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lunedì 12 novembre 2012

Crisi del Kivu: diversi i giudizi dei leaders religiosi rwandesi e congolesi

La crisi del Kivu, oltre ad aver prodotto migliaia di vittime civili a causa degli scontri fra gli opposti gruppi che si contendono il territorio e aver creato un clima di forte tensione tra i paesi confinanti, rischia ora di innescare un pericoloso focolaio di polemica e contrasto anche a livello religioso. E' di ieri la notizia, apparsa sulla stampa rwandese, che i responsabili religiosi delle varie confessioni presenti in Rwanda - cattolici, protestanti e mussulmani - hanno sottoscritto un documento indirizzato al segretario generale dell'ONU, Ban Ki-moon, per rigettare le conclusioni del rapporto degli esperti onusiani che accusano il governo rwandese di sostenere i ribelli del M23 nel Kivu.Nel documento interconfessionale vengono messe in dubbio l'integrità degli esperti che hanno redatto il rapporto, la metodologia impiegata e le conclusioni che sarebbero basate su prove insufficienti, oltre a sottolineare il fatto che si sia proceduto alla stesura del rapporto senza ascoltare la difesa delle autorità rwandesi.Per questo, i responsabili religiosi chiedono che l'ONU abbia l'umiltà e il coraggio di ritirare il documento, prendendo le distanze da quanto scritto dagli esperti, fino a quando non sia stata accertata la verità. Una posizione, quella dei responsabili religiosi, che riprende pari pari la posizione ufficiale del governo rwandese, ma che li mette in chiara contrapposizione con i confratelli congolesi delle rispettive confessioni.Infatti, il 12 luglio scorso, anche i responsabili religiosi delle diverse coffessioni presenti in Congo avevano indirizzato un documento comune al segretario Ban Ki-moon e al Consiglio di sicurezza intitolato «Il popolo congolese esige la repressione dei crimini commessi dal Rwanda nella RDC". Nel documento,molto duro ed esplicito, i leader religiosi evidenziavano come, nel corso degli ultimi due decenni, vi siano state in Congo numerose violazioni dei diritti umani, migliaia di donne violentate e più di sei milioni di congolesi che hanno perso la vita. Questi crimini, si legge nella petizione, continuano ad essere perpetrati ancora oggi dai ribelli del gruppo M23 con la complicità del Rwanda. Il documento interconfessionale era stato preceduto da una presa di posizione dei vescovi cattolici congolesi così riassunta dall'Agenzia Fides del 10 luglio 2012 " i vescovi denunciano “l’occupazione irregolare del nostro territorio”, e riaffermano l’unità del Paese secondo le frontiere stabilite nel 1960, anno dell’indipendenza nazionale. “L’integrità del territorio nazionale non è negoziabile” affermano i presuli. I Vescovi invitano i responsabili politici e i cittadini congolesi ad un “sussulto patriottico per non essere complici di questo macabro piano di disintegrazione e di occupazione territoriale del nostro Paese”.La Conferenza Episcopale Congolese (CENCO) si rivolge a tutti i congolesi in patria e all’estero, perché si mobilitino per bloccare il piano di divisione del Paese. A questo fine la CENCO intende promuovere “azioni concomitanti in tutte le parrocchie della RDC e nelle cappellanie dei congolesi all’estero, per esprimere il nostro rifiuto categorico a questo piano e implorare la grazia della pace”. A questo documento facevano seguito altre prese di posizione molto esplicite dei vescovi cattolici congolesi, anche in mezzo alla gente del Kivu.
Speriamo che i vescovi congolesi e rwandesi che si ritroveranno all'incontro dei vescovi africani che si terrà a Kinshasa, capitale del Congo, dal 20 al 22 novembre p.v. per dibattere su "L'identità e la Missione di carità alla luce dell'enciclica Deus Caritas est", colgano l'occasione per sgomberare il campo da ogni possibile conflittualità, riprendendo le fila di un dialogo per il bene delle loro popolazioni, traendo ispirazione proprio dall'enciclica papale oggetto del loro incontro.

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