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domenica 29 novembre 2009

Il Rwanda entra nel Commonwealth

Il Rwanda è stato ammesso al Commonwealth of Nations, il club che raggruppa 53 paesi, principalmente ex colonie britanniche, in una comunità allargata di cooperazione commerciale e non solo. Il Rwanda è il secondo paese, dopo il Mozambico, ad essere ammesso senza avere un passato di colonia britannica. L'ammissione del Rwanda avviene dopo una marcia di avvicinamento all'area anglofona iniziata all'indomani della guerra civile del 1994, quando arrivò al governo il nuovo gruppo dirigente, con una forte componente formata dai profughi provenienti dall'Uganda.In questa direzione era arrivata anche la decisione di soppiantare il francese con l'inglese come seconda lingua a fianco del Kinyarwanda. I progressi conseguiti in questi quindici anni in termini di governance, sviluppo economico e sicurezza hanno convinto i più influenti esponenti del gruppo, Gran Bretagna, Australia, Canada e India, a sponsorizzare l'ammissione del Rwanda in seno al gruppo. Si dischiudono ora per il Rwanda favorevoli opportunità nell'ambito della cooperazione commerciale, all'interno di un'area con una popolazione di oltre due miliardi di abitanti e un interscambio di circa 2800 miliardi di dollari, con la possibilità di rafforzare la cooperazione bilaterale con il resto degli Stati membri anche in termini di nuovi progetti di sviluppo.

sabato 28 novembre 2009

Commissione senatoriale di Kigali: focus sulle Ong

Da un po’ di tempo le attività delle ong operanti in Rwanda sono oggetto di particolare interesse delle autorità di Kigali. Dopo che avevamo riferito in un nostro precedente post circa la disposizione che prevede un puntuale censimento delle ong internazionali operanti in Rwanda, è ora la volta di un’indagine di una commissione senatoriale che ha evidenziato la scarsa trasparenza con cui diverse ong locali e internazionali utilizzano i fondi destinati agli aiuti. La Commissione parla esplicitamente di arricchimenti personali da parte di certi responsabili. Tali comportamenti richiedono quindi, secondo i parlamentari che si sono interessati al problema, una particolare attenzione da parte delle autorità pubbliche per portare alla luce l’uso improprio che diversi responsabili di ong fanno dei fondi gestiti, sfruttando le cause umanitarie. L’intenzione del legislatore è di normare il comparto in modo che sia possibile verificare il reale e corretto utilizzo in loco delle risorse che le ong ricevono. La materia è piuttosto delicata.
Siamo però certi che le smaliziate autorità di Kigali non vorranno sfruttare certi comportamenti deprecabili e disonesti di taluni responsabili, si spera una minoranza, per limitare l’autonomia delle tante organizzazioni che, grazie all’abnegazione dei volontari, sono impegnate in tanti progetti a favore della popolazione rwandese, correndo il rischio che talune di queste ong possano trasferirsi in altri paesi africani.

La Madonna di Kibeho

Oggi la Chiesa ricorda le apparizioni della Vergine a Kibeho (28 novembre 1981 – 28 novembre 1989) le prime, verificatesi in terra d’Africa, su cui la Chiesa ha espresso il suo riconoscimento, giudicandole autentiche, al termine di una lunga inchiesta e di un rigoroso processo canonico.Per conoscere la storia di queste apparizioni, suggeriamo di visitare un interessante blog Nicodemo di notte in cui l'argomento è ampiamente trattato.

lunedì 23 novembre 2009

Jambo Africa! I ricordi africani della signora Liana

Riprendiamo, dall'edizione 2010 della rivista dell'Ass. Kwizera, questa testimonianza della signora Liana Marchi Baldi che, con intensità e un po' di nostalgia, ci intrattiene sulla sua esperienza di vita in terra d'Africa e in particolare in Rwanda, al seguito del marito, l'infaticabile Brunello ( insieme nella foto). Senza nulla togliere ai tanti altri contributi pubblicati sulla Rivista, ci sembra che quello della signora Baldi sia il pezzo più interessante che sa far rivivere, con intensità e freschezza, ricordi ed emozioni particolarmente coinvolgenti.

