E' morto, venerdì sera in Germania, l'ex console onorario in Rwanda, Pierantonio Costa. Aveva 81 anni ed era stato console onorario a Kigali tra il 1988 e il 2003, vivendo sul campo tutto il periodo della guerra civile. Lo ricordiamo, riproponendo la sua storia come descritta nel nostro libro Dentro il Rwanda.
Pierantonio Costa: il nostro console onorario a Kigali
L’italiano più famoso in Rwanda è sicuramente Pierantonio Costa, per anni console onorario italiano a Kigali, che durante il genocidio ruandese ha portato in salvo 2000 persone, tra cui 375 bambini, come raccontato nel libro La lista del console (ed. Paoline, Milano, 2004), scritto a quattro mani dallo stesso Costa con il giornalista Luciano Scalettari. La sua storia, disnodatasi quasi tutta in terra africana, merita sicuramente d’essere ricordata. Classe 1939, a quindici anni dalla natia Mestre raggiunge il padre nello Zaire. Nel 1960, fa la prima esperienza di guerra africana quando, con alcuni suoi fratelli, si prodiga per traghettare gruppi di profughi congolesi dalla cittadina di Bukavu sulla sponda ruandese del lago Kivu. Allo scoppio della rivoluzione di Pierre Mulele (1964), si trasferisce nel vicino Rwanda, dove metterà radici, sposando una giovane svizzera che gli darà tre figli, e dove inizierà una fortunata carriera imprenditoriale. Dal 1988 assumerà la rappresentanza diplomatica dell’Italia, come console onorario, che manterrà fino al 2003.Sarà anche grazie a questo ruolo e alla correlata immunità diplomatica che Costa avrà modo di mettere in atto tutte le azioni umanitarie, che lo hanno reso famoso, durante i tragici mesi che vanno dal 6 aprile al 21 luglio 1994. Dopo aver portato in salvo gli italiani e diversi occidentali, Costa si trasferisce in Burundi, presso un fratello, e da lì comincia una serie di viaggi, attraverso il Rwanda, per mettere in salvo il maggior numero di persone possibile. Grazie ai privilegi derivanti dalla rappresentanza diplomatica, alla sua rete di conoscenze e alle sue disponibilità finanziarie, sarà in grado di procurare i visti di uscita dal Paese per tutti coloro che fanno ricorso al suo aiuto. E’ lo stesso Costa a raccontare nel suo libro di memoria come operava in quei tragici giorni. “Decisi che avrei operato così. Mi sarei vestito sempre allo stesso modo per essere riconoscibile: pantaloni scuri, camicia azzurra, giacca grigia. Distribuite nelle tasche – e sempre nello stesso posto – avrei messo banconote da 5000 franchi ruandesi (circa 20 euro), da 1000, da 500 e, infine, da 100 franchi, per essere sempre pronto a estrarre la cifra giusta, senza dover contare i soldi: la mancia deve essere data nella misura giusta, se dai troppo ti ammazzano per derubarti, se dai troppo poco non passi. Nella borsa avrei avuto costantemente con me alcuni fogli con la carta intestata del consolato d’Italia, e sul fuoristrada ci sarebbero state le immancabili bandiere italiane. Quanto alla durata delle incursioni oltre confine, avrei evitato il più possibile di dormire in Rwanda e di viaggiare col buio”. Agendo di concerto con rappresentanti della Croce Rossa e di svariate Ong, sempre sostenuto in questa sua opera umanitaria dal figlio Olivier, Costa, alla fine del genocidio, avrà salvato quasi 2000 persone, tra cui 375 bambini di un orfanotrofio della Croce Rossa, ma si troverà anche ad aver sacrificato beni per oltre 3 milioni di dollari. La sua opera gli varrà la medaglia d’oro al valore civile per gli italiani portati in salvo e analoga onorificenza da parte del Belgio. Pierantonio Costa è anche ricordato con un albero a lui dedicato nel Giardino dei Giusti, dove si fa memoria di quei "Giusti" che hanno lottato contro i crimini commessi contro l'Umanità, che hanno aiutato a salvare altre vite umane e che hanno cercato di difendere la dignità dell'uomo nelle situazioni di "Male estremo" nel mondo.
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