orientale, ma è più complicato di quanto sembri.Due settimane fa, il presidente ruandese Paul Kagame ha dato la sua opinione storica sul confine che separa il Ruanda dal Congo, spinto dalla risorgente ribellione dell'M23. "I confini che sono stati tracciati durante il periodo coloniale hanno diviso i nostri paesi", ha detto. “Gran parte del Ruanda è stata lasciata fuori, nel Congo orientale, nell'Uganda sudoccidentale e così via. Hai popolazioni in queste parti di altri paesi che hanno origini ruandesi. Ma non sono ruandesi, sono cittadini di quei paesi che hanno assorbito quelle parti del Ruanda in epoca coloniale. Quindi questo è un dato di fatto. È un fatto storico... E a queste persone sono stati negati i loro diritti". Sebbene non vi fosse alcuna esplicita rivendicazione territoriale nella sua proposta, è stata interpretata negli ambienti congolesi come un desiderio di ridisegnare i confini del Ruanda e di annettere parte del Congo . Questa interpretazione non è del tutto sorprendente data una storia più lunga di tali rivendicazioni territoriali nei discorsi pubblici ruandesi che risalgono almeno alla prima guerra del Congo nel 1996-1998. Inoltre, alimenta i timori congolesi di "balcanizzazione": l'idea che il Rwanda (e talvolta l'Uganda) voglia annettere una parte del territorio congolese per beneficiare delle sue risorse naturali a scapito dei congolesi . La battaglia sul terreno nel Nord Kivu si prolunga così come una battaglia di parole, in cui la storia è diventata un'arma nelle lotte di potere su identità e geopolitica. Mentre in Rwanda queste argomentazioni storiche risalgono al periodo precedente alla spartizione della regione da parte dei colonizzatori tedeschi e belgi, in Congo queste argomentazioni utilizzano anche rivendicazioni imperiali nonché il principio dell'intangibilità dei confini africani come stipulato dall'Organizzazione dell'Unità Africana in 1964 . L'eminente storico congolese Isidore Ndaywel è Nziem, ad esempio, ha ribattuto che invece di aver perso il Ruanda con il Congo, era vero il contrario: “Per quanto riguarda i confini ruandesi-congolesi, non c'è ambiguità. Se torniamo alla prima mappa della regione…del 1885, è il Congo che ha terra da reclamare dal Rwanda, e non viceversa, perché in questa mappa iniziale, la parte occidentale del Rwanda era congolese ” .
giovedì 27 aprile 2023
"Dentro il Rwanda" presentato al presidente della Toscana, E. Giani
martedì 11 aprile 2023
La Casa di Catia comincia a vivere
sabato 8 aprile 2023
Buona Pasqua - Pasika nziza
lunedì 3 aprile 2023
Grosio per l'asilo Carlin e per la missione di don Filippo in Mozambico
Anche questa volta, come l'anno scorso, la comunità di Grosio ha risposto con generosità alla chiamata da parte dell'Azione Cattolica locale che ha lanciato una raccolta fondi, attraverso una pesca benefica, a favore dell'Asilo Carlin, gestito in Rwanda dall'Associazione Kwizera odv, e di don Filippo, già vicario di Grosio, ora fidei donum in Mozambico. In totale sono stati raccolti 3.800 euro ( l'anno scorso erano stati 3.900 ) che saranno equamente divisi tra i due beneficiari. Non resta che ringraziare tutti coloro che si sono impegnati in questa iniziativa che ha richiesto tempo per raccogliere gli oltre 450 regali messi in palio e per il confezionamento dei relativi sacchetti. Ai partecipanti più generosi è stata regalata anche una copia del nostro libro "Dentro il Rwanda".
sabato 11 marzo 2023
Il card. Kambanda interviene sui migranti inviati in Rwanda dalla Gran Bretagna
Dall'intervista rilasciata dal card. Antoine Kambanda, Arcivescovo di Kigali, rilasciata all'Agenzia Fides, riprendiamo questo passaggio relativo al problema migratorio ed in particolare al ruolo del Rwanda chiamato ad accoglire migranti respinti da altri Paesi.
