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domenica 29 novembre 2009
Il Rwanda entra nel Commonwealth
sabato 28 novembre 2009
Commissione senatoriale di Kigali: focus sulle Ong
La Madonna di Kibeho
lunedì 23 novembre 2009
Jambo Africa! I ricordi africani della signora Liana
Era il 1957 ed era il mio primo giorno in Africa. È grazie a mio marito, al suo lavoro ed al fatto che mi ha sempre voluta con sé, che ho avuto l’opportunità di vivere in Africa un periodo “abbastanza” lungo della mia vita, anche se abbastanza non è la parola giusta quando si parla di questo Paese.
Più passano gli anni, più mi rendo conto di quanto sono stata fortunata ad aver vissuto questa bella favola all’età di vent’anni. L’unico rammarico è che certo allora ero troppo giovane per apprezzare a fondo la bella realtà che stavo vivendo. Mi mancavano tante cose che i miei coetanei a casa avevano. I disagi e le paure erano tanti anche se comprensibili per una ragazza della mia età che era finita in un altro mondo, seppur meraviglioso, ma sicuramente inospitale. Mi mancava la sicurezza della mia famiglia e mi rattristava il ricordo del viso di mia madre quando la salutavo dal finestrino del treno che mi avrebbe portata tanto lontano.Tutto questo deve aver tolto qualcosa alla felicità che vivevo e che oggi col senno di poi accetterei come un dono, il dono più bello. Arrivai a Dar Er Salam in nave e da lì un piccolo aereo mi portò nel cuore del Congo. Il primo impatto con l’Africa mi lasciò smarrita. Venivo da un bel Paese, l’Italia, ed ero abituata alle belle montagne verdi e rigogliose della mia Toscana, ma il verde che ora avevo davanti agli occhi era di color smeraldo scintillante in contrasto con un terreno rosso brillante. Lungo i sentieri di terra battuta, una dietro l’altra sfilavano, come in una passerella di moda, donne avvolte in tessuti sgargianti di mille colori. Portavano sopra la testa con estrema eleganza dei grandi cesti carichi di frutta, banane, verdure, una mano appoggiata sul fianco dava loro l’andatura corretta di piccole regine e poi quei fagottini legati stretti da un foulard dietro le spalle dal quale usciva fuori la testolina ricciuta di un neonato. Queste prime immagini africane sono rimaste per sempre impresse nella mente e nessun particolare è andato mai perduto. La prima notte poi mi resi conto che il silenzio in Africa non esiste. Le mille voci della foresta accompagnate da lontani tam-tam davano vita ad un’orchestra notturna che non ha uguali e la mattina dopo, quando ho aperto gli occhi ed ho visto l’alba illuminare il cielo, mi sono detta: “Ecco, sono atterrata nel Paradiso Terrestre. Il giorno dopo sono partita per raggiungere mio marito nell’interno della foresta dove la nostra Società aveva allestito un campo base. La località prendeva il nome da un bellissimo torrente chiamato Luama. L’accampamento contava circa 500 persone fra donne bambini ed operai locali, che formavano squadre di lavoro guidate da 10 caposquadra Italiani. Io ero l’unica donna bianca dell’accampamento. Poco distanziata dal grande accampamento c’era la mia capanna, costruita abilmente dagli indigeni, le pareti erano di canna ed il tetto spiovente era tutto ricoperto da fasci di paglia, disposti in modo tale da non far passare l’acqua dei grandi acquazzoni… o quasi. Era dotata di un unico locale con al centro un’amaca dove dormivamo io e mio marito e fuori, sotto la tettoia, un piccolo tavolo da pranzo sopra il quale tenevo anche un fornellino a petrolio: la mia cucina. Non avevo né un armadio né un mobile, i pochi utensili che possedevo stavano accantonati per terra sopra cassette da bulloni vuote. Alle 4 del mattino tutti partivano per le varie destinazioni di lavoro con grande frastuono di camion e camionette. Se non sorgevano problemi con i mezzi di trasporto, durante la stagione delle piogge, infatti, i camion rimanevano spesso impantanati nel fango, tutti rientravano la sera tardi. Non c’è niente di normale in Africa. I fiumi sono impetuosi, le piogge sono scroscianti. I temporali arrivano improvvisi, con violenza, preceduti da venti fortissimi che stendono a terra interi canneti di grossi bambù. In attesa del ritorno degli uomini io rimanevo tutto il giorno con le donne dell’accampamento. Queste, la mattina, con grandi brocche ben equilibrate sopra la testa ed i loro bambini più grandicelli attaccati alla gonna, si avviavano lentamente verso il fiume per prendere l’acqua. Formavano una lunga fila di figurine cinguettanti, sempre allegre e sorridenti. Io cominciai a seguirle ogni giorno ed insieme a loro lavavo gli indumenti nell’acqua del torrente. A volte le acque mi strappavano i panni dalle mani, ma loro erano sempre pronte ad aiutarmi. Questi episodi le divertivano molto, tanto che continuavano a raccontarli a tutti, scoppiando in allegre risate. Quanta paura avevo, questo lo ricordo bene, perché all’accampamento la notte era veramente nera. Non c’era corrente elettrica e spesso mancava anche il petrolio per le “lampade Coleman” in dotazione per ogni capanna. La lampada a petrolio illuminava solo per un corto raggio e poi formava tutto intorno delle lunghe lugubri ombre nere. Non ho mai incontrato animali feroci, ma sentivo i loro ruggiti non lontano dall’accampamento. Arrivavano anche i suoni dell’insistente litigioso gioco delle scimmie. Proprio queste sarebbero state la mia salvezza dalla solitudine, perché una sera mio marito mi portò a casa una piccola, bella, simpatica, dispettosa scimmietta, tutta per me. Mi stava sempre aggrappata dietro la testa, con le sue manine strette attorno alla mia fronte ed io non fui più sola.
