Non mancheranno di
suscitare vivaci discussioni le conclusioni a cui è giunta una commissione
presieduta dall’ex primo ministro britannico, David Cameron, promossa dalla
London School of Economics e dall'Università di Oxford, avente a oggetto "Fragilità
dello stato, crescita e sviluppo". La commissione, formata da studiosi
esperti di dinamiche di sviluppo, fra cui il prof. Paul Collier e il ruandese
Donald Kaberuka in qualità di vice di Cameron, ha rassegnato un rapporto Escaping
the fragility trap in cui si sostiene che le nazioni sviluppate che
cercavano di aiutare quelle fragili hanno commesso diversi errori e sottolinea
come i donatori internazionali dovrebbero smettere di affermare le proprie
priorità irrealistiche e adottare invece un approccio più pragmatico e paziente
per aiutare gli stati "fragili" che stanno cercando di porre fine al
conflitto e raggiungere stabilità.In passato hanno, infatti, promosso le "migliori pratiche"
delle nazioni occidentali in paesi privi di sicurezza di base, di capacità di
governo adeguate, di un plausibile funzionamento del settore privato e caratterizzate
dalla presenza di società divise, richiedendo rapide elezioni multipartitiche e
spesso politiche impopolari e dure, sostenute da istituzioni finanziarie
globali come il Fondo Monetario Interazionale, che hanno sortito spesso risultati
estremamente negativi. Perché forzare gli eventi, anche promuovendo le elezioni
multipartitiche subito dopo i grandi sconvolgimenti, non funziona. Infatti, le
elezioni convenzionali possono inavvertitamente indebolire i controlli e gli
equilibri consegnando il potere a gruppi di maggioranza, in assenza di una
previa costruzione di efficaci controlli ed equilibri di fiducia all'interno
della società in grado di conferire legittimità al vincitore dichiarato. Il
Rapporto guarda anche alle conseguenze più ampie che la fragilità di uno stato
può avere sul più ampio contesto internazionale, perché oltre a condannare le persone alla povertà; è alla base dei
fenomeni migratori e di altri quali pirateria, tratta di esseri umani e
proliferare del terrorismo. I soggetti esterni
interessati a stabilizzare un paese fragile dovrebbero essere più interessati
alla versione indigena dei pesi e contrappesi, ai meccanismi per costruire la
coesione nazionale piuttosto che alla corsa verso la democrazia rappresentativa
praticata in Occidente.
"L'identità
condivisa deve soppiantare identità frammentate", afferma il rapporto. Una
pace civile, un accordo che minimizzi le divisioni, è necessaria per dare al
governo il potere di riscuotere le tasse, proteggere le strade e costruire
alcune istituzioni che possano garantire lo stato di diritto e i diritti di
proprietà per gli investitori privati, sia stranieri che nazionali. Per
ottenere questi risultati il governo non dovrebbe essere costretto a seguire
specifiche prescrizioni di politica economica - è sufficiente che le sue
politiche siano realistiche e orientate alla crescita. Le conclusioni della
Commissione sono chiare.Dopo decenni di aiuti, molti di questi paesi sono
poveri come non mai, alcuni ancora più poveri. Le soluzioni a tale fragilità, conclude
la Commissione, dovranno essere prevalentemente domestiche. Il percorso
potrebbe essere lento e difficile, ma probabilmente sarà più duraturo.
Soluzioni indigene e coalizioni di governi negoziati a livello locale, imprese e
società civile sono le variabili che renderanno ben progettato il
supporto internazionale e più probabile la sua efficacia.Questo è il motivo per
cui il rapporto sostiene che gli attori internazionali - paesi donatori,
agenzie umanitarie, il Fondo monetario internazionale (FMI), le Nazioni Unite
(ONU),istituzioni finanziarie per lo sviluppo, forze di sicurezza e ONG -
devono operare in modo diverso, imparando dagli errori che sono stati fatti e
dalle prove che sono state raccolte nel corso degli anni. Soprattutto, devono
smettere di imporre obiettivi irrealizzabili e scadenze non realistiche e
iniziare a lavorare con i governi piuttosto che intorno ai governi. La
Commissione afferma inoltre che gli attori nazionali devono essere
responsabilizzati e supportati, anche attraverso un uso più mirato degli aiuti
d'oltremare, per costruire sicurezza e stabilità nelle loro nazioni. Piuttosto
che la condizionalità politica, i donatori dovrebbero chiedere
"condizionalità alla governance", che protegga dalla corruzione e
assicuri che il potere non venga abusato da un gruppo politico a scapito di un
altro.In sede di presentazione del Rapporto, il dott. Kaberuka, forse anche
forte dell'esperienza personale quale ex ministro delle Finanze del Rwanda, ha
detto: "La fuga dalla fragilità è per necessità, un processo lento,
graduale e spesso imperfetto. Sarà necessario un sostegno internazionale, ma le
probabilità di successo sono maggiori se il paese e la sua gente sono al posto
di guida. Il primo passo è la sicurezza che richiede un ampio grado di ricostruzione
della fiducia a livello locale. Sfuggire alla fragilità non è sempre una
questione di soldi. Approcci dall'alto verso il basso, guidati dai donatori con
scadenze irrealistiche e strette non hanno prodotto risultati duraturi. Saranno
necessari i primi sforzi per rilanciare il settore privato locale, che è spesso
l'ancora di salvezza per famiglie e comunità quando lo stato non può più
garantire le sue funzioni fondamentali di base. La fiducia generata dalle
imprese nazionali è ciò che stimolerà gli investimenti esteri, non viceversa
". Cameron, a sua volta, ha dichiarato: "Le elezioni contano e io
sono un grande fautore della democrazia. Ma prima di affrettarci alle elezioni
multipartitiche, dobbiamo fare di più per risolvere i conflitti, raggiungere la
condivisione del potere, e introdurre sul posto i controlli e gli equilibri che
possono aiutare a prevenire un'altra scivolata in conflitto e fallimento.
Questo rapporto è difficile e pratico - e spero che le sue raccomandazioni
saranno seguite ".
I contenuti di questo Rapporto sembrano offrire più di
un riscontro circa la validità del Modello Rwanda così come emerge dallo studio
Aiutiamoli a casa loro.
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