D) Come è vista in Rwanda la politica di alcuni Stati, come ad esempio la Gran Bretagna, di deportare nel vostro Paese i richiedenti asilo?
CARDINALE KAMBANDA: Il Rwanda è molto sensibile al problema dei profughi e dei migranti anche perché abbiamo dei dirigenti che sono stati profughi e sanno cosa significa. Hanno quindi simpatia nei confronti dei richiedenti asilo. Tutto è cominciato quando sono emersi in Libia i casi dei migranti tenuti in ostaggio dai gruppi criminali costringendoli a chiedere denaro ai propri familiari per essere liberati. Queste persone nella speranza di giungere in Europa si mettono nelle mani di veri e propri clan mafiosi che spesso abusano di loro. Questo problema è stato sollevato in una riunione dei Capi di Stato dell’Unione Africana che si sono detti “è una vergogna. Questi sono i nostri figli. Cosa facciamo?”. Il Rwanda si è detto disponibile ad accoglierli in collaborazione con l’Alto Commissariato ONU per i Rifugiati. Spesso sono giovani onesti che hanno una formazione professionale. Una volta giunti in Rwanda vengono presentati a Paesi che hanno bisogno di manodopera (Canada, Norvegia, Svezia, Danimarca e altri) dove vengono accolti con un contratto di lavoro. Circa tre quarti dei migranti provenienti dalla Libia sono partiti per i loro nuovi Paesi d’accoglienza. La Gran Bretagna vuole probabilmente collegarsi a questo meccanismo già in opera. Quello che importante è contrastare i gruppi criminali che gestiscono le migrazioni clandestine, creando canali regolari per chi vuole farsi una vita all’estero. (L.M.) (Agenzia Fides 10/3/2023)
venerdì 3 marzo 2023
C'era una volta il Progetto Mikan...perchè non rilanciarlo?
Era l’agosto 2018, quando a Nyagahanga, da dove tutto era partito nove anni prima, il Progetto Mikan dell’Associazione Kwizera visse un momento particolare quale quello di raggiungere l’obiettivo, 5.000 capre distribuite ad altrettante famiglie, che mai i promotori dell’idea avrebbero immaginato possibile. Era, infatti, il marzo del 2009, quando l’incontro tra due giovani sposi, che volevano ricordare il giorno del loro matrimonio con un gesto di generosità, e i bisogni di coppie meno fortunate, quali quelle africane, aveva dato origine a un circuito virtuoso che aveva portato a dare avvio al Progetto Mikan. Alla ricerca di qualcosa che consentisse di condividere la propria gioia con persone meno fortunate, scartate le iniziative di cui erano a conoscenza ( invio di un vaccino o di un'offerta a persone bisognose di paesi in via di sviluppo) ebbero l’idea di assegnare a un certo numero di giovani famiglie ruandesi una piccola capra. Così in un gemellaggio ideale, una quarantina di giovani coppie della parrocchia di Nyagahanga ricevettero, nel marzo del 2009, una capretta con l’impegno di donare, in una ideale catena di solidarietà, il primo capretto a un'altra famiglia trattenendosi la capra originaria. Da allora il Progetto Mikan, acronimo dei nomi della coppia promotrice dell’idea, Michele e Anna, e di Kwizera, ne ha fatta di strada: inanzitutto, strutturandosi come un vero e proprio progetto, dandosi quindi un’organizzazione fatta di formazione, supportata da un agile manualetto, e di regole di funzionamento, ma soprattutto diventando uno strumento della pastorale familiare della diocesi di Byumba.Proprio per questa sua valenza pastorale, al raggiungimento della cinquemila capre distribuite nell’ambito del Progetto ad altrettante coppie, suddivise in gruppi di 25 coppie cadauno, il Progetto Mikan passò definitivamente dalla gestione diretta dell’Associazione Kwizera a quella della diocesi, nella persona dell’incaricato della pastorale familiare diocesana, al tempo don Isidoro. Quota 5.000 è era stata raggiunta negli anni attraverso i frutti di quelle 40 capre iniziali cui se ne sono aggiunte altre messe a disposizione direttamente dall’ass. Kwizera.
