Con il superamento
della soglia, anche psicologica, dei centomila arrivi di migranti sulle nostre
coste, il dibattito sul fenomeno migratorio ha trovato nuovo impulso, sia in
ambito politico che ecclesiale. Un dibattito che negli anni si è sempre caratterizzato
per un’analisi unilaterale del fenomeno, evidenziandone i riflessi sulla
comunità nazionale, senza mai andare a fondo circa l’origine dei flussi
migratori, spesso confondendo strumentalmente migranti economici e rifugiati, e
conseguentemente cercare possibili soluzioni per disinnescarne le cause. In
questi anni, anche in ambito cattolico, il dibattito non ha mai superato il contingente. Ci si è limitati ai
doverosi salvataggi nel Mediterraneo, alla conseguente accoglienza temporanea,
senza però che la stessa abbia poi
portato significativi risultati nel perseguimento di un processo
d’integrazione. Si sono sì accolti tanti migranti, ma quanti di loro sono stati
accompagnati in un percorso d’inserimento nel mondo del lavoro? Ricordo al
riguardo come ad una simile domanda, l’addetto di una Caritas diocesana
rispose, quasi infastidito, che non erano un ufficio di collocamento. Anche
nella gestione contingente dei flussi migratori non si può dire, quindi, che il
modello di accoglienza in essere da noi sia in grado di dare risposte efficaci
alle persone approdate in Italia alla ricerca di un avvenire migliore, almeno
il 90% degli arrivati essendo il rimanente 10% formato da aventi diritto
all’asilo, che avevano attraversato
deserti e Mediterraneo proprio per cercare uno sbocco lavorativo. Un
simile approccio è figlio anche di un grave errore di prospettiva. Se ci si
concentra sul bagnasciuga di Lampedusa senza mai alzare lo sguardo per guardare
più lontano, all’Africa, i problemi dei 1.300 milioni di africani che vi
vivono, di cui qualche centinaia di milioni sotto la soglia di povertà, mai
potranno trovare una soluzione degna, neppure in una traversata del
Mediterraneo. Quello che manca nel dibattito sul fenomeno migratorio è proprio
una “proposta” che tenga conto della realtà, oscurata, che esiste al di là
dell’orizzonte lampedusano: l’Africa ed i suoi abitanti.
Eppure, almeno per
il mondo cattolico dovrebbe esserci una fonte d’ispirazione utile per maturare
un proprio approccio efficace e realistico a questi problemi. Basterebbe andare
a leggere e fare proprio quanto dicono al riguardo i Vescovi africani ai loro
giovani nei vari appelli ed interventi, raccolti nella rassegna consultabile qui , che
si sono susseguiti negli anni. Ne è una sintesi significativa questo Messaggio
finale approvato dai vescovi dei 16 Paesi rappresentati nelle Conferenze
nazionali e interterritoriali dell'Africa occidentale-Recowa-Cerao (da cui
provengono la gran parte dei migranti), nella loro Terza Assemblea Plenaria
tenutasi a Ouagadougou, in Burkina Faso, dal 14 al 20 maggio 2019.
"Voi rappresentate il presente e il
futuro dell'Africa, che deve lottare con tutte le sue risorse per la dignità e
la felicità dei suoi figli e figlie. In questo contesto, non possiamo tacere
sul fenomeno delle vostre migrazioni, specialmente in Europa. I nostri cuori
come pastori e padri soffrono nel vedere queste barche sovvracariche di
giovani, donne e bambini in balia delle onde del Mediterraneo".
"Certo, comprendiamo la vostra sete di felicità e di benessere che i
vostri Paesi non vi offrono. Disoccupazione, miseria, povertà rimangono mali
che umiliano. Tuttavia, non dovete sacrificare la vostra vita lungo strade
pericolose e destinazioni incerte. Non lasciatevi ingannare dalle false
promesse che vi porteranno alla schiavitù e ad un futuro illusorio! Con il duro
lavoro e la perseveranza potrete avere successo in Africa e, cosa più
importante, rendere questo continente una terra prospera".
Questo appello non
ha trovato alcuna eco, forse anche per un voluto atto censorio, sui media
cattolici italiani, a partire dal quotidiano dei vescovi italiani, Avvenire,
privando così i cattolici italiani della possibilità di fare la conoscenza
diretta di ciò che pensano i vescovi africani, “pastori con l’odore delle pecore”,
del complesso fenomeno migratorio e delle modalità che propongono per
disinnescarne le conseguenze negative per i loro giovani.
Credo che fino a
quando il mondo cattolico italiano non si misurerà con queste prese di
posizione dei Vescovi africani, rimarrà inesorabilmente prigioniero di una
lettura riduttiva ed ideologica del fenomeno migratorio, ispirata dai tanti
“profeti” locali, più o meno improvvisati, uno dei quali ce lo troveremo
addirittura al prossimo Sinodo, abbandonando l'Africa, con i suoi 1.300 milioni
di abitanti, al suo destino.
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