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domenica 24 gennaio 2021

La cooperazione allo sviluppo: la solidarietà economica che può aiutare l'Africa

Di fronte alle diverse interpretazioni che possono essere date  alle politiche di cooperazione allo sviluppo e al ruolo degli aiuti, riproponiamo questo paragrafo tratto dal libro Aiutiamoli a casa  loro Il modello Rwanda. 

 Aiutiamoli a casa loro

Di fronte a queste sfide, molti ritengono che una risposta possibile possa essere quella di concorrere a favorire le condizioni giudicate presupposto necessario a che le politiche di sviluppo avviate in Africa abbiano successo: favorire “la qualità delle politiche pubbliche, l'impegno dei governi a un uso responsabile delle risorse e la capacità dei cittadini di monitorare il loro operato. La lotta contro la corruzione è cruciale. La strada è quella di rinforzare le capacità del settore pubblico e di costruire una massa critica di cittadini informati, stimolando il dialogo su ciò che funziona in Africa e condividendo conoscenze sulle soluzioni alle sfide africane. Il futuro dell’Africa si basa sulla conoscenza, l’imprenditorialità e il buon governo” (5). La concretizzazione di tale approccio è riassumibile nella formula - Aiutiamoli a casa loro – che, alla prova dei fatti, può rivelarsi un’efficace politica, a patto che la solidarietà venga declinata con lo sussidiarietà, intesa come impegno diretto dei governanti e delle società civili dei paesi destinatari a fare la loro parte, per cessare di essere mera assistenza e diventare fattore di sviluppo. Una politica che risponda innanzitutto a un principio di equità e secondariamente a un efficace utilizzo delle scarse risorse finanziarie disponibili. E', infatti, equo ricordarci oltre che delle decine di migliaia di migranti economici (che per correttezza sarebbe bene distinguere dalla minoranza degli aventi diritto alle forme di protezione internazionale) anche delle centinaia di milioni di africani, totalmente assenti da ogni dibattito sul fenomeno migratorio, che rimangono nei rispettivi paesi e lì vogliono costruirsi un futuro dignitoso. Si pensi in particolare a quell’ultimo miliardo dei 58 paesi più poveri, per la gran parte piccoli paesi africani, destinati a diventare sempre più poveri in assenza di adeguati e articolati interventi a sostegno del loro sviluppo (6). E’ altresì corretto chiedersi quale sia il miglior utilizzo delle ingenti risorse finanziarie che vengono comunque stanziate dai governi dei paesi di accoglienza per far fronte ai flussi migratori, tenuto conto del ben diverso valore di un euro in termini di merci e servizi acquistabili a seconda che lo stesso sia speso da noi, piuttosto che in Africa. In questa analisi, ci conforta il mutato clima culturale che si respira da qualche tempo in Italia e in Europa. Dopo essere stato per lungo tempo un abusato e strumentale slogan propagandistico, lasciato alla declinazione, non sempre misurata, di talune forze politiche, “Aiutiamoli a casa loro” sembra conoscere un’improvvisa riscoperta dopo essere stato sdoganato a livello di dibattito politico e mediatico da recenti uscite di leader politici da sempre contrari a un simile approccio al fenomeno migratorio.  Merita, al riguardo, ricordare come nel maggio del 2014, il ministro del Tesoro italiano, Pier Carlo Padoan, intervenendo in margine al convegno annuale della Banca Africana di Sviluppo (AfDB), "L'Africa e l'economia mondiale", tenutosi a Kigali, capitale del Rwanda, dichiarava: “l'Europa dovrebbe fare di più per migliorare le condizioni delle persone perché possano vivere e lavorare in sicurezza nei rispettivi paesi d'origine. Questo obiettivo può essere ottenuto rafforzando e perfezionando il flusso delle risorse in Africa in modo che ci siano più opportunità di lavoro create in loco piuttosto che essere ricercate altrove.” Questa affermazione, in palese contrasto con la linea politica del governo italiano del tempo in materia di migrazioni, non trovava alcuna eco sulla stampa italiana: tre anni dopo quell’auspicio è stato