La
lettera che mons. André Perraudin,Vicario apostolico di Kabgayi, inviò
nella quaresima del 1959 ai fedeli dela propria diocesi occupa indubbiamente un
posto di rilievo nella storia del Rwanda. Siamo alla vigilia di passaggi
storici fondamentali: dalla fine dell'epoca coloniale alla dichiarazione
dell'indipendenza, dall'abolizione della monarchia e alla proclamazione della
repubblica. A quella lettera molti fanno risalire grandi responsabilità circa
l'innesco dei conflitti interetnici che sono poi sfociati nella guerra civile
del 199o-94 e alla sua tragica conclusione. La recente visita delpresidente Kagame al Papa, che ha riacceso i riflettori sulla storia della
Chiesa rwandese e sui suoi uomini, ha portato più di un osservatore a
soffermarsi sul ruolo ricoperto da mons. Perraudin,
al quale, non più tardi di qualche giorno fa, l'organo filogovernatico The
New Times dedicava un articolo, a firma dello storico Tom
Ndahiro, dal titolo "L'Arcivescovo
Perraudin: "L'uomo
di Dio" che ha piantato il seme dell'odio come fosse carità cristiana", che non lascia pochi dubbi interpretativi. Lasciamo volentieri agli
storici, professionali e non di parte, pervenire a un giudizio storico
equilibrato sul ruolo della Chiesa e dei suoi uomini, compreso mons. Perraudin,
nella complessa storia del Rwanda. Qui vorremmo limitarci a proporre una
lettura della famosa lettera, al cui proposito L'Osservatore romano del 19
maggio 1999 così scriveva: Le accuse a mons. Perraudin sono ancora
più inverosimili. La sua lettera pastorale dell'11 febbraio 1959
("dell'odio" secondo gli accusatori) è in realtà una lettera che
domanda giustizia e carità. In essa si legge: "Nel nostro Ruanda le differenze
e disuguaglianze sociali sono in gran parte legate alle differenze di razza,
nel senso che le ricchezze, il potere politico e anche giudiziario sono in
realtà – in proporzione considerevole – nelle mani della gente di una stessa
razza". Egli additava cioè il problema dell'emarginazione sociale subita
dalla popolazione di etnia hutu che costituiva la maggioranza. Egli aggiunge
che "questo stato di cose è l'eredità di un passato che non dobbiamo
giudicare"; nello stesso tempo egli domanda che siano assicurati "a
tutti gli abitanti e a tutti i gruppi sociali legittimi gli stessi diritti
fondamentali". Risulta chiaro che la propaganda politica contro il
vescovo e i missionari cerca di far ricadere sulla chiesa (e come una colpa)
l'opera di "politicizzazione degli hutu" (circa l'85% della
popolazione) che avrebbe portato al crollo della monarchia tutsi (circa il 12%)
al tempo dell'indipendenza, alla loro estromissione dal potere fino al 1994 e
al genocidio.
"Super
omnia Caritas" era
il titolo della lettera che si articolava in una prima parte dedicata appunto
alla carità nella vita del cristiano e in una seconda in cui il presule
analizzava la situazione del paese di quel lontano 1959. Qui, mons.
Perraudin evidenziavano le numerose criticità di ordine sociale e politico che
caratterizzavano il paese, spingendosi a suggerire i criteri
attraverso i quali "le istituzioni di un paese siano in grado di
fornire realmente a tutti i suoi abitanti e a tutti i gruppi sociali legittimi,
gli stessi diritti fondamentali e le pari opportunità di sviluppo umano e
di partecipazione alla vita pubblica". L'analisi della situazione
rwandese e le conseguenti proposte traggono ispirazione dal complesso dei
principi della dottrina sociale della Chiesa, che trovano qui una loro
corretta declinazione, per certi versi anticipatrice di future acquisizioni
del magistero, si pensi alla Popolorum progessio, che verrà qualche anno dopo. Riproponiamo
qui di seguito, in una nostra traduzione, questa seconda parte in cui ognuno
potrà serenamente valutare la fondatezza delle accuse mosse al
prelato, con riferimento specifico ai contenuti della lettera e non alla
loro eventuale strumentalizzazione.
