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martedì 29 ottobre 2019

Il nuovo libro del card. Sarah: alla radice del collasso dell'Occidente


E’ arrivato nelle librerie italiane Si fa sera e il giorno ormai volge al declino del card Robert Sarah, (ed. Cantagalli, Siena 2019 € 24,90) ultimo libro di una trilogia iniziata con Dio o niente, una sorta di autobiografia  spirituale di un figlio d’Africa, cui ha fatto seguito La forza del silenzio, antidoto all’invasione del rumore di cui è vittima il mondo. Ecco ora questa nuova fatica che vuole essere, per espressa volontà dell’Autore, una risposta ai tanti cristiani che, disorientati dalla grande crisi che sta attraversando la Chiesa, “tremano, vacillano, dubitano”, in attesa di ascoltare  parole “di chiarezza e verità” dai propri pastori. E non si può dire che il card Sarah tradisca il proposito.Con un linguaggio fermo - “perdonatemi se alcune mie parole vi scandalizzeranno”- scandaglia con rigore sempre intinto nella grande fede che lo sorregge, la crisi della fede, del sacerdozio e della Chiesa, per pervenire alla crisi della società e del mondo contemporaneo, con particolare attenzione alla crisi dell’Occidente.Crisi che in un’intervista recente così sintetizzava.“Il declino della fede nella Presenza reale di Gesù nell’eucaristia è al centro dell’attuale crisi della Chiesa e del suo declino, specialmente in Occidente. Vescovi, sacerdoti e fedeli laici siamo tutti responsabili della crisi della fede, della crisi della Chiesa, della crisi sacerdotale e della scristianizzazione dell’Occidente”. “Oggi, posso dire senza timore che alcuni sacerdoti, alcuni vescovi e persino alcuni cardinali hanno paura di proclamare ciò che Dio insegna e di trasmettere la dottrina della Chiesa. Hanno paura di essere visti come reazionari. E così dicono cose confuse, vaghe, imprecise, per sfuggire a ogni critica, e sposano la stupida evoluzione del mondo…. cedendo alla morbosa, malvagia tentazione di allineare la Chiesa ai valori attuali delle società occidentali. Soprattutto vogliono che la gente dica che la Chiesa è aperta, accogliente, attenta, moderna. Ma la Chiesa non è fatta per ascoltare, è fatta per insegnare”.

giovedì 24 ottobre 2019

Accordo di collaborazione Rwanda-Russia nel settore minerario e degli idrocarburi

Francis Gatare e Sergey Gorkov
E' stato firmato ieri a  Sochi, in Russia, a margine del  vertice Russia-Africa, tra il Rwanda e la società russa, ROSGEO, la State Geological Holding Company, rappresentata dall'amministratore delegato, Sergey Gorkov, un accordo di cooperazione nel settore minerario e degli idrocarburi.  Nell'ambito dell'accordo, le due parti identificheranno congiuntamente le future opportunità di esplorazione di idrocarburi nel bacino del lago Kivu, collaboreranno per istituire un laboratorio di geochimica, petrologia e mineralogia certificato, forniranno formazione nello studio delle geoscienze e svilupperanno il potenziale geotermico del Rwanda. L'accordo prevede anche la fornitura di attrezzature e servizi per l'esplorazione geologica e l'estrazione mineraria, l'assistenza tecnica e il trasferimento di conoscenze e la formazione di software avanzati necessari per l'esplorazione di miniere e idrocarburi. "Questo accordo mira a favorire gli investimenti russi nel settore minerario, petrolifero e del gas del Rwanda. Con l'esperienza della Russia nel settore estrattivo, non vi è dubbio che l'accordo porterà frutti", ha affermato Francis Gatare, Amministratore delegato di Rwanda Mines, Petroleum and Gas Board (RMB). L'accordo arriva pochi giorni prima del  forum minerario dell'Africa orientale e centrale che si terrà alla  fine di questo mese, con una serie di imprese partecipanti che hanno espresso interesse a investire nell'ecosistema minerario locale. Il settore minerario ruandese è cresciuto costantemente negli ultimi anni a un ritmo medio del 20% annuo, anche attraverso una strategia di diversificazione per includere altri minerali, in particolare pietre preziose, oro e minerali industriali. Secondo i dati di RMB, le esportazioni di minerali del Rwanda hanno generato $ 399 milioni nell'esercizio finanziario 2017-2018, con l'obiettivo di pervenire a un raddoppio entro il 2020 e raggiungere $ 1,5 miliardi ogni anno entro il 2024.

