Paul Kagame ha preso atto con estrema soddisfazione dell'esito del referendum costituzionale, non solo perchè, volendo, gli spianerebbe la strada per rimanere in carica fino al 2034, ma, soprattutto, perchè dalle urne esce un Rwanda "più forte", che non si è lasciato intimidire dalle pressioni provenienti dall'estero, dagli USA e dall'Unione Europea. I commenti di Kagame si sono fermati qui; nulla ha lasciato trapelare circa la sua intenzione di ripresentarsi nel 2017.Nel frattempo, sono arrivati nuovi inviti direttamente dalla Casa Bianca perchè il presidente uscente non approfitti delle nuove norme costituzionali per perpetuare nel tempo la permanenza al vertice dello stato. In particolare, il comunicato della Casa Bianca dopo aver riconosciuto i meriti di Kagame nella ricostruzione e sviluppo del Rwanda auspica che lo stesso " onori il proprio impegno a rispettare i limiti di mandato .....concorrendo in tal modo a dare una base credibile alla democrazia in Rwanda e rafforzare i significativi progressi compiuti
per il mantenimento della pace e della prosperità per tutti i rwandesi e dare
un lodevole esempio, non solo in Rwanda, ma nell'intera regione e al mondo ".
La dichiarazione non ha mancato di aggiungere che "Washington è
preoccupata anche per una limitazione generale delle libertà democratiche in
Rwanda...Gli Stati Uniti rimangono preoccupati per le
restrizioni da lunga data alla libertà di riunione pacifica, di associazione e di
espressione in Rwanda...Chiediamo al governo rwandese di consentire il pieno
esercizio di tali libertà fondamentali nel momento in cui il paese va alle elezioni locali
nel 2016, alle elezioni presidenziali nel 2017 e alle elezioni parlamentari nel
2018",
La prudenza con cui Kagame si sta muovendo potrebbe anche preludere a qualche sorpresa.Si fa, infatti, fatica a immaginare che un personaggio dello spessore e delle capacità di Kagame possa ridursi a recitare il ruolo di un Mugabe qualsiasi, confondendosi con la pletora dei dittatorelli africani che stanno dando un pessimo spettacolo sul continente. I richiami americani potrebbero sollecitare l'ego del leader rwandese, al quale non sfugge certo che mettersi contro i suoi principali alleati occidentali rischierebbe: da una parte, di fargli venir meno quel consenso internazionale di cui ha goduto fino ad oggi, che ha fatto passare in secondo piano diverse pecche della sua governance, e , dall'altra, di giocarsi il flusso di aiuti finanziari che concorrono per oltre il trenta per cento alla formazione del bilancio statale. Oltretutto, sottraendosi alla tentazione del terzo mandato e mettendo in atto qualche accorgimento costituzionalmente accettabile che gli consenta di non rinunciare totalmente alle leve del comando, magari lanciando per la presidenza un personaggio come Donald Kaberuka, Kagame potrebbe effettivamente passare alla storia come l'iniziatore di una via africana a una governance se non pienamente democratica, secondo canoni occidentali, almeno rispettosa delle regole. Non sarebbe poco. A quel punto i 5 milioni di dollari del premio Mo Ibrahim e il relativo vitalizio di 200.000 dollari annui avrebbero un vincitore certo!
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