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mercoledì 2 maggio 2018

Urge cambiare registro nelle politiche di sostegno allo sviluppo

Non mancheranno di suscitare vivaci discussioni le conclusioni a cui è giunta una commissione presieduta dall’ex primo ministro britannico, David Cameron, promossa dalla London School of Economics e dall'Università di Oxford, avente a oggetto "Fragilità dello stato, crescita e sviluppo". La commissione, formata da studiosi esperti di dinamiche di sviluppo, fra cui il prof. Paul Collier e il ruandese Donald Kaberuka in qualità di vice di Cameron, ha rassegnato un rapporto Escaping the fragility trap in cui si sostiene che le nazioni sviluppate che cercavano di aiutare quelle fragili hanno commesso diversi errori e sottolinea come i donatori internazionali dovrebbero smettere di affermare le proprie priorità irrealistiche e adottare invece un approccio più pragmatico e paziente per aiutare gli stati "fragili" che stanno cercando di porre fine al conflitto e raggiungere stabilità.In passato hanno, infatti,  promosso le "migliori pratiche" delle nazioni occidentali in paesi privi di sicurezza di base, di capacità di governo adeguate, di un plausibile funzionamento del settore privato e caratterizzate dalla presenza di società divise, richiedendo rapide elezioni multipartitiche e spesso politiche impopolari e dure, sostenute da istituzioni finanziarie globali come il Fondo Monetario Interazionale, che hanno sortito spesso risultati estremamente negativi. Perché forzare gli eventi, anche promuovendo le elezioni multipartitiche subito dopo i grandi sconvolgimenti, non funziona. Infatti, le elezioni convenzionali possono inavvertitamente indebolire i controlli e gli equilibri consegnando il potere a gruppi di maggioranza, in assenza di una previa costruzione di efficaci controlli ed equilibri di fiducia all'interno della società in grado di conferire legittimità al vincitore dichiarato. Il Rapporto guarda anche alle conseguenze più ampie che la fragilità di uno stato può avere sul più ampio contesto internazionale, perché oltre a condannare  le persone alla povertà; è alla base dei fenomeni migratori e di altri quali pirateria, tratta di esseri umani e proliferare del terrorismo. I soggetti esterni interessati a stabilizzare un paese fragile dovrebbero essere più interessati alla versione indigena dei pesi e contrappesi, ai meccanismi per costruire la coesione nazionale piuttosto che alla corsa verso la democrazia rappresentativa praticata in Occidente.
"L'identità condivisa deve soppiantare identità frammentate", afferma il rapporto. Una pace civile, un accordo che minimizzi le divisioni, è necessaria per dare al governo il potere di riscuotere le tasse, proteggere le strade e costruire alcune istituzioni che possano garantire lo stato di diritto e i diritti di proprietà per gli investitori privati, sia stranieri che nazionali. Per ottenere questi risultati il governo non dovrebbe essere costretto a seguire specifiche prescrizioni di politica economica - è sufficiente che le sue politiche siano realistiche e orientate alla crescita. Le conclusioni della Commissione sono chiare.Dopo decenni di aiuti, molti di questi paesi sono poveri come non mai, alcuni ancora più poveri. Le soluzioni a tale fragilità, conclude la Commissione, dovranno essere prevalentemente domestiche. Il percorso potrebbe essere lento e difficile, ma probabilmente sarà più duraturo. Soluzioni indigene e coalizioni di governi negoziati a livello locale,  imprese e  società civile sono le variabili che renderanno ben progettato il supporto internazionale e più probabile la sua efficacia.Questo è il motivo per cui il rapporto sostiene che gli attori internazionali - paesi donatori, agenzie umanitarie, il Fondo monetario internazionale (FMI), le Nazioni Unite (ONU),istituzioni finanziarie per lo sviluppo, forze di sicurezza e ONG - devono operare in modo diverso, imparando dagli errori che sono stati fatti e dalle prove che sono state raccolte nel corso degli anni. Soprattutto, devono smettere di imporre obiettivi irrealizzabili e scadenze non realistiche e iniziare a lavorare con i governi piuttosto che intorno ai governi. La Commissione afferma inoltre che gli attori nazionali devono essere responsabilizzati e supportati, anche attraverso un uso più mirato degli aiuti d'oltremare, per costruire sicurezza e stabilità nelle loro nazioni. Piuttosto che la condizionalità politica, i donatori dovrebbero chiedere "condizionalità alla governance", che protegga dalla corruzione e assicuri che il potere non venga abusato da un gruppo politico a scapito di un altro.In sede di presentazione del Rapporto, il dott. Kaberuka, forse anche forte dell'esperienza personale quale ex ministro delle Finanze del Rwanda, ha detto: "La fuga dalla fragilità è per necessità, un processo lento, graduale e spesso imperfetto. Sarà necessario un sostegno internazionale, ma le probabilità di successo sono maggiori se il paese e la sua gente sono al posto di guida. Il primo passo è la sicurezza che richiede un ampio grado di ricostruzione della fiducia a livello locale. Sfuggire alla fragilità non è sempre una questione di soldi. Approcci dall'alto verso il basso, guidati dai donatori con scadenze irrealistiche e strette non hanno prodotto risultati duraturi. Saranno necessari i primi sforzi per rilanciare il settore privato locale, che è spesso l'ancora di salvezza per famiglie e comunità quando lo stato non può più garantire le sue funzioni fondamentali di base. La fiducia generata dalle imprese nazionali è ciò che stimolerà gli investimenti esteri, non viceversa ". Cameron, a sua volta, ha dichiarato: "Le elezioni contano e io sono un grande fautore della democrazia. Ma prima di affrettarci alle elezioni multipartitiche, dobbiamo fare di più per risolvere i conflitti, raggiungere la condivisione del potere, e introdurre sul posto i controlli e gli equilibri che possono aiutare a prevenire un'altra scivolata in conflitto e fallimento. Questo rapporto è difficile e pratico - e spero che le sue raccomandazioni saranno seguite ". 
I contenuti di questo Rapporto sembrano offrire più di un riscontro circa la validità del Modello Rwanda così come emerge dallo studio Aiutiamoli a casa loro.

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