Durante l'ultimo decennio, numerosi capi di stato africani hanno modificato la Costituzione per restare al potere oltre il limite temporale indicato nella stessa legge fondamentale del paese. Altri, per i quali si sta concludendo l'ultimo mandato costituzionalmente previsto, sono tentati di fare lo stesso. Si tratta dei presidenti in carica di Benin, Burkina Faso, Burundi, Congo - Brazzaville, Repubblica Democratica del Congo, Togo e, come noto, Rwanda che hanno in comune di essere al termine del loro secondo e ultimo mandato e che per essere rieletti devono mettere mano a modifiche delle rispettive costituzioni. Ad ognuno di questi non mancheranno motivi per accreditarsi come indispensabili e insostituibili alla guida deli rispettivi paesi. A tutti andrebbe, peraltro, ricordato che loro omologhi, altrettanto bravi, i presidenti del Sud Africa, Nelson Mandela, del Mozambico, Joquim Alberto Chissano, del Botswana, Festus Gotentebanye Mogae, e di Capo Verde, Pedro de Verona Rodrigues Pires, non hanno ceduto a questa tentazione di perpetuare il loro potere e si sono fatti regolarmente da parte lasciando che il percorso democratico dei rispettivi paesi proseguisse senza traumi. Dopo di loro non è sopravvenuto "alcun diluvio", anzi hanno lasciato ai loro successori paesi tra i più consolidati sia politicamente che economicamente.Di seguito riportiamo la situazione dei paesi, come rappresentata dalla radio francese RFI, in cui i rispettivi presidenti sono all'ultimo mandato.
▼
Pagine
▼
mercoledì 30 luglio 2014
venerdì 25 luglio 2014
Rimpasto di governo: ritorna a sorpresa Joe Habineza
Ieri, il presidente Paul Kagame, dopo un rapido rimpasto, ha proceduto a insediare il nuovo governo presieduto dal nuovo primo ministro Anastase Murekezi che sostituisce Pierre Damien Habumuremyi. Nella nuova compagine sono stati confermati nei rispettivi ruoli i responsabili dei ministeri chiave come Difesa, Esteri, Finanze e Sicurezza interna, altri sono stati ruotati negli incarichi, ci sono state delle new entry e, soprattutto, c'è stato un importante e inatteso ritorno al ministero della cultura e dello sport di Joseph Habineza. Un ritorno salutato con molto entusiasmo sia dalla stampa, The New Times gli dedica un pezzo con il titolo "Joe è tornato", che dai giovani che hanno affidato ai social network i loro messaggi di bentornato. I nostri quattro lettori ben conoscono la storia di Habineza, la cui vicenda avevamo trattato nei post del 16 febbraio, del 20 e 21 febbraio 2011. Da li' la sua storia era finita in prima pagina su Il Fatto Quotidiano, dove Marco Travaglio gli aveva dedicato l'apertura e un editoriale per gli ovvi riferimenti ad analoghi fatti italiani. Habineza si era, infatti, dimesso dall'incarico di ministro per alcune foto che lo ritraevano in un festino privato allegramente circondato da belle ragazze, successivamente era stato "relegato" in Nigeria come ambasciatore. Al di là dello specifico caso scatenente, oggettivamente abbastanza innocente, diverse fonti attribuivano l'allontanamento alla crescente popolarità che Habineza stava conquistando, soprattutto tra i giovani. Ora, dopo tre anni di dorato "esilio" in Nigeria, torna al governo e si riprende il suo vecchio posto; magari avendo l'accortezza, se vuole mantenerselo, di non suscitare troppe gelosie per il suo successo tra i "suoi" giovani.