Nel momento in cui la gestione del Progetto Mikan passava alle dirette dipendenze della Diocesi, erano 50 i gruppi attivi, così distribuiti nelle varie parrocchie della diocesi, che avrebbero dovuto proseguire in questa ideale catena di solidarietà tra coppie.Se oggi ci rivolgessimo ai vari parroci ne troveremmo ancora traccia?Per rispondere a questa domanda, ma , soprattutto, per tentare di rivitalizzare un Progetto che aveva dato così buoni frutti, abbiamo deciso, per la verità senza troppe illusioni, di fare una ricognizione sulle varie parrocchie per vedere se mai sia rimasta traccia di questa esperienza. Per questo ci rivolgiamo a tutti i parroci delle parrocchie dove erano attivi gruppi del Progetto Mikan per chiedere loro di fare una verifica e, se possibile, recuperare e rilanciare quell’esperienza. Ci aspettiamo che qualche parroco possa confermarci la sopravvivenza in parrocchia di un gruppo attivo oppure di avere la possibilità di avviare un nuovo gruppo fornendo ad ogni coppia una capretta recuperata presso i vecchi beneficiari che non avevano adempiuto al loro impegno di consegnare il primo nato ad un’altra coppia. Ad ogni parroco che ci darà un riscontro positivo a questa nostra richiesta siamo intenzionati di riconoscere un premio personale. Restiamo in fiduciosa attesa.
mercoledì 22 febbraio 2023
Cosa non potevano fare le donne ruandesi nel passato
La donna ruandese, come noto, ha da
tempo conquistato una posizione di rilievo nella vita sociale e politica del
proprio Paese, conseguendo dei veri e propri primati, come quello di avere la
maggior rappresentanza femminile in parlamento a livello mondiale. Proprio per
questo sorprende apprendere come fino a cinquanta anni fa ci fossero alcune
cose che erano precluse alle donne ruandesi. Ne ricordiamo qui cinque.
Mangiare carne di pollo o di capra
Nella cultura ruandese si riteneva che
la carne di pollo o di capra fosse un piatto da uomini. Alle donne ruandesi
veniva consigliato di evitare la carne di capra. E secondo l'antica credenza
culturale, le donne o le ragazze che mangiavano carne di capra rischiavano di
vedersi crescere la barba.
Costruire case o arrampicarsi sugli
alberi
A causa degli abiti indossati dalle
donne ruandesi, in passato, non era loro permesso arrampicarsi sugli alberi o
costruire case. Questo era visto come un tabù, in quanto arrampicandosi o
lavorando nella costruzione di una casa le donne esibivano i loro
corpi, tanto che ancora oggi l’arrampicarsi sugli alberi è ancora ritenuto poco
femminile o signorile
Battere i tamburi
Le donne ruandesi praticavano altre
forme di intrattenimento come cantare o ballare. Potevano ballare e cantare con
gli uomini. Tuttavia, quando si trattava di battere i tamburi, solo gli uomini
erano ammessi. La danza Intore, la danza tradizionale più popolare in Rwanda,
viene eseguita in tre forme tra cui il balletto, o gushayaya, spesso eseguito
da donne. C'è anche la danza degli eroi eseguita da uomini e, infine, i tamburi
che un tempo erano eseguiti da uomini. Ma ora, le donne che suonano i tamburi non
sono più un tabù nel Rwanda moderno, avendo superato da tempo ogni stereotipo e
le troviamo quindi a suonare accanto alle loro controparti maschili.
Fischiare
Le donne che fischiettavano erano
considerate maleducate e poco rispettose. Nella cultura ruandese si credeva che
il fischio non fosse femminile e quindi si giudicava poco dignitosa una donna
che fischiasse.