Era il 1957 ed era il mio primo giorno in Africa. È grazie a mio marito, al suo lavoro ed al fatto che mi ha sempre voluta con sé, che ho avuto l’opportunità di vivere in Africa un periodo “abbastanza” lungo della mia vita, anche se abbastanza non è la parola giusta quando si parla di questo Paese.
Più passano gli anni, più mi rendo conto di quanto sono stata fortunata ad aver vissuto questa bella favola all’età di vent’anni. L’unico rammarico è che certo allora ero troppo giovane per apprezzare a fondo la bella realtà che stavo vivendo. Mi mancavano tante cose che i miei coetanei a casa avevano. I disagi e le paure erano tanti anche se comprensibili per una ragazza della mia età che era finita in un altro mondo, seppur meraviglioso, ma sicuramente inospitale. Mi mancava la sicurezza della mia famiglia e mi rattristava il ricordo del viso di mia madre quando la salutavo dal finestrino del treno che mi avrebbe portata tanto lontano.Tutto questo deve aver tolto qualcosa alla felicità che vivevo e che oggi col senno di poi accetterei come un dono, il dono più bello. Arrivai a Dar Er Salam in nave e da lì un piccolo aereo mi portò nel cuore del Congo. Il primo impatto con l’Africa mi lasciò smarrita. Venivo da un bel Paese, l’Italia, ed ero abituata alle belle montagne verdi e rigogliose della mia Toscana, ma il verde che ora avevo davanti agli occhi era di color smeraldo scintillante in contrasto con un terreno rosso brillante. Lungo i sentieri di terra battuta, una dietro l’altra sfilavano, come in una passerella di moda, donne avvolte in tessuti sgargianti di mille colori. Portavano sopra la testa con estrema eleganza dei grandi cesti carichi di frutta, banane, verdure, una mano appoggiata sul fianco dava loro l’andatura corretta di piccole regine e poi quei fagottini legati stretti da un foulard dietro le spalle dal quale usciva fuori la testolina ricciuta di un neonato. Queste prime immagini africane sono rimaste per sempre impresse nella mente e nessun particolare è andato mai perduto. La prima notte poi mi resi conto che il silenzio in Africa non esiste. Le mille voci della foresta accompagnate da lontani tam-tam davano vita ad un’orchestra notturna che non ha uguali e la mattina dopo, quando ho aperto gli occhi ed ho visto l’alba illuminare il cielo, mi sono detta: “Ecco, sono atterrata nel Paradiso Terrestre. Il giorno dopo sono partita per raggiungere mio marito nell’interno della foresta dove la nostra Società aveva allestito un campo base. La località prendeva il nome da un bellissimo torrente chiamato Luama. L’accampamento contava circa 500 persone fra donne bambini ed operai locali, che formavano squadre di lavoro guidate da 10 caposquadra Italiani. Io ero l’unica donna bianca dell’accampamento. Poco distanziata dal grande accampamento c’era la mia capanna, costruita abilmente dagli indigeni, le pareti erano di canna ed il tetto spiovente era tutto ricoperto da fasci di paglia, disposti in modo tale da non far passare l’acqua dei grandi acquazzoni… o quasi. Era dotata di un unico locale con al centro un’amaca dove dormivamo io e mio marito e fuori, sotto la tettoia, un piccolo tavolo da pranzo sopra il quale tenevo anche un fornellino a petrolio: