Piccola annotazione in margine alla felice conclusione della vicenda che ha visto coinvolta la giovane italiana Silvia Romano, tornata in Italia dopo 18 mesi di prigionia in mano ai jihadisti di Al Shabaab. Senza la pretesa di parlare di come dovrebbe concretizzarsi l'attività di volontariato in termini di preparazione personale e di organizzazione, vogliamo qui sottolineare un aspetto a nostro avviso imprescindibile: la necessità per chi intende operare in Africa di poter contare su un supporto locale affidabile che introduca il volontario alla complessa realtà in cui si trova ad operare, garantendo una rete di protezione nei confronti dei molteplici rischi esterni ( sicurezza, salute, incomprensioni relazionali) oltre che un raccordo con le autorità locali. E prima ancora di partire è assolutamente imprescindibile segnalare la propria missione al servizio Viaggiare sicuri della Farnesina e, successivamente, la propria presenza alle autorità diplomatiche locali. In quindici missioni in Rwanda ci siamo sempre attenuti a queste regole, sapendo inoltre che una volta arrivati sul posto avremmo potuto contare sull'appoggio della diocesi di Byumba. Questo appoggio fino a due anni fa andava formalizzato in un'apposita lettera di presa in carico da parte del vescovo, propedeutica all'ottenimento del visto d'entrata in Rwanda.Da un paio d'anni, con l'abolizione del visto d'entrata questa lettera non è più richiesta, fermo restando l'appoggio sempre garantito dalle strutture diocesane. Negli anni questo appoggio si è estrinsecato,oltre che da un punto di vista meramente logistico, anche in un'attenta, anche se discreta, vigilanza volta ad evitare ogni possibile pericolo. Ricordiamo come in una delle prime missioni ci fu evitato di recarci da soli nella capitale, piuttosto che scoprire, in occasione di una lunga camminata da un villaggio all'altro, che al gruppo di volontari si era aggregata, discreta e taciturna, una persona della parrocchia con la funzione di una sorta di scorta. L'Associazione Kwizera ha sempre inviato in missione persone adulte e preparate, che in loco potevano contare su un referente locale nella persona di un sacerdote incaricato dalla diocesi.In occasione delle nostre missioni abbiamo avuto occasione d'incontrare certi volontari-turisti, compresa qualche giovane ragazza. Alla luce della nostra modesta esperienza, possiamo dire da padri che mai lasceremmo che nostra figlia si aggregasse a qualche piccola onlus, priva di adeguata esperienza e di comprovati referenti locali, per essere mandata allo sbaraglio, sola, in un luogo sperduto nella savana. Abbiamo, infatti, avuto modo di apprendere i rischi che una ragazza sola corre in certa realtà, magari anche in un posto all'apparenza sicuro quale potrebbe essere un ufficio, senza bisogno di trovarsi in situazioni estreme come quella vissuta da Silvia nello sperduto asilo di Chakama.
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