Pubblichiamo questa riflessione di Michele che con la moglie Anna prese l'iniziativa, nel lontano 2009 in occasione del loro matrimonio, di donare 25 capre ad altrettante coppie rwandesi con l'impegno a donare il primo nato a un'altra coppia. Da li nacque il Progetto Mikan dell'associazione Kwizera che ha coinvolto fino ad oggi 4275 famiglie, piu' di 8500 persone.
Migranti, profughi, rifugiati, missionari, ibridazione, meticciato, globalizzazione, ponti e aiuti umanitari…
Che confusione.
Roba da non capirci più niente.
"E’ un mondo complesso."
"E’ un momento estremamente complesso a livello mondiale."
Complesso...
È Il mantra che sentiamo tutti i santi giorni in tv o che leggiamo sui giornali.
Il nostro mondo è scosso da eventi e flussi complessi.
Ci sono un primo, un secondo, un terzo e forse un quarto mondo.
E come dobbiamo comportarci nei rapporti tra un mondo e l’altro?
Come ci poniamo con gli abitanti degli altri mondi?
Accogliere? Andare? Inviare aiuti?
Cosa c’è alla base delle interazioni tra gli esseri umani?
Schopenauer in “Parerga e Paralipomena”, una sorta di miscellanea di diversi temi e pensieri, ci regala una bellissima allegoria della nostra società e in generale dei rapporti umani.
Il cosidetto “Dilemma del Porcospino”.
Arturo racconta che i porcospini al sopraggiungere del freddo tendono ad avvicinarsi sempre più per cercare il tepore dell’altro ed evitare di morire assiderati.
Con la vicinanza però si infilzano vicendevolmente con le rispettive spine.
Questo li spinge di nuovo a staccarsi.
Ma di nuovo il freddo li riavvicina.
Per non pungersi e non morire di freddo sono quindi costretti a trovare “la giusta distanza”.
Come dicevo questa è una splendida metafora dei rapporti umani, dove
siamo sballottati tra il gelo della solitudine e le brutture dei difetti dell’altro che prima o poi ci farà soffrire.
La solitudine ci opprime e l’interazione sociale porta sofferenze.
Queste due forze negative ci sballottano e ci spingono alternativamente ad avvicinarci e poi scappare.
Anche in società e nei rapporti umani ci tocca quindi trovare quella giusta distanza, che di fatto produce la cortesia, le buone maniere e il conformismo borghese.
E allora avanti con i “Ciao come stai?” i “Tutto ok a casa?” i “Che ne pensi del tempo” via via fino ai matrimoni di comodo o alla cena dei compagni di classe.
Proviamo ad immaginare di estendere tutto questo su scala mondiale.
Un bel dilemma, soprattutto se i porcospini in questione hanno le dimensioni di due continenti.
Ma allora qual è la giusta distanza?
Tra noi e noi?
Tra noi e loro?
Tra loro e loro?
Ma noi chi? E loro chi?
Tra noi e l’Africa?
Per qualche politico dovrebbe essere la stessa che c’è tra la Terra e Plutone.
Per altri è quella che c’è tra due innamorati che cominciano a conoscersi.
Per altri ancora ci divide semplicemente quel tratto di mare che si trova tra il dire e il fare, dove sono affondate più navi che nel mediterraneo.
Già, fare…
Ma fare cosa? E dove? E come?
Noi non siamo dei missionari.
Noi non siamo mai stati in Rwanda.
Il mio babbo sì, ma noi no.
Non abbiamo mai avuto la pretesa di capire una cosa che non possiamo comprendere, se non in minima parte.
Come dicevo non siamo mai stati in Rwanda.
E probabilmente anche se ci fossimo stati non potremmo ugualmente capire.
Dovremmo essere neri per capirlo.
Dovremmo essere nati, cresciuti ed educati in un ambiente Africano per cogliere tutte le loro sfumature.
Ci sono pezzi di vita quotidiana e frammenti emozionali di vita interiore che per noi non sono accessibili.
E basta.
Siamo Occidentali.
E per quanto possiamo sforzarci di avere una mente aperta, resteremo sempre degli Occidentali, che pensano con schemi Occidentali e agiscono seguendo dettami Occidentali.
Come quelli che racconta Schopenauer nel suo dilemma.