la mia cucina. Non avevo né un armadio né un mobile, i pochi utensili che possedevo stavano accantonati per terra sopra cassette da bulloni vuote. Alle 4 del mattino tutti partivano per le varie destinazioni di lavoro con grande frastuono di camion e camionette. Se non sorgevano problemi con i mezzi di trasporto, durante la stagione delle piogge, infatti, i camion rimanevano spesso impantanati nel fango, tutti rientravano la sera tardi. Non c’è niente di normale in Africa. I fiumi sono impetuosi, le piogge sono scroscianti. I temporali arrivano improvvisi, con violenza, preceduti da venti fortissimi che stendono a terra interi canneti di grossi bambù. In attesa del ritorno degli uomini io rimanevo tutto il giorno con le donne dell’accampamento. Queste, la mattina, con grandi brocche ben equilibrate sopra la testa ed i loro bambini più grandicelli attaccati alla gonna, si avviavano lentamente verso il fiume per prendere l’acqua. Formavano una lunga fila di figurine cinguettanti, sempre allegre e sorridenti. Io cominciai a seguirle ogni giorno ed insieme a loro lavavo gli indumenti nell’acqua del torrente. A volte le acque mi strappavano i panni dalle mani, ma loro erano sempre pronte ad aiutarmi. Questi episodi le divertivano molto, tanto che continuavano a raccontarli a tutti, scoppiando in allegre risate. Quanta paura avevo, questo lo ricordo bene, perché all’accampamento la notte era veramente nera. Non c’era corrente elettrica e spesso mancava anche il petrolio per le “lampade Coleman” in dotazione per ogni capanna. La lampada a petrolio illuminava solo per un corto raggio e poi formava tutto intorno delle lunghe lugubri ombre nere. Non ho mai incontrato animali feroci, ma sentivo i loro ruggiti non lontano dall’accampamento. Arrivavano anche i suoni dell’insistente litigioso gioco delle scimmie. Proprio queste sarebbero state la mia salvezza dalla solitudine, perché una sera mio marito mi portò a casa una piccola, bella, simpatica, dispettosa scimmietta, tutta per me. Mi stava sempre aggrappata dietro la testa, con le sue manine strette attorno alla mia fronte ed io non fui più sola.
Oggi naturalmente l’Africa è diversa e forse è proprio questo il motivo per cui non desidero tornarci. Voglio ricordarla come l’ho conosciuta io. Vedendo le immagini in televisione, sentendo quello che racconta mio marito che tutt’oggi continua a visitarla, ho appreso che i sentieri che portavano alla Luama oggi sono strade asfaltate e l’accampamento dove abbiamo vissuto tante avventure non c’è più, perchè è stato riconquistato dalla foresta. Kigali, dove di lì a poco più di un anno sarebbe nata mia figlia Daniela, che contava solo di una chiesetta, un ospedale, l’Hotel Vanver e qua e là qualche villetta stile coloniale, oggi è diventata una grande e bella città moderna dove ormai si trova di tutto, ma dove io non ritroverei più niente. I ricordi sono tanti e, scrivendo queste riflessioni, tornano impetuosi come un fiume. Non posso elencarli tutti, ma laggiù in Africa sono nati due dei miei tre figli. Sarò sempre grata a questa Terra per tutto quello che mi ha dato, per l’amore ricevuto e oggi posso dire che, se la mia vita ha avuto un senso, molto lo devo a Lei.