giovedì 24 luglio 2014
HDI 2014: il Rwanda al 151° posto
E' stato presentato oggi a Tokio il Rapporto sullo SviluppoUmano 2014, curato dall'ONU, dal titolo ‘Sostenere il progresso
umano: riduzione delle vulnerabilità e rafforzamento della resilienza”, che
fotografa la situazione dei vari paesi sulla base di diversi parametri
valutativi, sintetizzati nell' indice di sviluppo umano (HDI). Il
nuovo indice è stato introdotto come alternativa alle misure convenzionali
di sviluppo nazionale, come il livello di reddito e il tasso di crescita
economica e mira a una definizione più
ampia di benessere, fornendo una misura composita di tre dimensioni
fondamentali dello sviluppo umano: salute, istruzione e reddito.Il rapporto
2014 mostra che, tra il 2000 e il 2013, l'Africa sub-sahariana ha avuto il
secondo più alto tasso di progresso nell'Indice di Sviluppo Umano (HDI), con il
Rwanda e l’Etiopia che hanno raggiunto la crescita più rapida, seguite da
Angola, Burundi, Mali, Mozambico, Tanzania e Zambia. Tuattavia,
nonostante questo progresso, l'Africa sub-sahariana è la regione più diseguale
del mondo, secondo il coefficiente di UNDP sulla disuguaglianza umana. Il Rapporto colloca il Rwanda al 151° posto, sui 187
paesi del mondo presi in considerazione, con un indice HDI pari a 0,56, in miglioramento rispetto
allo 0,434 del 2013 che lo collocava al 167° posto. Come già in passato, il
Rwanda è in buona posizione,
80° posto, per quanto attiene la parità dei sessi e viene altresì citato
per i progressi fatti per quanto attiene
la copertura dell’assistenza sanitaria. Diversamente, il Rwanda scende al 171°
posto per quanto riguarda il Prodotto interno lordo per abitante. Particolarmente
negativi risultano i dati relativi agli strati di popolazione che vivono sotto
la soglia di povertà secondo i parametri internazionali di 1,25$ al giorno (PPA-parità
di potere d’acquisto): il 63,7% dei rwandesi sono sotto questa soglia. Le autorità
rwandesi adattano questo dato alla realtà locale con una conseguente
rielaborazione della soglia di povertà, evidentemente più bassa di quella
internazionalmente intesa, così che il dato della popolazione che vive sotto
questa soglia scende al 44,9%. Il Rwanda occupa comunque una posizione migliore rispetto agli altri paesi dell’Africa subsahariana che, nella classifica dell’HDI, sono tutti alle spalle del paese delle mille colline, con la sola
esclusione del Kenya che si colloca al 147° posto.
Scheda paese allegata al Rapporto, relativa al Rwanda ( clicca qui)
Scheda paese allegata al Rapporto, relativa al Rwanda ( clicca qui)
martedì 22 luglio 2014
Rwanda 2050: gli abitanti saranno 25 milioni per la metà urbanizzati
Una panoramica di Kigali |
Il Dipartimento degli Affari Economici e Sociali delle Nazioni Unite ha rilasciato il nuovo World Urbanization Prospect, in cui sono contenute le principali tendenze per i prossimi tre decenni.Le previsioni stimano in 2,5 miliardi le persone che vivranno in aree urbane entro il 2050, mentre già ora la popolazione che vive nelle città ha raggiunto il 54% a livello mondiale. L'Africa, dove circa il 60% della popolazione vive in zone rurali, si sta urbanizzando più velocemente di altre parti del mondo e, secondo la previsioni delle Nazioni Unite, dovrebbe raggiungere un livello di urbanizzazione del 56% della popolazione nel 2050.Già ora in Africa esistono tre città con più di dieci milioni di abitanti: Cairo, Lagos e Kinshasa.Ma già entro il 2030, altre tre città dovrebbero superare i 10 milioni di persone: Dar-es-Salaam in Tanzania, Johannesburg in Sud Africa e Luanda in Angola. Allo stato, Nigeria ed Etiopia sono i paesi africani con la più alta percentuale di popolazione rurale con rispettivamente 95 milioni di persone e 78 milioni. In questi paesi, l'urbanizzazione è destinato a crescere significativamente nei prossimi anni.
I dati riferiti al Rwanda evidenziano queste dinamiche:
Anno Popolazione urbana % pop. urb. Popolazione rurale
1990 391.000 5 % 6.824.000
2014 3.369.000 28 % 8.731.000
2050 13.349.000 53% 12.029.000
Il trend di urbanizzazione si attesta al 3,7% annuo, uno dei più alti a livello continentale.Da queste proiezione emerge un dato estremamente importante a livello paese: nel 2050 i rwandesi saranno oltre 25 milioni, suddivisi quasi a metà tra città e campagne, con una densità davvero importante, pari a 950 abitanti per kilometro quadrato. Una sfida non da poco per i governanti del paese che dovranno accompagnare questo trend di incremento della popolazione con adeguati investimenti in termini di infrastrutture e di servizi.