E allora abbiamo cercato di partorire qualcosa che potesse almeno in minima parte andare oltre all’egoistico “tutto e subito” o al “qui ed ora” tipico della nostra società.
E allora niente soldi, cibo o farmaci.
Queste cose sono state le prime che ci son venute in mente.
Tutto assolutamente utile e funzionale.
Tutto indiscutibilmente necessario e fondamentale.
Tutto con una scadenza. Più o meno dilatata, ma con una scadenza.
Volevamo qualcosa che trascendesse almeno in parte i meri confini temporali.
Qualcosa che potesse passare simbolicamente ma anche fisicamente di proprietà senza tuttavia scomparire.
Magari un concetto…un’idea.
Qualcosa che potesse valicare l’eterno e imperituro presente africano che appiattisce tutto, compreso il futuro.
Magari un’idea accompagnata da 25 capre per fare in modo che la cosa non risultasse troppo metafisica.
Magari incentivando chi le avesse ricevute a condividerle con altre famiglie.
Un flusso di idee, capre e conoscenza.
Condividere, crescere e far crescere insieme.
Cementare l’unione di una comunità. Stringersi senza pungersi.
Una capra per andare oltre al dilemma del porcospino.
Una capra come rappresentazione plastica della circolazione della conoscenza, sia essa qualche rudimento sull'allevamento degli animali piuttosto che la lavorazione del latte.
Banale?
Forse.
Semplice?
Sicuramente.
Semplice come lo sono tutte le cose vere.
Il grande Sir.Bernard Shaw diceva
“Se tu hai una mela e io ho una mela, e ce le scambiamo, allora tu ed io abbiamo sempre una mela per uno. Ma se tu hai un’idea, ed io ho un’idea, e ce le scambiamo, allora abbiamo entrambi due idee.”
Il progetto Mikan è una rivisitazione di quel pensiero
“Se hai due sposi con un cesto colmo di Amore e 25 capre e condividi sia il sentimento che li unisce che le capre, allora avrai 4275 famiglie felici e altrettante capre a migliaia di kilometri di distanza”
Per dirla alla Gadamer, atro grande pensatore tedesco
La conoscenza e la cultura sono gli unici beni dell’umanità che se divisi con tutti anzichè diminuire diventano più grandi.
A farla più banale e semplice di così non ci siamo riusciti.
Almeno per ora.
MIKAN
Migranti, profughi, rifugiati, missionari, ibridazione, meticciato, globalizzazione, ponti e aiuti umanitari…
Che confusione.
Roba da non capirci più niente.
"E’ un mondo complesso."
"E’ un momento estremamente complesso a livello mondiale."
Complesso...
È Il mantra che sentiamo tutti i santi giorni in tv o che leggiamo sui giornali.
Il nostro mondo è scosso da eventi e flussi complessi.
Ci sono un primo, un secondo, un terzo e forse un quarto mondo.
E come dobbiamo comportarci nei rapporti tra un mondo e l’altro?
Come ci poniamo con gli abitanti degli altri mondi?
Accogliere? Andare? Inviare aiuti?
Cosa c’è alla base delle interazioni tra gli esseri umani?
Schopenauer in “Parerga e Paralipomena”, una sorta di miscellanea di diversi temi e pensieri, ci regala una bellissima allegoria della nostra società e in generale dei rapporti umani.
Il cosidetto “Dilemma del Porcospino”.
Arturo racconta che i porcospini al sopraggiungere del freddo tendono ad avvicinarsi sempre più per cercare il tepore dell’altro ed evitare di morire assiderati.
Con la vicinanza però si infilzano vicendevolmente con le rispettive spine.
Questo li spinge di nuovo a staccarsi.
Ma di nuovo il freddo li riavvicina.
Per non pungersi e non morire di freddo sono quindi costretti a trovare “la giusta distanza”.
Come dicevo questa è una splendida metafora dei rapporti umani, dove
siamo sballottati tra il gelo della solitudine e le brutture dei difetti dell’altro che prima o poi ci farà soffrire.
La solitudine ci opprime e l’interazione sociale porta sofferenze.
Queste due forze negative ci sballottano e ci spingono alternativamente ad avvicinarci e poi scappare.
Anche in società e nei rapporti umani ci tocca quindi trovare quella giusta distanza, che di fatto produce la cortesia, le buone maniere e il conformismo borghese.