sabato 21 novembre 2009

La provocazione di una studiosa africana: basta aiuti all'Africa

I risultati piuttosto modesti del recente vertice della FAO e, soprattutto, la mancanza di vere proposte idonee ad affrontare il problema della fame hanno spinto diversi commentatori a rivisitare le provocatorie tesi sostenute dalla economista dello Zambia, Dambisa Moyo, secondo la quale l'aiuto allo sviluppo dato dai paesi ricchi ai paesi africani, così come si articola oggi, oltre a non funzionare ha contribuito ad aumentare la povertà in molti stati africani. Nel suo saggio "Dead aid: why aid is not working and how there is a better way for Africa" ("Aiuto morto: ecco perchè l'aiuto non funziona ed eccovi la migliore soluzione per l'Africa"), comparso l’anno scorso e non ancora tradotto in Italia, la Moyo, che ha studiato ad Oxford e Harvard prima di lavorare in World Bank e Goldman Sachs, argomenta la sua tesi prendendo in esame i dati economici degli ultimi decenni, da cui emerge che i paesi africani hanno ricevuto, in mezzo secolo, più di 1.000 miliardi di dollari di aiuti senza che il loro livello di povertà sia diminuito. Secondo l’autrice, il modello attuale di aiuti alimenta dinamiche negative che danneggiano i popoli dell'Africa in quanto spezzano sul nascere ogni slancio o idea di riforma, comprimono la capacità degli africani di creare ricchezza nazionale, favoriscono la corruzione, le guerre e il mantenimento di regimi non democratici, e creano una sorta di crescente dipendenza dagli aiuti che vengono dall'estero, rendendo sempre più difficile la possibilità di potersene affrancare.
Secondo la Moyo, un vero sviluppo dell'Africa può scaturire da una maggiore apertura dell'Africa al commercio mondiale, dalla fine delle sovvenzioni americane e europee ai loro produttori e dalla costruzione di governance più stabili e più democratiche nei vari paesi dell'Africa. Secondo quanto sostenuto dall’economista zambiana in un suo intervento pubblicato il 28 febbraio di quest’anno su The Financial Times le sue tesi hanno trovato terreno fertile in Rwanda. Scrive, infatti, la Moyo che in occasione di un incontro con esponenti ruandesi per illustrare alcune delle idee del suo libro, su come sviluppare una crescita sostenibile nel lungo termine prescindendo dagli aiuti esteri, si sia sentita dire da più di un ospite che stava “predicando a dei convertiti " . Ha inoltre riscontrato nello stesso presidente Paul Kagame la ferma volontà di fare tutto quanto possibile per pianificare uno sviluppo che prescinda, per quanto possibile, dagli aiuti esteri. Certo non è detto che le tesi sostenute dalla Moyo siano necessariamente vincenti, il fatto però difficilmente smentibile è la scarsa efficacia dell’attuale modello in cui si articolano gli aiuti internazionali che non ha prodotto, fino a oggi, effetti particolarmente positivi.Per chi volesse farsi un’idea più precisa delle idee della Moyo, suggerisco la lettura dell’interessante intervista concessa qualche mese fa dalla studiosa zambiana a La Repubblica (
clicca qui).

venerdì 20 novembre 2009

Rwanda: autorizzato il terzo operatore di telefonia mobile

Il governo rwandese ha autorizzato il terzo operatore nazionale di telefonia mobile, concedendo la licenza a TIGO, un marchio di Millicom International Cellular (MIC) una azienda quotata al Nasdaq che offre servizi di telecomunicazione mobile in 13 paesi, 3 in Centro America, 3 in Sud America e 7 in Africa. La concessione della licenza ha portato nelle casse dello stato 67 milioni di dollari. Tigo si affaccia su un mercato dove sono attivi circa 1,5 miloni di abbonati, sui quasi 10 milioni di abitanti, per l’80 per cento appartenenti alla compagnia sudafricana MTN Rwanda e per il residuo a Rwandatel di proprietà libica. Tigo, che sarà immediatamente operativa con il prefsso 072 e con la possibilità per il cliente di scegliere il proprio numero, ha investito nell’operazione circa 50 milioni di dollari, oltre al costo della licenza. Secondo i responsabili della società, TIGO prevede di offrire un piano tariffario particolarmente concorrenziale con tariffe di Rwf 1,5 al secondo.Circa la convenienza merita sottolineare che, al cambio odierno di 846 franchi rwandesi per un euro, stiamo parlando di una tariffa, circa 10,5 centesimi di euro al minuto, allineata a quelle praticate sul mercato italiano, che rende evidente l'appetibilità per gli operatori di un simile mercato.
Procedono, nel frattempo, i lavori di posa dei cavi di fibra ottica che dovrebbero mettere in rete le principali città del paese, consentendo l’accesso a internet con velocità superiori, grazie ai collegamenti alla rete internazionale attraverso i cavi transoceanici.