sabato 19 ottobre 2019

Riconoscimento mondiale al Rwanda per i livelli di sicurezza sociale


Nella giornata conclusiva del World Social Security Forum (WSSF) tenutosi a Bryxelles, l'Associazione internazionale per la sicurezza sociale  (ISSA) ha assegnato  al governo del Rwanda il premio per i risultati eccezionali ottenuti nella sicurezza sociale.Il premio è il riconoscimento mondiale dell'impegno e dei risultati eccezionali di un Paese nel campo della protezione sociale, in linea con la visione dell'ISSA sulla sicurezza sociale dinamica. Il premio viene assegnato ogni tre anni al World Social Security Forum, che questa settimana ha riunito 1300 leader ed esperti di sicurezza sociale da tutto il mondo a Bruxelles, in Belgio.Il premio ISSA 2019 è stato assegnato al governo del Ruanda per aver raggiunto una copertura assicurativa sanitaria pressoché completa in meno di 20 anni e aver raggiunto i più alti tassi di copertura sanitaria nell'Africa subsahariana. "Il Rwanda ha realizzato qualcosa di veramente unico nel passaggio alla copertura sanitaria universale a tempo di record, e questo premio è un riconoscimento per l'impressionante lavoro svolto dalle autorità ruandesi negli ultimi due decenni", ha affermato il segretario generale dell'ISSA Marcelo Abi-Ramia Caetano.Il Rwanda, uscito da una tragica guerra civile nel 1994 e un successivo crollo del sistema sanitario, è riuscito, attraverso una buona governance accompagnata da  una pianificazione a lungo termine, a pervenire, partendo da un progetto pilota nel 1999, a raggiungere una copertura assicurativa sanitaria superiore al 90% nel 2018, attraverso la Mutuelle de Santé. Nel presentare il Premio al Rwanda, l'ISSA ha anche segnalato la convinzione che diversi aspetti di questo approccio possano servire da modello e ispirazione per altri paesi.Lo schema di copertura sanitaria universale del Rwanda ha contribuito in modo significativo al miglioramento di numerosi indicatori chiave di sviluppo sociale, tra cui la riduzione delle spese sanitarie di emergenza e quindi la povertà; riduzione dei tassi di mortalità infantile e materna di due terzi dal 2000, aumento dell'educazione sanitaria e della pianificazione familiare per le donne e aumento dell'uguaglianza sociale e dell'equità.

martedì 8 ottobre 2019

Inaugurato in Rwanda la prima fabbrica di smartphone dell'Africa

Il pres. Kagame all'inaugurazione (foto Villaggio Urugwiro)
Foto The New Times

E’ stata inaugurata ieri in Rwanda, alla presenza del presidente Paul Kagame, la prima fabbrica di smartphone in Africa. Si tratta di un’iniziativa del conglomerato panafricano Mara Group, attivo anche nel settore bancario, che ha investito nella nuova iniziativa circa 50 milioni di dollari. Lo stabilimento, situato nella Zona Economica Speciale  di Kigali, produrrà smartphone ad alta tecnologia per il mercato locale e per l’Africa orientale. Fino ad ora, circa 200 persone sono impiegate nell'azienda, il 90% delle quali ruandesi.
A piena capacità, l'impresa impiegherà fino a 650 persone e produrrà un milioni di pezzi all'anno.I due modelli Android prodotti, in vendita a $ 159 e $ 229, dovrebbero competere con produttori asiatici come Tecno e Samsung che attualmente dominano i mercati africani con modelli  venduti a prezzi decisamente più bassi,  rispettivamente a $ 40 e $ 70. I produttori sono confidenti di superare  questo svantaggio di prezzo, per cui  i critici sono scettici sul fatto che Mara Phone possa sfondare sul mercato locale, grazie alle partnership con banche locali e società di telecomunicazioni, che dovrebbe consentire agli utenti di pagare i loro telefoni in due anni. La penetrazione degli smartphone in Rwanda è attualmente pari a circa il 15% del mercato, mentre la telefonia mobile arrivava a coprire circa l’80% della popolazione ruandese. Attualmente i ruandesi attraverso la telefonia mobile possono accedere a diversi servizi di enquiry e di pagamento attraverso la piattaforma governativa Irembo, e utilizzare le piattaforme di mobile money attive nel Paese. Aprendo la cerimonia, il presidente ruandese Paul Kagame ha ricordato come di fronte ai grandi cambiamenti in atto sia necessario mantenere il passo attraverso una costante innovazione, invitando altresì gli attori del settore privato a cercare continuamente di essere competitivi a livello globale. “Questo è il percorso che il Rwanda ha scelto per il nostro sviluppo. L'investimento di Mara Phones Group è quindi in perfetta armonia con la nostra attenzione per la scienza e la tecnologia, in quanto fattori chiave della nostra trasformazione economica ".Ne sono conferma le  notevoli capacità e competenze tecniche richieste nella produzione di uno smartphone, ha affermato il Capo dello Stato, aggiungendo che "è un'altra pietra miliare nel nostro viaggio verso l'industria high-tech e il Made in Rwanda".