Mungere le mucche
venerdì 10 febbraio 2023
L'UE sostiene l'accordo UNHCR-Rwanda per il reinsediamento dei rifugiati dei campi libici
L'Unione Europea ha stanziato 22 milioni di euro per il sostegno ai rifugiati e ai richiedenti asilo libici ospitati in Rwanda, presso il centro ETM (Emergency Transit Mechanism), istituito a suo tempo in base ad un accordo tripartito firmato tra il governo del Rwanda, l'Unione Africana e l'UNHCR. Il centro può ospitare un totale di 700 rifugiati contemporaneamente. Secondo Aissatou Ndiaye, rappresentante nazionale dell'UNHCR, il finanziamento consente all'organizzazione di fornire una serie di servizi tra cui alloggio, accesso alla salute, supporto psicosociale e formazione sui mezzi di sussistenza per gli sfollati durante l'elaborazione dei loro documenti per il reinsediamento in paesi terzi. Nei prossimi anni, si ipotizza di supportare circa 3.000 persone in più. Per L'ambasciatrice UE in Rwanda, Belén Calvo Uyarra "L'ETM in Rwuanda è un'iniziativa salvavita cruciale per evacuare le persone che affrontano gravi minacce e condizioni disumane in Libia verso la sicurezza in Rwanda. È un esempio significativo di solidarietà africana”. "Il finanziamento aggiuntivo per i prossimi quattro anni è una testimonianza del successo che questa iniziativa ha ottenuto nella fase iniziale", ha aggiunto. Quest'ultima tornata di finanziamenti si basa su un precedente pacchetto di sostegno di 12,5 milioni di euro tra il 2019 e aprile 2022. Sono 1.453 rifugiati giunti in Rwanda attraverso 12 voli di evacuazione dalla Libia dal settembre 2019; di questi, 919 sono partiti per Paesi terzi per il reinsediamento e altri percorsi legali complementari, per la maggior parte verso Canada, Francia, Norvegia, Svezia.
domenica 29 gennaio 2023
Rwanda: le donne conquistano i vertici di finanza e banche
Dopo aver conquistato la maggioranza in Parlamento, collocandosi al primo posto al mondo, e nel Governo (leggi qui), le donne ruandesi hanno rivolto la loro attenzione al mondo della finanza ed a quello bancario. Nel settore assicurativo, 2 società sono guidate da donne CEO, Annie Nibishaka (UAP Rwanda) e Ovia Tuhairwe (Radiant Yacu, mentre altre 4 società hanno il loro consiglio di amministrazione guidato da donne, così come l'Associazione degli assicuratori ruandesi. Donne guidano anche importanti istituzioni finanziarie, tra cui gestori di fondi come BK Capital (Carine Umutoni) e Mobile Money.Le donne occupano anche oltre il 30% delle posizioni nei consigli di amministrazione delle istituzioni finanziarie locali. Ma è soprattutto il settore bancario che parla al femminile. Basti pensare che ben 6 delle 16 banche locali, sono guidate da donne: Diane Karusisi (Bank of Kigali), Alice Kilonzo (Ecobank), Lina Mukashyaka (NCBA), Christine Baingana (Urwego Bank), Arah Sadava (AB Bank) e Kampeta Sayinzoga (BRD). Anche i consigli di amministrazione di due altre banche locali sono guidati da donne: Evelyn Kamagaju (Equity Bank) e Chantal Mubarure (Access Bank). Senza dimenticare Soraya Hakuziyaremye, Vice Governatore della Banca Centrale dal 2021, dopo essere stata ministro del commercio e dell'industria dal 2018.Tutte queste donne hanno raggiunto le posizioni ricoperte grazie ad un ambiente, quello raundese, dove la presenza femminile ha da sempre infranto quel soffitto di vetro, incubo delle femministe di casa nostra, ma anche grazie a curricula di tutto rispetto, sia a livello di studi che di esperienze professionali dal respiro internazionale (leggi qui).
venerdì 27 gennaio 2023
Se "ogni Paese è anche dello straniero", come recita la Fratelli tutti, che succederà in Africa?
