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mercoledì 2 aprile 2014

Il Rwanda a vent'anni dal genocidio visto dalla stampa missionaria

Vatican Insider, il sito de La Stampa che segue gli avvenimenti della Chiesa universale, sotto il titolo Rwanda, a vent’anni dal genocidio. I missionari: l’ora del “mea culpa”, dedica una ricca analisi, a firma di Gerolamo Fazzini, a come la stampa missionaria italiana si appresti a celebrare il ventesimo anniversario della tragedia rwandese. Scrive Fazzini:“A vent’anni di distanza, le ferite sono tutt’altro che rimarginate. Le domande di allora risuonano anche oggi in tutta la loro gravità: com’è potuto accadere? Che Vangelo era stato annunciato in Rwanda? E perché le divisioni etniche sono così profondamente penetrate anche dentro la comunità cristiana?  È pur vero che la Chiesa cattolica pagò un prezzo altissimo, con circa trecento tra preti e suore uccisi (compresi un arcivescovo e tre vescovi). Purtroppo, però, non va dimenticato che altri uomini di Chiesa rwandesi si resero complici del genocidio e alcuni di loro sono finiti sotto processo.” Vengono ricordati  episodi di eroismo, come quello di padre Mario Falconi, settantenne, bergamasco di origine, unico religioso italiano a essere stato nominato tra i "Giusti del Rwanda" per aver salvato con grande coraggio oltre tremila persone.  Padre Falconi, pur potendo rimpatriare con gli elicotteri che avevano portato al sicuro gran parte degli occidentali presenti in Rwanda, rimase nel paese. «Non potevo andarmene e abbandonare chi aveva riposto in me la propria speranza di salvezza», ha detto a Credere, settimanale  della San Paolo.  Uno spazio particolare viene dedicato al dossier “Benvenuti a Tutsiland” che Nigrizia, come preannunciato in un nostro precedente post, dedica all’avvenimento. «Il Fronte patriottico rwandese e il capo supremo Paul Kagame hanno creato una trappola totalitaria. Che sta in piedi perché troppi, anche nella Chiesa, si ostinano a fingere di non vedere» scrive Nigrizia a firma Raffaello Zordan.Per proseguire accusando l’attuale governo di sfruttare “i dividendi del genocidio”: «I padroni del
Rwanda stanno traendo dal genocidio del 1994 ogni vantaggio possibile. Il regime poggia letteralmente la propria autorità politica e morale su quelle morti. Ha deciso che la storia ha segnato per sempre chi sono i carnefici (tutti gli hutu) e chi le vittime (tutsi). Ma questa via della riconciliazione a senso unico non porta evidentemente da nessuna parte».  La sua denuncia di Nigrizia non è meno severa nei riguardi della Chiesa: «Inutile cercare, tra chi governa la Chiesa, segnali di critica allo ‘status quo’. Sul bollettino n° 157 (3-7 marzo 2014), la Conferenza episcopale rwandese, presieduta da monsignor Smaragde Mbonyintege, informa che i vescovi hanno incontrato il segretario esecutivo della Commissione nazionale di verità e riconciliazione, strumento del regime, il quale ha illustrato il programma “Ndi umunyarwanda” (“Sono ruandese”). I vescovi, mentre ricordano che la Chiesa ha come missione di cercare l’unità dei rwandesi, sottolineano che “la metodologia della Chiesa non è la stessa di quella dello stato, ma la finalità è identica e c’è dunque complementarietà”». Sferzante il commento del mensile dei comboniani: «Un bell’inchino e riverenza a Kagame». 
Secondo Nigrizia ci sono sì associazioni «dove hutu e tutsi, insieme, si sostengono per costruire un avvenire migliore. Ma anche in seno alla Chiesa sono minoranze». Situazione confermata a Nigrizia da  Guy Theunis, Padre bianco belga, "ingiustamente accusato di genocidio e incarcerato" che dichiara senza mezzi termini: «Nella Chiesa rwandese non si intravvede né prospettiva pastorale reale, né un impegno chiaro per superare le divisioni. La Chiesa, le Chiese sono divise tra hutu e tutsi. E finché non affronteranno la questione in modo chiaro al loro interno, non potranno aiutare la popolazione». Una divisione che si ritrova anche all’estero, dove le comunità rwandesi celebrano insieme l’eucaristia e altre feste importanti, «ma gli hutu da una parte e i tutsi dall’altra».
 Anche il mensile dei Saveriani, Missione Oggi – con un’acuminata analisi affidata Gabriele Smussi, ex volontario Svi in Ruanda - è molto critico con il governo retto da Kagame, imputandogli, tra l’altro, la responsabilità di aver eliminato, uno dopo l’altro, i testimoni–chiave del genocidio e gli oppositori del regime.
Viene anche segnalato un interessante pezzo che Pier Maria Mazzola, direttore editoriale della Emi,  che nel blog “L’asterisco” dopo aver lamentato l’assenza del punto di vista degli hutu moderati, segnala la vicenda del vescovo rwandese, monsignor Augustin Misago, ingiustamente accusato di genocidio dal presidente della Repubblica. Peccato che – ricorda Mazzola - «il marchio mediatico è rimasto. Un’opera uscita successivamente, il citatissimo libro di Philip Gourevitch, ha ‘dimenticato’” l’innocenza del prelato… E anche l’autore di uno dei romanzi considerati più importanti sul genocidio, il senegalese Boubacar Boris Diop, anni fa dichiarava nel corso di una conferenza in Italia, che ‘il massacro di Murambi era stato voluto”’ dal vescovo di Gikongoro…»”. 

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