martedì 1 ottobre 2019

Come vigilare sul buon uso degli aiuti all'Africa

Riprendiamo dal libro Aiutiamoli a casa loro Il modello Rwanda questo contributo relativo a un argomento particolarmente dibattuto anche in Italia. 
Come vigilare sul buon uso degli aiuti all'Africa
Uno dei rischi che accompagnano la cooperazione internazionale è che gli aiuti che i paesi sostenitori indirizzano verso i paesi africani finiscano per la gran parte nelle tasche dei numerosi governanti corrotti, spesso pure incapaci, che allignano nel continente africano. Simili malversazioni non possono però mettere in discussione la politica degli aiuti, per due ordini di ragioni. La prima: se togliamo ai paesi africani la possibilità di contare sugli aiuti esteri, li priviamo dell’unica vera e reale occasione di crescita delle loro economia e dello sviluppo delle rispettive società che ne potrebbe conseguire, lasciando come unica alternativa quella di incentivare le migrazioni verso l’Europa alla ricerca di nuove prospettive di vita. A quel punto il problema graverebbe in toto sull’Europa, cui spetterebbe dare risposte al fenomeno migratorio, senza peraltro poter contare sulla leva dell’aiutiamoli a casa loro, intesa nella migliore delle sue accezioni, che, allo stato, rimane l’unica reale alternativa all’accoglienza incondizionata, con tutte le ricadute da tutti conosciute. La seconda: tagliare gli aiuti, perché non si è in grado di assicurare che gli stessi siano correttamente finalizzati, significa alzare bandiera bianca di fronte alla diffusa corruzione del ceto politico e burocratico dei paesi africani e, di nuovo, abbandonare quei paesi a se stessi e ai loro problemi. In realtà, i paesi donatori avrebbero gli strumenti per intervenire su entrambi i fronti, a patto che, superando ogni recondito falso senso di colpa circa il passato coloniale, siano disposti a interventi anche “invasivi” su quei paesi: nella gran parte dei casi non si tratta di violare una inesistente sovranità nazionale, ma molto più semplicemente la suscettibilità dell’autocrate locale. Gli aiuti erogati, preferibilmente ai bilanci dello stato, dovrebbero essere condizionati a standard comportamentali, possibilmente condivisi dalla comunità dei donatori, a cui i governanti africani dovrebbero sottostare e su cui dovrebbero vigilare, in primis, autorità internazionali indipendenti e su cui dovrebbe farsi sentire anche la società civile locale, il cui sviluppo dovrebbe trovare adeguato spazio nei programmi d’intervento dei paesi donatori. Senza dimenticare che quando si realizza un utilizzo corretto degli aiuti ricevuti, per capacità dei governanti e/o per la vigilanza dei donatori, si innesca un circolo virtuoso, in cui il buon uso fatto degli aiuti ricevuti ne richiama di nuovi: ne è una conferma il Rwanda, giudicato dal Forum economico di Davos uno dei migliori utilizzatori al mondo (7° nella classifica mondiale) dei fondi ricevuti dalla comunità internazionale. I paesi donatori possono dire la loro anche sul fronte del contrasto delle diffusa corruzione nella classe dirigente africana. Si prenda il caso, citato dall’africanista Anna Bono in un suo recente articolo, di quei due generali del Sud Sudan, avversari in patria nell’immancabile guerra civile africana, che si trovano quasi condomini a Nairobi, dove si sono acquistati un appartamento milionario che il loro stipendio, di qualche decina di migliaia di dollari annui, mai avrebbe permesso loro di acquistare, se non grazie alle integrazioni derivanti dalla corruzione. Ebbene, se le autorità keniane fossero state costrette a rispettare le normative internazionali antiriciclaggio che si applicano alle Persone esposte politicamente (PEP-Politically Exposed Person), emanate a livello internazionale dal GAFI (Gruppo di Azione Finanziaria Internazionale in inglese FATF -Financial Action Task Force), forse quella transazione immobiliare non sarebbe stata possibile. Infatti, l’adesione dello stesso Kenya all’ESAAMLG, il gruppo dei paesi dell’Africa orientale e meridionale che si sono impegnati a dare attuazione alle 40 raccomandazione dello stesso GAFI per il contrasto del riciclaggio del denaro di fondi illeciti o ad altri reati, quali la corruzione o concussione, avrebbe appunto richiesto il blocco della transazione.  E come quella transazione non sarebbero possibili le numerose altre transazioni finanziarie che avvengono a tutte le latitudini da parte di autocrati e loro parenti. Di per sé le normative a livello internazionale ci sarebbero, il problema è tutta nella volontà dei singoli paesi, occidentali ed africani, nell’applicarle e, soprattutto, con quale grado di incisività. Infatti, quanti governanti africani possiedono, direttamente o in maniera schermata, immobili a Parigi, Londra o New York?  Senza peraltro dimenticare che a fronte dei corrotti, esistono sempre i corruttori, che nel caso saremmo noi occidentali, sempre pronti ad allungare una mazzetta, più o meno grande, per accaparrarsi un buon affare. Purtroppo, qualche fascicolo aperto per corruzione internazionale è giacente anche presso i tribunali italiani.