domenica 20 luglio 2014
Un’interessante intervista ad André Guichaoua
Riproponiamo l'intervista a cura della giornalista Sabine Cessou, apparsa sul blog Rues d'Afrique ad André Guichaoua, autore de "Rwanda: de la guere au génocide" (ed. La Découverte, 2010), uno dei maggiori specialisti francesi sulla regione dei Grandi Laghi che frequenta dal 1979.Presente a Kigali nell'aprile 1994, perito presso il Tribunale penale internazionale per il Ruanda (ICTR) ed è tra coloro che sfidano una lettura semplicistica della storia del Rwanda.Per lui, il rapporto tra l'attacco contro l'aereo di Habyarimana e l'inizio del genocidio non è provata e non è pacifico che il Fronte Patriottico Rwandese (FPR, al potere dal 1994) sia estraneo, nonostante la relazione d'indagine pubblicata nel gennaio 2012 dal giudice Marc Trevidic, secondo cui la posizione di tiro da cui sarebbe partito il missile che ha colpito l'aereo si collocherebbe nel campo militare di Kanombe, sotto il controllo delle forze governative.Richiesto dal Tribunale penale internazionale di indagare anche sui crimini del FPR, prima dell'allontanamento nel 2003 del procuratore Carla del Ponte, Guichaoua da dieci anni non è più persona gradita in Rwanda.
Cosa pensa della fine annunciata del processo in Francia relativo all'attacco contro l'aereo di Juvenal Habyarimana?
L'unica cattiva notizia da sottolineare è che il giudice riconosce di non essere in grado di citare in giudizio alcun imputato. Non conosceremo mai i responsabili di questo attacco……Peraltro, un eventuale non luogo a procedere non assolve nessuno, salvo diversa pronuncia del giudice; ciò significa che gli elementi acquisiti al dossier non sono sufficienti.
sabato 19 luglio 2014
Inchiesta ONU sul disastro aereo in Ucraina: un precedente per quella sull'aprile '94?
Il Consiglio di Sicurezza dell'ONU ha chiesto una «inchiesta internazionale completa ed indipendente» sull'aereo precipitato ieri in Ucraina che ha provocato 298 morti. Lo hanno affermato i Quindici in una dichiarazione adottata all'unanimità nel corso della riunione di emergenza in corso al Palazzo di Vetro sotto la presidenza di turno del Rwanda. La decisione dell'Onu potrebbe dischiudere qualche chance alla richiesta recentemente inoltrata dai partiti di opposizione rwandese per ottenere una commissione d'inchiesta sul disastro aereo del 6 aprile 1994, in cui morirono i presidenti di Rwanda e Burundi, i cui autori non sono mai stati accertati, in un palleggiamento delle responsabilita' tra le parti in conflitto. Leggi precedente post.
giovedì 17 luglio 2014
Società cinese realizzerà a Kigali uno stabilimento tessile da mille posti di lavoro
La società cinese C & H Garment Company, specializzata
nella produzione di capi di abbigliamento, realizzerà un impianto
produttivo in Rwanda, con
l'obiettivo di esportare in Europa e negli Stati Uniti. L’impianto rwandese,
che si affianca ad analoghe iniziative in Etiopia dove vengono prodotte
calzature e in Kenya dove si produce abbigliamento e si impiegano 5000 persone,
verrà realizzato nella zona economica
speciale di Kigali e richederà un investimento tra gli 8 e 10 milioni di dollari. Il relativo
accordo con l’agenzia di sviluppo rwandese, Rwandan Development Board (RDB), è stato firmato il 14 luglio scorso.A regime, entro i prossimi diciotto mesi, lo stabilimento
dovrebbe occupare un migliaio di persone che i cinesi sono confidenti di
trovare tra la forza lavoro locale giudicata “qualificata e disciplinata”. Questo
investimento, che fa seguito ad analoghe importanti iniziative che la Cina ha attuato nell’ultimo
quinquennio in diversi comparti dell’economia rwandese, consolida una presenza del gigante asiatico nel paese in analogia con quanto succede nel resto del continente
lunedì 14 luglio 2014
Un esproprio (legale) che potrebbe allarmare gli investitori stranieri
Autorità locali rwandesi,
appellandosi a una legge che prevede che lo Stato possa espropriare e
incamerare beni che risultano abbandonati, hanno deciso di porre sotto