E allora avanti con i “Ciao come stai?” i “Tutto ok a casa?” i “Che ne pensi del tempo” via via fino ai matrimoni di comodo o alla cena dei compagni di classe.
Proviamo ad immaginare di estendere tutto questo su scala mondiale.
Un bel dilemma, soprattutto se i porcospini in questione hanno le dimensioni di due continenti.
Ma allora qual è la giusta distanza?
Tra noi e noi?
Tra noi e loro?
Tra loro e loro?
Ma noi chi? E loro chi?
Tra noi e l’Africa?
Per qualche politico dovrebbe essere la stessa che c’è tra la Terra e Plutone.
Per altri è quella che c’è tra due innamorati che cominciano a conoscersi.
Per altri ancora ci divide semplicemente quel tratto di mare che si trova tra il dire e il fare, dove sono affondate più navi che nel mediterraneo.
Già, fare…
Ma fare cosa? E dove? E come?
Noi non siamo dei missionari.
Noi non siamo mai stati in Rwanda.
Il mio babbo sì, ma noi no.
Non abbiamo mai avuto la pretesa di capire una cosa che non possiamo comprendere, se non in minima parte.
Come dicevo non siamo mai stati in Rwanda.
E probabilmente anche se ci fossimo stati non potremmo ugualmente capire.
Dovremmo essere neri per capirlo.
Dovremmo essere nati, cresciuti ed educati in un ambiente Africano per cogliere tutte le loro sfumature.
Ci sono pezzi di vita quotidiana e frammenti emozionali di vita interiore che per noi non sono accessibili.
E basta.
Siamo Occidentali.
E per quanto possiamo sforzarci di avere una mente aperta, resteremo sempre degli Occidentali, che pensano con schemi Occidentali e agiscono seguendo dettami Occidentali.
Come quelli che racconta Schopenauer nel suo dilemma.
E allora abbiamo cercato di partorire qualcosa che potesse almeno in minima parte andare oltre all’egoistico “tutto e subito” o al “qui ed ora” tipico della nostra società.
E allora niente soldi, cibo o farmaci.
Queste cose sono state le prime che ci son venute in mente.
Tutto assolutamente utile e funzionale.
Tutto indiscutibilmente necessario e fondamentale.
Tutto con una scadenza. Più o meno dilatata, ma con una scadenza.
Volevamo qualcosa che trascendesse almeno in parte i meri confini temporali.
Qualcosa che potesse passare simbolicamente ma anche fisicamente di proprietà senza tuttavia scomparire.
Magari un concetto…un’idea.
Qualcosa che potesse valicare l’eterno e imperituro presente africano che appiattisce tutto, compreso il futuro.
Magari un’idea accompagnata da 25 capre per fare in modo che la cosa non risultasse troppo metafisica.
Magari incentivando chi le avesse ricevute a condividerle con altre famiglie.
Un flusso di idee, capre e conoscenza.
Condividere, crescere e far crescere insieme.
Cementare l’unione di una comunità. Stringersi senza pungersi.
Una capra per andare oltre al dilemma del porcospino.
Una capra come rappresentazione plastica della circolazione della conoscenza, sia essa qualche rudimento sull'allevamento degli animali piuttosto che la lavorazione del latte.
Banale?
Forse.
Semplice?
Sicuramente.
Semplice come lo sono tutte le cose vere.
Il grande Sir.Bernard Shaw diceva
“Se tu hai una mela e io ho una mela, e ce le scambiamo, allora tu ed io abbiamo sempre una mela per uno. Ma se tu hai un’idea, ed io ho un’idea, e ce le scambiamo, allora abbiamo entrambi due idee.”
Il progetto Mikan è una rivisitazione di quel pensiero
“Se hai due sposi con un cesto colmo di Amore e 25 capre e condividi sia il sentimento che li unisce che le capre, allora avrai 4275 famiglie felici e altrettante capre a migliaia di kilometri di distanza”
Per dirla alla Gadamer, atro grande pensatore tedesco
La conoscenza e la cultura sono gli unici beni dell’umanità che se divisi con tutti anzichè diminuire diventano più grandi.
A farla più banale e semplice di così non ci siamo riusciti.
Almeno per ora.
MIKAN
Nessun commento:
Posta un commento