Applicazioni
alla situazione del paese.
come in molti
altri paesi del mondo, vari gruppi sociali. La distinzione tra
questi gruppi è in gran parte dovuta alla razza, ma anche ad altri fattori,
come la ricchezza, il ruolo politico o la religione. Ci sono africani,
europei e asiatici. Tra gli africani ci sono Tutsi, Hutu e il
Batwa; ci sono ricchi e poveri; ci sono pastori e contadini; ci
sono commercianti e artigiani; ci sono cattolici e
protestanti, indù e musulmani, e ci sono ancora molti pagani; ci sono i
governanti e governati. Al momento il problema è particolarmente dibattuto
a proposito delle differenze tra le razze rwandesi.Questa diversità di
gruppi sociali e soprattutto di razze rischia da noi di degenerare in
divisioni fatali per tutti. Cari cristiani del Rwanda, facciamo appello al
vostro buon senso e alla vostra carità perchè Dio ci risparmi questa calamità.Siamo
certi che il nostro appello, ispirato solo dall'amore che portiamo a tutti e
ciascuno dei nostri figli, qualunque sia il gruppo di appartenenza, troverà
un'eco fedele e generosa nei vostri cuori di cristiani. Vogliamo, però,
illuminarvi a questo proposito, perché nel paese si comincia a diffondere ogni sorta
di idee, molte delle quali non conformi alla dottrina della Chiesa.Constatiamo
innanzitutto come ci siano effettivamente in Rwanda più razze assai
nettamente caratterizzate, anche se certe alleanze tra di loro hanno avuto
luogo tanto che non sempre è possibile stabilire a quale razza un individuo
appartenga. Questa diversità di razze all'interno di un paese è un fatto
normale, contro il quale non possiamo fare nulla. Noi ereditiamo un
passato che non dipende da noi. Dobbiamo accettare di essere diverse razze
e cerchiamo di capirci e di amarci come fratelli dello stesso paese.Tutte le
razze sono ugualmente rispettabili e gradite a Dio. Ogni razza ha i suoi
pregi e difetti. D’altra parte, nessun può scegliere di nascere in
un gruppo piuttosto che in un altro. E 'ingiusto e quindi incompatibile
con la carità rinfacciare a qualcuno l’appartenenza ad una determinata
razza, e soprattutto a disprezzare qualcuno a causa della sua
razza. Soluzione del tutto naturale è che le persone appartenenti a
diverse razze vadano d'accordo e si armonizzino in particolare se,
storicamente, vivono fianco a fianco nello stesso territorio. Dal punto di
vista cristiano le differenze razziali, però, devono fondersi nella più alta
unità della Comunione dei Santi. I cristiani, a qualsiasi razza
appartengano, sono più che fratelli tra loro, essi partecipano alla stessa vita
in Cristo Gesù e hanno un solo Padre che è nei cieli. Colui che, recitando
il Padre nostro, privasse del suo affetto un uomo di un'altra razza, costui in
realtà non invocherebbe il Padre che è nei cieli e non sarebbe da Lui
ascoltato. Non c'è una chiesa per razza, c'è la Chiesa cattolica, in cui,
come dice l'apostolo san Paolo, "non c'è né Ebreo né Greco, non c 'né
schiavo né libero ... poiché tutti voi siete uno in Cristo Gesù
". (Gal. 3,28). La Chiesa non è quindi per una razza
piuttosto che un altra, la Chiesa è per tutte le razze che abbraccia con
uguale amore e pari dedizione.Nel nostro Rwanda le differenze e le
disuguaglianze sociali sono in gran parte legate a differenze di razza, nel
senso che la ricchezza da un lato, e il potere politico e anche giudiziario,
sono in realtà in parte considerevole nelle mani di persone della stessa
razza. Questo stato di cose è l'eredità di un passato che non dobbiamo
giudicare. Ma è certo che questa situazione di fatto non è più conforme
alle prescrizioni di una sana organizazione della società rwandese e pone ai
responsabili della cosa pubblica delicati e ineludibili problemi.Non abbiamo
come vescovo, rappresentante una Chiesa i cui fini sono soprannaturali,
il compito di offrire soluzioni tecniche a questi problemi, ma ci compete
di ricordare a tutti, autorità preposte o promotori di movimenti politici, che
toccherà loro trovarle, alla luce della legge divina della giustizia
e della carità sociale.Questa legge richiede che le istituzioni di un paese
siano in grado di fornire realmente a tutti i suoi abitanti e a tutti i gruppi
sociali legittimi, gli stessi diritti fondamentali e le pari opportunità di
sviluppo umano e di partecipazione alla vita pubblica. Le