sequestro il pacchetto azionario, pari al 5% del capitale, detenuto nella
Nshili Kivu Tea Factory dall’imprenditore Tribert Rujugiro Ayabatwa.L’imprenditore di origine
rwandese, con un patrimonio personale valutato da Forbes in 250 milioni di
dollari Usa e con interessi diversificati in vari settori in primis
nell’industria del tabacco di cui è leader africano, a suo tempo
consigliere economico del presidente Kagame e sostenitore del FPR, è assente
dal Rwanda dal 2009, dopo essere stato accusato di finanziare gruppi
anti-governativi.Dopo che in passato, come avevamo anticipato in un precedente post, l’imprenditore era già stato oggetto delle attenzioni dell’autorità
governative rwandesi che avevano individuato una sua proprieta', l’Union
Trade Centre, il grande centro commerciale della capitale, come una proprietà
abbandonata da un proprietario non residente ormai da tempo nel
paese e quindi rientrante tra le proprietà espropriabili a norma di
legge, questa volta non si è piegato e ha deciso di citare in
giudizio il governo del Rwanda presso la Corte dell'Africa orientale di
giustizia per il sequestro, ritenuto “illegale”, dei suoi beni e di diverse iniziative
economiche nel paese.
I difensori
dell’imprenditore hanno buon gioco a stigmatizzare il
comportamento delle autorità rwandesi, sostenendo che gli azionisti
dovrebbero essere tutelati nei loro beni a prescindere che risiedano sul
territorio nazionale. Diversamente, in presenza di casi come quello di
cui dà notizia The East
African, sarà difficile dare le necessarie sicurezze agli
investitori che intendono andare in Rwanda a investire, a cominciare dal gruppo cinese New century development company intenzionato a investire, ne da' oggi notizia The New Times, ben 200 milioni di dollari in iniziative immobiliari di vario genere.
Il trattamento riservato ai beni di Tribert Rujugiro Ayabatwa potrebbe quindi, al di là del beneficio immediato per le casse pubbliche dove confluirebbero i beni espropriati ( o almeno dovrebbero confluire salvo che non prendano altre direzioni), rivelarsi un clamoroso autogol per un paese che ha un bisogno estremo di capitali esteri.
Il trattamento riservato ai beni di Tribert Rujugiro Ayabatwa potrebbe quindi, al di là del beneficio immediato per le casse pubbliche dove confluirebbero i beni espropriati ( o almeno dovrebbero confluire salvo che non prendano altre direzioni), rivelarsi un clamoroso autogol per un paese che ha un bisogno estremo di capitali esteri.
mercoledì 9 luglio 2014
Prende il via a Kigali una borsa merci per i paesi dell’EAC
I capi di Stato
dell'Africa orientale-EAC, Uhuru Kenyatta del Kenya, Yoweri Museveni
dell'Uganda, Salvar Kiir del Sud Sudan, Prosper Bazombanza, Vicepresidente del Burundi, il ministro degli
Esteri etiope Tedros Adhanom Gebreyesus e il presidente ruandese Paul Kagame, hanno
promosso, anche con il supporto di partner privati, la East African Exchange (EAX), una nuova
borsa merci che ha iniziato da giovedì scorso ad operare nella capitale
rwandese Kigali. Per il Rwanda si tratta di un ulteriore passo nella sua
strategia di diventare un hub di servizi nel cuore del continente. Al momento
il progetto vede la partecipazione diretta di Burundi, Kenya, Uganda, Rwanda e
Sudan meridionale, mentre Tanzania ed Etiopia hanno lo status di osservatori.
La EAX, che si avvale per le trattazioni della piattaforma elettronica del
Nasdaq, il mercato dei titoli tecnologici statunitensi, dovrebbe consentire
agli agricoltori della regione di vendere i loro prodotti ai compratori di
tutto il mondo. Si comincerà con lo scambio di fagioli e mais, per passare a
breve a trattare tè e caffè. I servizi offerti permetteranno ai produttori di vendere parte del loro raccolto
sul EAX e stoccare le loro produzioni, senza rischio di degrado, in appositi
magazzini dove le merci potranno essere conservate e confezionate, potendo
altresì beneficiare di anticipazioni finanziarie sulle future vendite.