fatto proprio dai governanti italiani. Altro episodio. Nell’agosto del 2015 in un editoriale del quotidiano dei vescovi italiani, Avvenire, si potevano leggere queste parole: “Aiutarli a casa loro, già. Ecco la soluzione geniale. Quasi che nessuno ci abbia mai pensato prima!” Oggi, forse, quell’editorialista sarebbe meno irridente nei confronti di un’opzione che sembra trovare conforto anche nelle affermazioni di Papa Francesco, pronunciate di ritorno dal viaggio in Colombia del settembre 2017: “E c’è un’ultima cosa che voglio dire, e vale soprattutto per l’Africa. C’è, nel nostro inconscio collettivo, un motto, un principio: “L’Africa va sfruttata”. E un capo di governo, su questo, ha detto una bella verità: “Quelli che fuggono dalla guerra, è un altro problema; ma per tanti che fuggono dalla fame, facciamo investimenti lì, perché crescano”. Ma nell’inconscio collettivo c’è che ogni volta che tanti Paesi sviluppati vanno in Africa, è per sfruttare. Dobbiamo capovolgere questo: l’Africa è amica e va aiutata a crescere”. Ma come sostenuto dal prof. Alberto Quadrio Curzio, “Non bisogna però perdere tempo perché la dinamica demografica dell’Africa, pur essendo in rallentamento, porterà quella popolazione dagli attuali 1,25 miliardi a 2,5 miliardi entro il 2050. Ovvero 5 volte la popolazione europea attuale. Nel contempo l’attrattività dell’Europa è aumentata raggiungendo fino a 500mila immigrati annui. Cifra non enorme in quanto pari allo 0,1% della popolazione della Ue ma tale da creare molti problemi politico-istituzionali e socio-economici a causa della sostanziale impreparazione europea. Eppure l’Europa a livello aggregato (Unione più Stati membri) esprime in vari modi il suo solidarismo al punto che nel 2016 è stato il primo contributore di aiuti allo sviluppo con 70,5 miliardi di euro pari al 60% del totale mondiale. L’entità è notevole ma in termini pro-capite piccola perché se tutti andassero alla popolazione dell’Africa si tratterebbe di 56 euro annui a persona. Non servirebbe a nulla e perciò bisogna puntare tutto sul profilo qualitativo declinando l’«esportazione della solidarietà» su due filiere: quella economica, che va dall’istruzione, alla infrastrutturazione, all’industrializzazione, alla imprenditorialità; quella civile, che va dalla scuola, alla sanità, alla salute, alla demografia, alla parità di genere, alla sicurezza. Gradualmente questi due percorsi di solidarietà economica e civile (Sec) dovrebbero portare infine alla democrazia nei Paesi che mai l’hanno avuta.” (7) E’ quanto sostenuto anche dall’ex Amministratore del Programma delle Nazioni Unite per lo Sviluppo (UNDP), Kemal Derviş, per il quale “ogni soluzione alla sfida della migrazione deve concentrarsi sulla promozione dello sviluppo nei paesi di origine dei migranti. Per l'Europa, l'attenzione dovrebbe essere incentrata sull'Africa, la principale fonte dei flussi migratori”. Uno sviluppo, quello dell’Africa, che richiederà il perseguimento di maggiore stabilità politica e pace; investimenti per valorizzare il patrimonio di risorse naturali; apporto di know-how necessari per sostenere un'accelerazione significativa della crescita, creazione di quelle condizioni di sicurezza presupposto per attrarre capitali privati. “Purtroppo – sottolinea Dervis- la crescita prodotta dall’apporto di investimenti da sola non è risolutiva dei mali africani, se non vengono previamente risolti i frequenti conflitti che martoriano il continente e se non si perviene a forme consolidate di stabilità politica. Di certo un buon andamento dell’economia di un Paese è condizione necessaria perché s’instauri un clima di pace sociale e di fiducia”.

5) F. Bonaglia e L. Wegner (2014), Africa –Un continente in movimento”, Il Mulino, Bologna

6) Paul Collier (2007), L’ultimo miliardo-Perché i paesi più poveri diventano sempre più poveri e cosa si può fare per aiutarli, Laterza, Bari

7) A. Quadrio Curzio (2017), La solidarietà economica che può aiutare l’Africa, Il Sole 24 ore del 26 luglio 2017

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