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domenica 29 settembre 2013

Per evitare che Kigali esploda si punta a far crescere le altre città rwandesi


Il forte richiamo che Kigali, città moderna con uno standard di servizi e di stili di vita decisamente sopra la media africana,  esercita sul resto del paese comincia a suscitare qualche preoccupazione nelle stesse autorità che assistono a un flusso di persone che dalla periferia e dalle campagne  converge sulla capitale alla ricerca di una vita migliore. Il successo della capitale, passata da poche migliaia di abitanti degli anni cinquanta  agli 850.000 del 2005 per attestarsi a 1.135.428 abitanti rilevati nel censimento del 2012, oltre ad accentuare il solco tra il Rwanda urbano e quello rurale, una vera e propria faglia tettonica che potrebbe avere sommovimenti nel tempo, crea non pochi problemi di gestione per una realtà metropolitana di tutto rispetto   Il problema è stato affrontato in occasione della seconda  Conferenza tripartita Internazionale degli Stati dell'Africa, dei Caraibi e del Pacifico (ACP) sull'urbanizzazione sostenibile tenutasi di recente a Kigali. In quella sede il  primo ministro Pierre Damien Habumuremyi ha detto che il  governo, nel tentativo di ridurre il tasso di urbanizzazione che ha come sua manifestazione più immediata la crescita delle baraccopoli intorno alla città di Kigali,  intende favorire   la crescita delle città intermedie, come Huye, Rubavu, Nyagatare, Rwamagana, Rusizi e Musanze. L’intenzione del governo è quella di stimolare ulteriormente le attività economiche per creare in periferia quelle opportunità di lavoro, soprattutto per i giovani, al fine di arginare la migrazione rurale-urbana e interrompere così la crescita delle baraccopoli, primo punto d’ingresso in città di chi vi arriva senza riferimenti precisi. Attualmente, il Rwanda sconta un tasso di migrazione urbana del 4,8 per cento, superiore a quello della migrazione rurale-urbana del mondo, che si attesta al 1,9 per cento.  Alle iniziative volte a creare condizioni favorevoli nella creazione di occupazione anche nelle città di provincia, si affianca un programma di costruzioni di nuove abitazioni il cui bisogno era stato quantificato nel 2008 in  350.000 case per il  successivo decennio e che il governo vorrebbe cominciare ad affrontare con un piano annuale per la costruzione di 35.000 nuove costruzioni con nuovi tecniche edificatorie, compatibilmente con la disponibilità dei mezzi finanziari necessari. Per questo si punta molto alla responsabilizzazione dei privati perché comincino ad operare senza attendere la parte pubblica. Parallelamente  le autorità cercano di di recuperare gli spazi attualmente occupati dalle baraccopoli ancora presenti nella capitale, procedendo, spesso con metodi piuttosto sbrigativi, ad espropri e alla destinazione delle nuove aree a programmi di edilizia commerciale.

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