Alla vigilia del viaggio in Africa di papa Francesco, in Sud Sudan e nella R.D. del Congo, forse il paese al mondo che conserva le maggiori ricchezze minerarie, torna di attualità un punto dell’enciclica Fratelli tutti, a suo tempo non particolarmente trattato dai commentatori. Ci riferiamo al paragrafo 124 della terza enciclica di papa Francesco, che così recita: “La certezza della destinazione comune dei beni della terra richiede oggi che essa sia applicata anche ai Paesi, ai loro territori e alle loro risorse. Se lo guardiamo non solo a partire dalla legittimità della proprietà privata e dei diritti dei cittadini di una determinata nazione, ma anche a partire dal primo principio della destinazione comune dei beni, allora possiamo dire che ogni Paese è anche dello straniero, in quanto i beni di un territorio non devono essere negati a una persona bisognosa che provenga da un altro luogo. Infatti, come hanno insegnato i Vescovi degli Stati Uniti, vi sono diritti fondamentali che «precedono qualunque società perché derivano dalla dignità conferita ad ogni persona in quanto creata da Dio».” E' di tutta evidenza come una simile affermazione assuma risvolti particolarmente rilevanti in un continente particolare come l'Africa. Se, infatti, in altri continenti, dove gli Stati hanno confini storicamente consolidati e nessuno oserebbe avanzare rivendicazioni di tipo territoriale o sulle ricchezze altrui, questa tesi non dovrebbe suscitare particolare interesse, non sembra si possa dire altrettanto se riferita alla realtà africana. L'artificiosità di quasi tutti i confini dei Paesi africani, frutto del processo di decolonizzazione della metà del secolo scorso, la grande disponibilità di risorse minerarie e fossili, o semplicemente di terreni coltivabili, diversamente distribuite fra i diversi Paesi, la debole struttura statuale di molti di questi Paesi: sono tutti elementi che potrebbero innescare un uso strumentale ed improprio dell'annuncio che ogni Paese è anche dello straniero nel senso che la destinazione comune dei beni della terra richiede oggi che essa sia applicata anche ai Paesi, ai loro territori e alle loro risorse. Non è sicuramente azzardato ipotizzare che un simile principio possa essere agevolmente brandito da diversi governi come giustificazione per dare sfogo ai propri rivendicazionismi nei confronti di vicini più beneficiati da madre natura, in termini di ricchezze naturali e di spazi. Ne scaturirebbe una serie infinita di dispute di confine, con inevitabili risvolti militari, così da portare in breve tempo a una sostanziale riconfigurazione della carta politica del continente. Si pensi per un attimo a quale destino andrebbe incontro l'area del Kivu, teatro in questi mesi di una vera e propria escalation militare di un conflitto che si trascina da almeno un ventennio. La regione del Kivu è un territorio dalle immense ricchezze minerarie, facente parte di uno Stato, la Repubblica democratica del Congo, con una densità abitativa estremamente contenuta di 39 abitanti per kilometro quadrato, a fronte di quella dei Paesi vicini: 195 dell'Uganda e 495 del Rwanda. In questa area da oltre un ventennio si confrontano, tra scontri e violenze, diversi protagonisti, dai padroni della guerra locali ai Paesi confinanti, Rwanda e Uganda in primis, tutti ben decisi a non mollare la presa sul ricco forziere congolese. Già in passato era stata avanzata l'ipotesi da esponenti dell'amministrazione americana di arrivare a una vera e propria spartizione del Kivu tra i vari paesi confinanti, obiettivo non troppo nascosto del Rwanda e dell'Uganda. Tale idea fu però accantonata per non creare un pericoloso precedente che avrebbe innescato una corsa di diversi Paesi africani alla revisione dei confini, con conseguente destabilizzazione, in breve tempo, dell'intero continente africano. Ma ora, alla luce di questo importante imprimatur, siamo sicuri che qualcuno non colga l'occasione per dare una base "ideale" ai propri progetti espansionistici?