Riportiamo qui di seguito alcuni stralci dell'interessante prefazione che Federico Rampini ha scritto per «Ipocrisea», il libro che la
giornalista Francesca Ronchin ha pubblicato per i tipi di Compagnia Editoriale
Aliberti. Partendo dall'analisi della situazione venutasi a creare negli USA, in termini di occupazione e di aumenti salariali, nel corso del 2021 a seguito del calo dei flussi d’ingresso, Rampini evidenzia come il dibattito sull’immigrazione non ne sia uscito sconvolto causa le pregiudiziali ideologiche che lo connotano.
"Invece questo non è avvenuto. L’anomalia salariale (positiva) è stata ampiamente raccontata dai grandi media americani. Che però si sono ben guardati dal trarne la lezione logica, che la semi-chiusura delle frontiere è una cosa buona per la massa dei lavoratori. Per forza non hanno tratto quella lezione: avrebbero dovuto rinnegare loro stessi, smontare il teorema politically correct sull’immigrazione che «fa bene alla nazione». È un caso di omessa informazione, questo silenzio totale sul nesso causale tra due fenomeni – blocco degli ingressi, aumenti salariali – che un buon giornalismo dovrebbe collegare. Ma l’omertà è più forte. Guai a fare autocritica dopo aver abbracciato una causa sbagliata". Rampini passa poi a riassumere "i luoghi
comuni che vengono ripetuti senza mai metterli alla prova.«Gli immigrati
aumentano la ricchezza nazionale». Per forza, visto che il pil è semplicemente
la somma di tutti i redditi prodotti dalla collettività, se il numero di
abitanti cresce anche il pil sale. Ma questo non ci dice nulla sulla sua
distribuzione: in una nazione più ricca molti possono impoverirsi, ed è quel
che accade per l’effetto redistributivo delle migrazioni. Da un lato migliorano
il benessere dei migranti e dei capitalisti, dall’altro impoveriscono tanti
lavoratori del Paese d’arrivo. «Vengono a fare i lavori che noi non vogliamo più
fare». Più esatto: vengono a fare quei lavoratori che nessuno di noi è disposto
a fare in condizioni di sfruttamento che talvolta somigliano a schiavismo;
senza immigrazione i padroni-schiavisti dovrebbero attrarre manodopera
nazionale cambiando il loro modello capitalistico. «Ci impediranno lo
spopolamento». Fino a quando mantengono un’alta natalità, cioè per poco: le
abitudini riproduttive degli immigrati si adeguano rapidamente alle nostre. «Ci
pagheranno le pensioni». Fino a quando non vorranno riscuoterle loro; e sempre
ammesso che stiano versando contributi. È il cane che si morde la coda: non
basta avere degli immigrati oggi (regolari e non evasori) per ripianare i
deficit dell’inps, bisogna averne domani, dopodomani, e a ritmi crescenti, cioè
alterando radicalmente gli equilibri etnici e sociali del Paese. È quel che
vogliamo? I cittadini sono stati consultati per sapere se accettano questa
ingegneria sociale studiata a tavolino dai tecnocrati? Ci sono altre
argomentazioni, di tipo umanitario: «Sono disperati, abbiamo un dovere di
solidarietà». E in nome della solidarietà gli ospedali di Londra monopolizzano
i laureati in medicina del Burkina Faso. È così che li stiamo aiutando,
portando via le loro élite, i talenti, le professioni qualificate? La vera
sinistra italiana negli anni Cinquanta considerò l’emigrazione dal Mezzogiorno
una tragedia; perché adesso è diventata la panacea per risolvere i problemi
dell’Africa? Da ultimo, esaurito ogni altro argomento, c’è il luogo comune del
fatalismo: «Non c’è modo di fermarli». E qui ritorno all’esempio dell’America
2021. C’è modo eccome, i flussi si possono governare, la prova è nei fatti. Questo è un dibattito che i progressisti (italiani o
americani) non riescono a riaprire in modo equilibrato. Preferiscono restare
aggrappati alle loro certezze di fede. Perciò fa bene Francesca Ronchin a
tentare un’altra picconata contro i luoghi comuni. L ’esperienza di Francesca
come reporter in prima linea, sul fronte rovente e tragico degli
attraversamenti del Mediterraneo. L’odissea dei disperati che affidano il
proprio futuro a quelle traversate ha già fatto troppi morti, ha seminato
troppo dolore. È una delle ragioni per cui tante italiane e tanti italiani sono
sinceramente, giustamente solidali con chi è spinto dalla miseria a rischiare
la vita su un barcone. Francesca però ha visto anche un’altra realtà: le
collusioni tra il mondo delle ong umanitarie e quello degli scafisti, le
complicità tra l’ideologia no border e la criminalità che gestisce il traffico
degli esseri umani disperati. Su questo tema IpocriSea è un documento di
denuncia: grave, originale, coraggioso. Nessuno ha il diritto di ignorare
queste pagine per partito preso, perché smentiscono una leggenda nobile. Per
contestare queste osservazioni di una reporter in prima linea, che racconta
quel che ha visto con i propri occhi, bisogna contrapporre dei fatti, non delle
opinioni".
Nessun commento:
Posta un commento