istituzioni che favorissero un regime di privilegi, di favoritismi e di
protezionismi, sia per gli individui e che per i gruppi, non sono
conformi alla morale cristiana.La morale cristiana richiede, inoltre, che le
funzioni pubbliche siano affidate a uomini di capacità e integrità, interessati
soprattutto al bene della comunità di cui sono rappresentanti. Sarebbe
contrario alla giustizia e alla carità sociale affidare a qualcuno una
responsabilità pubblica in considerazione della sua razza o ricchezza, o
dell’amicizia che ci lega, ignorando del tutto le sue capacità e le sue virtù.La
morale cristiana chiede alle autorità di essere al servizio dell comunità e non
solo di un gruppo, e che si impegni con particolare dedizione e con tutti i
mezzi possibili nel recupero e sviluppo culturale, sociale ed economico
dell’intera popolazione. La Chiesa è contro la lotta tra le classi,
qualunque sia la loro origine, ricchezza o razza o qualsiasi altro fattore di
sorta, ma ammette che una classe sociale lotti per i suoi interessi
legittimi mediante mezzi onesti, per esempio raggruppandosi in
associazioni. L'odio, il disprezzo, lo spirito di divisione e
disunione, la menzogna e la calunnia sono modi di lotta disonesti e severamente
condannati da Dio. Non ascoltate, cari cristiani, coloro che, con il
pretesto di amore per un gruppo, predicano l'odio e il disprezzo verso un
altro gruppo.Per essere legittimi, i gruppi sociali o altri dovrebbero non solo
perseguire con mezzi onesti il loro bene e quello dei loro membri, ma
ancora tendere all'unione con le altre classi e subordinare il perseguimento
del loro bene particolare a quello del bene comune di tutto
il paese.Il bene comune non può infatti consistere in una lotta continua,
ma solo in una vera e fraterna collaborazione, fatta di una distribuzione più
equa e più caritatevole dei beni, di responsabilità e di funzioni.I
cattolici, in particolare i responsabili della cosa pubblica e quelli che sono
alla testa di gruppi sociali dovrebbero incontrarsi e riflettere insieme
sui problemi del paese, al fine di trovare soluzioni valide per tutti e
ispirate alla dottrina sociale della Chiesa.Vogliamo ricordare ancora la
sentenza di un saggio: "Quid leges sine moribus? " A che
servono le leggi se non c'è morale?" Le leggi, le istituzioni, le riforme
sociali e politiche non otterranno risultati sperati se non sono
supportati, negli uomini, da una riforma dei costumi e un generoso sforzo di
virtù. Nessun solido ordine sociale, nessuna vera civiltà umana può essere
costruita senza l'obbedienza franca e cordiale della legge di Dio contenuta nel
Vangelo e continuamente predicata dalla Chiesa e dal suo Magistero vivente.Chiediamo
infine a tutti gli uomini di buona volontà e soprattutto ai nostri cristiani ed
ai nostri catecumeni, a qualunque gruppo appartenengano, che non solo
ascoltino questi insegnamenti e li meditino, ma ancor più li mettano in
pratica con coraggio nella propria vita e li trasmettano alla Comunità di
cui sono membri.
Conclusione.
Cari cristiani,
finiamo questa lunga lettera ribadendo il precetto del Signore "Amatevi
gli uni gli altri", perché è il riassunto della legge cristiana come
afferma mirabilmente l'apostolo Paolo nella lettera ai Romani: " Non
abbiate debiti con nessuno, tranne quello dell'amore reciproco, perché chi ama
il suo simile ha così adempiuto alla legge. In effetti il comandamento:
Non commettere adulterio, non uccidere, non rubare, non concupire, e tutti gli
altri si riassumono in questa formula: Amerai il tuo prossimo come te
stesso. L'amore non fa nessun male al prossimo.Quindi l'amore è la legge
nella sua pienezza "(Rm. 13,8-10).Preghiamo tutti insieme, cari cristiani,
e con perseveranza nel corso di quest'anno affichè la carità si diffonda
in tutto il paese e penetri nel fondo dei cuori. E 'una grande grazia che
chiediamo, ma è così gradita a Dio nostro Padre che Egli ce la concederà
prontamente.La Vergine Maria, che è stata chiamata la "Madre del
bell'amore" interceda per noi in modo che siamo docili al più grande e più
bello dei comandamenti che ci ha lasciato il suo Figlio Gesù.
Cari cristiani, vi
diamo la nostra paterna benedizione.
+ A.
Perraudin
Vic. Ap. Kabgayi
Kabgayi 11 Febbraio 1959
Vic. Ap. Kabgayi
Kabgayi 11 Febbraio 1959
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