mercoledì 18 novembre 2009

Il Tribunale (ICTR) assolve sacerdote accusato di genocidio

Da The New Times di oggi si apprende che la Prima Sezione del Tribunale Internazionale per il Rwanda (ICTR), presieduta dal giudice norvegese Erik Mose, ha mandato assolto il sacerdote cattolico Ormisda Nsengimana, accusato di genocidio e crimini contro l'umanità per atti di cui si sarebbe macchiato, secondo l'accusa, a Nyanza nel 1994 dove era rettore del Collège Christ-Roi, una scuola cattolica secondaria della zona. La sentenza è stata fortemente stigmatizzata dal segretario esecutivo della Commissione nazionale per la lotta contro il genocidio (CLNG).

venerdì 13 novembre 2009

I colori dell'innocenza

Posted by Picasa
Dal book fotografico di Alessandro

giovedì 12 novembre 2009

Servono collegamenti aerei più economici per far decollare il turismo rwandese.

Il Rwanda si è aggiudicato un prestigioso riconoscimento al World Travel Market di Londra in cui lo stand rwandese ha battuto la concorrenza di altri 600 espositori. Nel commentare l’avvenimento il The New Times sottolinea l’importanza che potrebbe avere il turismo per il paese e in tal senso auspica che il sistema ricettivo rwandese faccia ogni sforzo per adeguarsi velocemente agli standard mondiali in termini di qualità degli alberghi e di cura del cliente. A nostro avviso esiste però un grosso handicap perché il Rwanda possa sfruttare appieno le proprie potenzialità in campo turistico: i collegamenti aerei scontano prezzi decisamente alti, tali da scoraggiare qualsiasi turista volonteroso che voglia visitare il paese delle mille colline. Con il costo di un viaggio andata e ritorno da Milano o Roma verso Kigali ( Brussells Airlines chiede oltre 1.200 euro), si trascorre una vacanza di almeno 10 giorni in una stazione turistica del Kenya, tutto compreso. I prezzi della compagnia belga sono decisamente alti, così come quelli dell'Ethiopian Airlines, tenuto conto che la tratta è assai ben frequentata. Per questo, un qualche stimolo concorrenziale da parte delle autorità di Kigali sarebbe particolarmente opportuno, magari offrendo collegamenti con il Kenya a prezzi competitivi e intercettando così anche i flussi turistici che gravitano su quel paese. Ne usufruirebbero anche i numerosissimi volontari che annualmente si recano in Rwanda per le loro attività di solidarietà.

lunedì 9 novembre 2009

Le lingue locali strumento di alfabetizzazione

Riprendiamo dal libro intervista A quando l'Africa dello storico africano Joseph Ki-Zerbo questa breve riflessione sull'importanza delle lingue locali come strumento di alfabetizzazione e soprattutto di recupero e valorizzazione dei gruppi sociali più deboli come gli agricoltori.

"Non si possono alfabetizzare gli africani senza ricorrere alle lingue africane. Se si ricorrerà a queste lingue , ci si potrà dare come obiettivo a medio termine l'alfabetizzazione totale. Di consguenza bisognerebbe inpegnarsi in una sorta kulturkampf a livello della società civile e politica , al fine di sbarazzarsi di una piaga vergognosa come l'analfabetismo, invece di continuere a viverci assieme. Usando le lingue africane si restaura, contemporaneamente, la dignità dell'agricoltore. Gli agricoltori sono immersi in un complesso d'inferiorità perchè ci si rivolge a loro in una lingua straniera. Se si passasse al registro delle lingue africane, i contadini si presenterebbero come un'élite, e non più come quelli che si trascinano nelle retrovie e che bisogna spingere. E' un approccio psicologico che soddisferebbe anche i giovani agricoltori, valorizzando una cultura dove sono a loro agio come i pesci nell'acqua."

domenica 8 novembre 2009

Proverbi africani: filosofia in pillole

Segnaliamo un simpatico sito, curato da Romeo Fabbri per conto della Campagna CHIAMA L'AFRICA, in cui si possono leggere numerosi proverbi africani, di cui diversi raccolti in Rwanda. Clicca sulla foto.