Oggi naturalmente l’Africa è diversa e forse è proprio questo il motivo per cui non desidero tornarci. Voglio ricordarla come l’ho conosciuta io. Vedendo le immagini in televisione, sentendo quello che racconta mio marito che tutt’oggi continua a visitarla, ho appreso che i sentieri che portavano alla Luama oggi sono strade asfaltate e l’accampamento dove abbiamo vissuto tante avventure non c’è più, perchè è stato riconquistato dalla foresta. Kigali, dove di lì a poco più di un anno sarebbe nata mia figlia Daniela, che contava solo di una chiesetta, un ospedale, l’Hotel Vanver e qua e là qualche villetta stile coloniale, oggi è diventata una grande e bella città moderna dove ormai si trova di tutto, ma dove io non ritroverei più niente. I ricordi sono tanti e, scrivendo queste riflessioni, tornano impetuosi come un fiume. Non posso elencarli tutti, ma laggiù in Africa sono nati due dei miei tre figli. Sarò sempre grata a questa Terra per tutto quello che mi ha dato, per l’amore ricevuto e oggi posso dire che, se la mia vita ha avuto un senso, molto lo devo a Lei.
sabato 21 novembre 2009
La provocazione di una studiosa africana: basta aiuti all'Africa
Secondo la Moyo, un vero sviluppo dell'Africa può scaturire da una maggiore apertura dell'Africa al commercio mondiale, dalla fine delle sovvenzioni americane e europee ai loro produttori e dalla costruzione di governance più stabili e più democratiche nei vari paesi dell'Africa. Secondo quanto sostenuto dall’economista zambiana in un suo intervento pubblicato il 28 febbraio di quest’anno su The Financial Times le sue tesi hanno trovato terreno fertile in Rwanda. Scrive, infatti, la Moyo che in occasione di un incontro con esponenti ruandesi per illustrare alcune delle idee del suo libro, su come sviluppare una crescita sostenibile nel lungo termine prescindendo dagli aiuti esteri, si sia sentita dire da più di un ospite che stava “predicando a dei convertiti " . Ha inoltre riscontrato nello stesso presidente Paul Kagame la ferma volontà di fare tutto quanto possibile per pianificare uno sviluppo che prescinda, per quanto possibile, dagli aiuti esteri. Certo non è detto che le tesi sostenute dalla Moyo siano necessariamente vincenti, il fatto però difficilmente smentibile è la scarsa efficacia dell’attuale modello in cui si articolano gli aiuti internazionali che non ha prodotto, fino a oggi, effetti particolarmente positivi.Per chi volesse farsi un’idea più precisa delle idee della Moyo, suggerisco la lettura dell’interessante intervista concessa qualche mese fa dalla studiosa zambiana a La Repubblica (clicca qui).
venerdì 20 novembre 2009
Rwanda: autorizzato il terzo operatore di telefonia mobile
Procedono, nel frattempo, i lavori di posa dei cavi di fibra ottica che dovrebbero mettere in rete le principali città del paese, consentendo l’accesso a internet con velocità superiori, grazie ai collegamenti alla rete internazionale attraverso i cavi transoceanici.
mercoledì 18 novembre 2009
Il Tribunale (ICTR) assolve sacerdote accusato di genocidio
venerdì 13 novembre 2009
giovedì 12 novembre 2009
Servono collegamenti aerei più economici per far decollare il turismo rwandese.
Il Rwanda si è aggiudicato un prestigioso riconoscimento al World Travel Market di Londra in cui lo stand rwandese ha battuto la concorrenza di altri 600 espositori. Nel commentare l’avvenimento il The New Times sottolinea l’importanza che potrebbe avere il turismo per il paese e in tal senso auspica che il sistema ricettivo rwandese faccia ogni sforzo per adeguarsi velocemente agli standard mondiali in termini di qualità degli alberghi e di cura del cliente. A nostro avviso esiste però un grosso handicap perché il Rwanda possa sfruttare appieno le proprie potenzialità in campo turistico: i collegamenti aerei scontano prezzi decisamente alti, tali da scoraggiare qualsiasi turista volonteroso che voglia visitare il paese delle mille colline. Con il costo di un viaggio andata e ritorno da Milano o Roma verso Kigali ( Brussells Airlines chiede oltre 1.200 euro), si trascorre una vacanza di almeno 10 giorni in una stazione turistica del Kenya, tutto compreso. I prezzi della compagnia belga sono decisamente alti, così come quelli dell'Ethiopian Airlines, tenuto conto che la tratta è assai ben frequentata. Per questo, un qualche stimolo concorrenziale da parte delle autorità di Kigali sarebbe particolarmente opportuno, magari offrendo collegamenti con il Kenya a prezzi competitivi e intercettando così anche i flussi turistici che gravitano su quel paese. Ne usufruirebbero anche i numerosissimi volontari che annualmente si recano in Rwanda per le loro attività di solidarietà.