Pagine

venerdì 26 ottobre 2018

Intervista di mons. Servilien Nzakamwita a La Stampa


Riproponiamo ampi stralci dell'intervista rilasciata  a Vatican Insider da monsignor Servilien Nzakamwita,  vescovo di Byumba, tra i padri del Sinodo dei giovani.
 Eccellenza come si vive oggi in Ruanda, venticinque anni dopo il genocidio? 
 «Dopo venticinque anni la pace è ritornata. Attualmente la situazione è tranquilla, direi una calma che ci fa sperare per il bene. Ma abbiamo vissuto dei momenti terribili. Sono passati molti anni da quel tragico 1994 ma negli occhi di tutti i ruandesi c’è ancora l’immagine della morte e del dolore che ha colpito il nostro popolo. È stato un lungo e difficile cammino di riconciliazione ma siamo contenti che questo sia avvenuto. Abbiamo lavorato, come Chiesa locale, ad un processo di riconciliazione necessario e fondamentale per ritornare a vivere insieme».
  Come è avvenuto questo processo di riconciliazione?
 «Nel 1994 il Ruanda sprofondò nel baratro con il massacro dei Tutsi ad opera della maggioranza Hutu. In soli cento giorni furono uccise a colpi di machete almeno 800mila persone. Il tessuto sociale era completamente lacerato. L’obiettivo prioritario era di pacificare la popolazione e invitare i cristiani a rivolgersi a Dio con un atteggiamento di conversione e riconciliazione. La guerra aveva distrutto tutto: abitazioni, strutture religiose, scuole, ospedali e centri sanitari… Inoltre, la diocesi aveva perduto quasi tutti i suoi preti, ne rimanevano soltanto tre. Ho chiesto aiuto alle diocesi dei paesi vicini per poter riaprire le parrocchie. A distanza di 20 anni dal genocidio i danni sono ancora evidenti. Ci sono più donne che uomini, donne che hanno visto morire sotto i loro occhi figli, mariti, padri, stuprate da uomini affetti da Aids. Molte sono impazzite e i figli nati da queste unioni sono oggi sbandati e ragazzi di strada. Il tessuto sociale è molto complicato. Ora, grazie anche al sostegno di molte persone e amici, stiamo tornando ad una normalità che allora sembrava impossibile. Vorrei ricordare gli amici torinesi Franco e Annalisa Schiffo che da vent’anni mi stanno aiutando nell’accompagnare le famiglie della mia diocesi in un percorso di riconciliazione».
  Qual è stato il ruolo della Chiesa in questo lungo e difficile cammino?
 «Abbiamo pregato perché il Signore ci sostenesse. Il processo di riconciliazione non è solo umano ma anche divino. Solo con il sostegno di Dio, ricercato ed evocato in questo tempo di ricostruzione, abbiamo avuto la forza per impegnarci a dare un volto umano alla convivenza tra etnie, popoli, tribù e famiglie. Dopo venticinque anni il Paese ha riscoperto la pace, le persone hanno ripreso le loro attività, molte si sono riconciliate. La comunità cristiana è impegnata a consolidare il clima di pace e fraternità. Soprattutto con i giovani abbiamo fatto un cammino duraturo e profondo: forum, seminari, settimane di incontri con le differenti etnie, davvero un momento di grazia dopo un tempo di morte e dolori indicibili».
 Lei è al Sinodo dei giovani, cosa si aspetta da questa assemblea e quale potrà essere, secondo lei, l’apporto delle nuove generazioni al mondo?
 «Siamo circa 300 vescovi che discutono, con laici, presbiteri e religiosi giovani e adulti, della pastorale, l’educazione, la fede e la vita dei giovani. Un momento bello di incontro e riflessione. Universale ed ecumenico, uno scambio davvero aperto anche su tematiche complesse. Il tema di fondo è come la chiesa riuscirà a rispondere alla vocazione dei giovani, vita famigliare o sacerdotale. alle speranze di una vita da costruire nella costruzione di relazioni autentiche in un clima di pace e dialogo. Non è facile perché linguaggi e pensieri sono spesso diversi da noi adulti, vescovi, preti, educatori e genitori e facciamo a fatica a comprendere le domande, i sogni e le speranze dei giovani. Sono però fiducioso c’è vitalità, un amore per Cristo e la Chiesa, un sostegno a Papa Francesco davvero autentico e ho visto una volontà di impegno nel camminare sulle strade del mondo. Il cammino per i cristiani è fondamentale e per noi africani una necessità che deve diventare stile di vita».

Nessun commento:

Posta un commento