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venerdì 3 agosto 2018

Allarmismo fuori luogo circa la chiusura di chiese in Rwanda

La chiesa di Bugarama, piccolo villaggio della campagna ruandese
L’Avvenire di ieri, come peraltro altri organi di stampa, riportava la notizia circa la chiusura di 8000 chiese da parte del governo del Rwanda, “per motivi di sicurezza”.Dall’articolo, che si puo’ leggere cliccando qui, si ricava la sensazione che sia in corso un attacco alla libertà religiosa nel paese. Nella realtà i fatti illustrati riguardano per la gran parte situazioni di locali adattati a luoghi di culto di “chiese” fai da te, promosse da pastori improvvisati, spesso più dediti ad estorcere denaro ai propri seguaci che a diffondere un messaggio religioso. L’operazione governativa era iniziata qualche mese fa con la chiusura nella capitale Kigali di ben 700 luoghi di culto, quasi esclusivamente del tipo richiamato, che oltre a non rispettare i livelli di sicurezza minimali, richiesti a locali aperti al pubblico, erano anche fonte di disturbo delle quiete pubblica quando, magari nelle ore serali, diffondevano suoni e canti. Già a giugno, il presidente ruandese Paul Kagame, interpellato dal settimanale Jeune Afrique se con tale iniziativa intendesse dichiarare una  guerra alla religione, rispondeva di no, affermando che “il problema è il seguente: in primo luogo, il numero. Anche se solo a Kigali sono stati chiusi 700 luoghi di culto, ce ne sono altri ancora aperti. Sono ovviamente troppi. La libertà di culto non dovrebbe portare a tale eccesso. Inoltre, vi sono continue lamentele da parte dei residenti circa l'inquinamento acustico proveniente da quelle chiese giorno e notte, nonché la questione della sicurezza per i residenti causata da chiese che non rispettano gli standard. Infine, numerosi casi di estorsione di fondi, racket, crisi familiari causate da attività di pastori estorsori. Era necessario mettere ordine in quella proliferazione di chiese e sostenere regole che regolassero il loro insediamento e funzionamento. Questo è quello che abbiamo fatto”. L’iniziativa si è poi allargata al resto del Paese fino ad arrivare alla chiusura delle richiamate 8000 “chiese”. Al riguardo nostre fonti, interne alla Chiesa cattolica, hanno confermato che i luoghi di culto cattolici e della Chiesa anglicana ruandese sono stati interessati solo in minima parte, là dove esistevano effettivi problemi di sicurezza degli edifici religiosi a cui si e' provveduto a porre rimedio. Chiunque conosca la realtà ruandese sa bene che i luoghi di culto della Chiesa, anche nelle campagne, sono ben costruiti e ben tenuti, così come le molte Case del regno dei testimoni di Geova e diverse moschee. Per questo motivo l’iniziativa governativa non ha turbato più di tanto le autorità ecclesiastiche, alle quali sembra non dispiacere totalmente che si proceda a una certa azione di vigilanza sul proliferare di troppe sette fai da te che chiunque può promuovere dal mattino alla sera. In questo senso, è arrivato anche un provvedimento governativo che prevede che in futuro, con una fase transitoria di 4 anni, i ministri e promotori di gruppi religiosi siano in possesso di una licenza in teologia.Quindi, nessuna guerra di religione. Per ora.

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