lunedì 7 luglio 2014
Un nuovo libro, un po' scontato, su Chiesa e genocidio
E’
uscito in questi giorni Il genocidio del Rwanda –Il ruolo della Chiesa
cattolica di Vania Lucia Gaito, (pag.170, € 12) per le edizioni
L’asino d’oro. L' autrice, come scrive sul proprio blog, “ ripercorre
la storia della Chiesa in Rwanda, dalla prima missione a oggi, mostrando
l’operato dei missionari e della Chiesa che, teorizzando presunte differenze
razziali, schierandosi prima con una fazione e poi con l’altra a seconda dei
propri interessi economici e fomentando l’odio, furono i responsabili morali
(quando non addirittura materiali) del genocidio ruandese. La ricostruzione
evidenzia il ruolo giocato dalla Chiesa e dalle politiche colonialiste nello
sterminio di quasi un milione di persone durante quei tragici cento giorni, che
la comunità internazionale tentò di far passare come guerra tribale. I preti
genocidari, ricercati dal Tribunale penale internazionale, trovarono asilo in
Europa e in Italia, protetti dalla Chiesa e inviati in parrocchie
dell’entroterra toscano. Tuttora, i missionari negano o sminuiscono quanto
avvenuto in Rwanda nel 1994 e né il papa né il Vaticano hanno mai chiesto
scusa.”
Non
ci pare che il lavoro risponda in maniera convincente agli ambiziosi propositi
dell'autrice.Trattasi, infatti, di una lettura stereotipata e acritica della
storia rwandese e del genocidio, che nulla aggiunge a quanto già conosciuto.
Manca totalmente di un'adeguata rappresentazione della storia della Chiesa
rwandese che avrebbe meritato ben altro livello di indagine. Una
Chiesa affrancatasi sin dai primi decenni del novecento dalla dipendenza dei
primi missionari per intraprendere un percorso che l'ha portata
a caratterizzarsi come una Chiesa totalmente autoctona.Ormai da decenni la
Chiesa rwandese si avvale di clero locale e, diversamente da quanto lascia
intendere l'autrice, i missionari presenti in Rwanda si contano ormai da
tempo sulle dita delle mani e da decenni non ricoprono alcun ruolo
significativo all'interno della comunità ecclesiale rwandese. Negli ultimi
cinquanta anni, pur tra inevitabili contraddizioni, la Chiesa istituzionale
rwandese, fatta da rwandesi, ha svolto la propria missione all'interno della
comunità ecclesiale rwandese, risentendo delle inevitabili contraddizioni
presenti nella più ampia società civile del paese e, a
volte, riproponendole. Questo aspetto è totalmente
assente nell'analisi con la conseguenza che il quadro che ne emerge soffre di
un eccesso di semplificazione e di qualche fraintendimento. Non sembrerebbe
secondario nell'economia dell'analisi effettuata misurarsi con il dato
di un clero totalmente locale, dove la componente tutsi e' presente in
percentuali ben al di sopra del classico 15% attribuito al gruppo nella societa'
civile, fino a rappresentare la maggioranza tra i vescovi rwandesi.A nostro
avviso una lacuna importante se si ha la pretesa di fare un'indagine
sul ruolo della Chiesa. La Gaito nella sua ricerca dà la sensazione di
non conoscere appieno questo dato; diversamente l'approccio avrebbe dovuto
riflettere qualche cautela in piu' e dover necessariamente trovare
diverse risposte ai numerosi interrogativi che ne conseguono. Per
concludere, riteniamo il libro della Gaito un tentativo piuttosto maldestro di
ripetere un'operazione editoriale che era riuscita all'autrice, con qualche
successo, con una sua precedente fatica riguardante storie di preti pedofili.
Purtroppo per la Gaito, parlare del Rwanda richiede anche qualche applicazione
che non si trova in questa sua ultima opera.
Di
seguito per chi fosse interessato riportiamo qualche annotazione nello
specifico di taluni punti del libro.
domenica 6 luglio 2014
Sulle tracce di Maria: Kibeho
Il santuario di Kibeho |
Proponiamo la trascrizione, riportata in data odierna da La Bussola quotidiana, della conversazione tenuta da Diego Manetti su Radio Maria, relativa al santuario di Kibeho e alla storia delle apparizioni mariane in terra rwandese.
Leggi qui.