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martedì 23 febbraio 2016

Lettera aperta a un amico di AC sulle migrazioni

Domenica prossima a Sondrio si terrà l’assemblea diocesana dell’Azione Cattolica dal titolo “Mille volti un Volto” sul tema delle migrazioni. Su questo appuntamento abbiamo inviato questa lettera al presidente della sezione parrocchiale del nostro paese.
 Carissimo,
sicuramente non mancherai all’assemblea diocesana incentrata sul problema migratorio, con particolare riguardo all’accoglienza dei migranti. Al riguardo, visto che nel programma si sollecitano testimonianze su esperienze di accoglienza nelle parrocchie, vorrei offrirti uno spunto di riflessione che, se vorrai, potrai portare all’attenzione degli associati. L’accoglienza di cui ti voglio parlare è quella che bisognerebbe riservare anche a questo  grido “Non fatevi ingannare dall’illusione di lasciare i vostri Paesi alla ricerca di impieghi inesistenti in Europa e in America” lanciato da Mons. Nicolas Djomo,Vescovo di Tshumbe e Presidente della Conferenza Episcopale della Repubblica Democratica del Congo, nel discorso di apertura della riunione della Gioventù Cattolica Panafricana che si tenuta a Kinshasa dal 21 al 25 agosto 2015. “Utilizzate i vostri talenti e le altre risorse a vostra disposizione per rinnovare e trasformare il nostro continente e per la promozione della giustizia, della pace e della riconciliazione durature in Africa…..Voi siete il tesoro dell’Africa. La Chiesa conta su di voi, il vostro continente ha bisogno di voi” ha rimarcato il Vescovo.
Parole chiare, che non avendo avuto, purtroppo, modo di leggere nè su Avvenire né sul nostro settimanale diocesano,  saranno  sconosciute a te come  alla gran parte dei presenti all’assemblea e che vanno ad aggiungersi a precedenti prese di posizione dell'episcopato africano in materia di migrazioni e che hanno anticipato di qualche mese queste altre, che nel solco del magistero della Chiesa, sono contenute nel Messaggio per l’ultima Giornata Mondiale del migrante e del rifugiato  di papa Francesco: "La Chiesa affianca tutti coloro che si sforzano per difendere il diritto di ciascuno a vivere con dignita', anzitutto esercitando il diritto a non emigrare per contribuire allo sviluppo del Paese d'origine".
Queste parole sono incarnate nei volti delle persone che ho incontrato in questi giorni in cui, con altri due volontari dell’Associazione Kwizera, mi trovo per una breve missione di due settimane in Rwanda. Volti che, come ci siamo più volte ripetuto in questi giorni anche con sacerdoti rwandesi, non sono più quelli di una quindicina di anni fa, all’inizio delle nostre attività associative in questo paese africane. Perché nel frattempo questo paese, mettendo a frutto, con una gestione corretta, gli aiuti ricevuti da istituzioni e privati, da cui peraltro si sta progressivamente affrancando, ha orgogliosamente intrapreso un grande percorso per creare un’organizzazione statuale e uno stato sociale idonei a creare le condizioni perché il diritto a rimanere non sia un vuoto slogan, ma una reale alternativa, e la tentazione di migrare non faccia breccia nei giovani rwandesi che, in effetti, non sono tra i migranti che sbarcano dai barconi. Nonostante la riconosciuta abilità e gli effettivi meriti della governance uscita dalla tragedia del 1994, credo che l’attuale situazione del Rwanda, un’Africa in sedicesimo, si alimenti anche di ragioni più profonde. Il Rwanda, in cui il Vangelo è arrivato all’inizio del secolo scorso, è forse il paese africano con la maggiore percentuale di cristiani ( cattolici e protestanti rappresentano circa il 90% della popolazione) ed è anche il paese in cui l’annuncio evangelico portato dai missionari, facendo breccia nell’originario animismo, è arrivato a permeare l’intera società che ha saputo esprimere un clero locale ormai autosufficiente e alimentare opere sociali ( scuole, centri di sanità ecc) che sono le salde fondamenta su cui si è costruito il Rwanda a partire dall’indipendenza.
Concludo. Quale alternativa  proponiamo a quel 99,7%, del miliardo e 150 milioni circa di africani che abitano il continente, che decide di esercitare il proprio diritto a vivere dignitosamente nella propria terra d’origine?
Recidere le proprie radici per imbarcarsi in un viaggio della speranza, a cui la migliore delle accoglienza nulla può garantire se non  una poco onorevole sopravvivenza ai margini della società occidentale, o aiutare gli altri paesi a mutuare, magari migliorandolo ulteriormente, il modello  del Rwanda, traendo, la ove esiste, ispirazione e slancio da una cultura permeata dall’annuncio evangelico? 
E noi come possiamo porci di fronte alla sfida delle migrazioni: aspettare sul bagnasciuga i nuovi arrivi in una pastorale dell’accoglienza che sembra dimenticare chi quel mare non vuole attraversare, o muoversi verso quelli che restano quaggiù, da dove ti scrivo, dove il tuo predecessore alla presidenza dell’AC parrocchiale, Carlin Rodolfi, ha lasciato il segno del fare azione cattolica, promuovendo la costruzione dell’asilo che oggi porta il suo nome.
Tuo m.g.

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