Vinte
le elezioni con un plebiscitario 98,63%, essendosi spartiti il resto dei voti i due altri contendenti nella competizione elettorale, il presidente Paul Kagame si appresta
a iniziare un nuovo settennato di governo del Rwanda. Le sfide che lo attendono
non sono poche e sono state tutte chiaramente evidenziate dalle più autorevoli
testate internazionali in sede di presentazione della recente tornata elettorale.
Ne ha fatto una sintesi realistica The Economist in un suo articolo impietosamente
intitolato Many
Africans see Kagame’s Rwanda as a model. They are wrong, ( Molti
africani vedono il Rwanda di Kagame come un modello. Si sbagliano), in
cui, dopo aver riconosciuto gli indubbi meriti della governance rwandese
a partire dal 1994, evidenzia le criticità in tema di diritti e libertà
democratiche, concludendo con un brutale benservito a Paul Kagame: "Dopo
le elezioni l'uomo forte del Rwanda dovrebbe ritirarsi con
grazia".
Non crediamo che Kagame aderisca al duro diktat del settimanale
britannico, e ne avrebbe buon motivo non essendoci, allo stato, un’altra figura
in grado di garantire al Rwanda una continuità degli standard attuali di vita
civile in termini di sicurezza e di trend di sviluppo economico. Sbaglierebbe
comunque a sottovalutare e tacitare, sull’onda della schiacciante vittoria, le
critiche avanzate da più parti, opponendo i successi a livello di sviluppo
economico e di sicurezza.
Per cominciare, mentre sulla sicurezza tutti
concordano sul clima di tranquillità che si vive in Rwanda, tanto che un recente
rapporto della Gallup colloca il paese al secondo posto in Africa e 11° al mondo tra i paesi
percepiti come più sicuri, sui progressi economici non tutti concordano sulle
statistiche ottimistiche del governo, di cui taluni ricercatori hanno evidenziato
qualche incongruità di troppo. Critiche che non possono comunque offuscare gli effettivi
progressi messi a segno in questi anni, di cui ha contezza chi visiti con continuità il paese. Semmai Kagame dovrà operare perché lo
sviluppo economico avvenga con il coinvolgimento dell’intera società rwandese,
sia quella cittadina che quella delle campagne, evitando per quanto possibile
che le ricadute economiche interessino solo la ristretta cerchia degli
esponenti vicini al gruppo di potere a cui sono riconducibili tutti i principali business, a partire da quello molto grigio del commercio di minerali, di cui si connota la giovane economia rwandese.Diversamente si corre il rischio che le
lacerazioni etniche, che si è tentato di superare con una forte campagna per la
creazione di un’identità nazionale rwandese ( campagna "Ndi
Umunyarwanda – Io sono rwandese"), trovino nuova
linfa in una divaricazione su basi economiche, tra ricchi e poveri o tra città e campagne. E' nel campo dello sviluppo economico che Kagame si gioca la sfida maggiore, perchè alla lunga, senza una continuità nella crescita e una conseguente equa partecipazione alla spartizione dei relativi frutti, diventa difficile giustificare e far accettare ai rwandesi taluni risvolti negativi, in termini
di libertà e rispetto dei diritti, che inevitabilmente si accompagnano a uno
stile di governance autocratico quale quello caratterizzante l'attuale governance rwandese. Un autocrate ragionevole e, per
molti, illuminato quale può essere appunto definito Paul Kagame, forte della
grande investitura e dell’oggettivo appoggio della stragrande maggioranza dei
rwandesi, dovrebbe essere capace, in presenza di un potere ormai consolidato, anche di quei gesti di “benevolenza” che ne affinino l’immagine, soprattutto a livello internazionale, senza che possa essere
messa a rischio la sicurezza interna in cui si trova a vivere il paese. Un politico attento come il presidente rwandese dovrebbe essere capace di alcuni segnali di apertura, che lungi dall'apparire gesti di debolezza ne confermerebbero al contrario l'autorevolezza, quali potrebbero essere: un gesto di clemenza verso
Victoria Ingabire, la madre di famiglia rientrata in Rwanda per partecipare alle presidenziali del 2010 e da allora detenuta in carcere dove deve scontare una condanna a 15 anni, con l’improbabile accusa di aver attentato alla sicurezza dello stato, piuttosto che allentare i
forti vincoli imposti ai media e alle voci della società civile e interrompere, infine, certe pratiche che portano alla scomparsa di oppositori più o meno famosi. Da ultimo, rimane la sfida decisiva: preparare le condizioni perchè alle prossime elezioni, che si terranno nel 2024, Kagame non abbia la necessità di scendere nuovamente in campo, avendo nel frattempo creato le condizioni di una successione in grado di raccogliere il testimone per proseguire sulla strada dello sviluppo, della piena riconciliazione nazionale e di definitiva apertura a una governance compiutamente democratica.
Nessun commento:
Posta un commento