proverbi dall'Africa

Come scritto nella presentazione, i "proverbi sono una delle grandi ricchezze dell'Africa. Traducono in espressioni essenziali, ritmate, ricche di assonanze e facilmente memorizzabili i tesori che la saggezza popolare è andata accumulando lungo i secoli o i millenni e che riprende e riprone di continuo. I proverbi ritornano con insistenza nelle conversazioni della vita di ogni giorno, nelle circostanze più o meno ufficiali della vita comunitaria, nei discorsi dei politici e nelle opere degli scrittori. Essi sono senza dubbio la via di accesso più immediata e sicura alla conoscenza dell'anima africana, essendo la via per la quale è stata trasmessa di generazione in generazione la saggezza acquisita mediante l'esperienza.

Scriveva già nel 1932 il P. Trilles: "Con i proverbi, ancor più che attraverso i racconti e le favole, si entra profondamente nell'anima del popolo, si colgono dal vivo le sue impressioni, le sue idee, i suoi sentimenti, le sue regole di vita. I proverbi cristallizzano per così dire la saggezza di una razza. Sono lezioni di esperienza millenaria, applicate alle diverse circostanze della vita pratica, lezioni di esperienza, lezioni di buon senso, parole dei vecchi". Léopold Sédar Senghor vedeva nei proverbi una sorta di filosofia in pillole: "I proverbi, in quanto saggezza, sono filosofia in pillole, verità umane, hanno un valore universale... (sono la) prova dell'unità della civiltà negro-africana, dove tutto è intimamente unito, da Dio alla pietra, dal proverbio al poema" (prefazione a H. Vulliez, Le tam-tam du sage)".

mercoledì 4 novembre 2009

Il Rwanda al VI Congresso mondiale per i migranti

Il governo di Kigali ha reso noto ieri alcuni dati relativi al fenomeno migratorio che interessa il Rwanda. Li riprendiamo prontamente in quanto potrebbero essere utili alla delagazione rwandese, composta dal vescovo di Cyangugu, Mons. Jean Damascene Bimenyimana e don Paolo Gahutu, rispettivamente presidente e segretario della commissione Migrantes rwandese, che parteciperà al VI Congresso Mondiale della Pastorale per i Migranti e i Rifugiati, sul tema “Una risposta pastorale al fenomeno migratorio nell'era della globalizzazione" che si terrà in Vaticano dal 9 al 12 novembre p.v..
Sono 63.441, secondo il Ministero del Governo Locale (MINALOC), i ruandesi che continuano a vivere come rifugiati in dodici paesi del continente africano. Si va dai 17.291 rifugiati in Uganda, seguita dalla Repubblica democratica del Congo con 17.014, Congo Brazaville 6.922, Zambia 5.098, Malawi e Zimbabwe rispettivamente con 4.453 con 3.077 e quindi il Kenya con 2.437 rifugiati, Sud Africa con 2.114, Camerun 1.438, Togo 902, Mozambico, con 612 e Benin 607. L’auspicio del governo è che tutti questi rwandesi possano fare ritorno in patria dove, dal 1994 ad oggi, sarebbero ritornati circa 3,2 milioni ruandesi, in precedenza rifugiati all’estero. Nel solo anno in corso, hanno fatto ritorno in Rwanda dalla Repubblica Democratica del Congo (RDC) 11.044 ex rifugiati , 5.583 dall'Uganda e 18 dallo Zambia. Sono in corso contatti con diversi governi e con la Commissione delle Nazioni Unite per i rifugiati per creare le condizioni che favoriscano il rientro in patria del maggior numero possibile di persone. Sul tavolo c’è anche la questione dei profughi stranieri, raggruppati in diversi campi in Rwanda, per i quali si stanno valutando le modalità per il rimpatrio nei paesi d’origine. Dai dati sopra riportati dovrebbero essere esclusi i rifugiati rwandesi nel nord Kivu, un problema a cui la comunità internazionale prima o poi dovrà trovare una soluzione.