Papa Francesco I |
L’elezione del cardinale Jorge
Mario Bergoglio alla sede petrina con il
nome di Papa Francesco è stata accolta con una certa sorpresa in Rwanda, ben
rappresentata dall’affermazione di quel vescovo rwandese che, subito dopo l'annuncio, confessava
candidamente che, non conoscendolo, faceva affidamento sulla bontà della scelta dei
cardinali elettori. In realtà, passati i primi giorni di sorpresa, dopo alcuni articoli di studio del nuovo Papa curati anche da giornalisti stranieri, sulla stampa locale l'interesse per il nuovo Papa assume una connotazione particolare che si estrinseca in un'esplicita richiesta: Papa Francesco, in coerenza con quelli che sembrano esssere i principi ispiratori del suo papato, dovrebbe finalmente decidersi a chiedere perdono per
quanto la Chiesa locale viene accusata di aver fatto, attraverso suoi ministri, durante la tragedia rwandese del 1994. Si parte con l’editoriale
de The New Times del 17 marzo: “Nessun paese
più del Rwanda gradirebbe che il
Vaticano manifestasse qualche segno di contrizione per il passato. Le persone tradite da alcuni membri della Chiesa hanno bisogno che
si chiuda questa vicenda"; poi arriva l’intervento di ieri di uno dei principali editorialisti della stessa testata, Joseph
Rwagatare, "nel caso del Rwanda, è ragionevole aspettarsi che il Papa del popolo (come si comincia a conoscerlo) riconosca la complicità della chiesa nel genocidio del paese, si scusi e chieda perdono ...", per finire con i commenti di diversi lettori che condividono l'auspicio per potersi riconciliare con una chiesa cha hanno abbandonato, proprio per i comportamenti passati.
Naturalmente non sappiamo che cosa il nuovo
Papa farà in proposito. Possiamo solo segnalare quanto fatto dal cardinal Jorge Mario Bergoglio, primate d’Argentina, in
un contesto che vedeva il suo popolo uscire da una situazione fortemente conflittuale e drammatica, con diverse analogie, seppur su scala diversa, con la tragedia rwandese, vissuta dal suo paese nel periodo della dittatura (1976-1983).
Parlando di quel periodo il
cardinal Bergoglio, in una intervista del 2002 ripresa in “Francesco, un Papa dalla fine del mondo”, un instant book di Gianni Valente per le edizioni Emi, afferma: «Siamo parte del nostro popolo. Partecipiamo con esso del
peccato e della grazia. Possiamo annunciare la gratuità del dono di Dio solo se
abbiamo sperimentato tale gratuità nel perdono dei nostri peccati. Nel 2000 la
Chiesa argentina ha fatto, anche pubblicamente, un periodo di penitenza e di
richiesta di perdono alla società, pure in riferimento agli anni della
dittatura. Nessun settore della società argentina ha chiesto perdono allo
stesso modo».
Mentre nel 2007, allorquando la giustizia argentina condannò
all’ergastolo un sacerdote dichiarato colpevole di sette omicidi e di
altri crimini, il card Bergoglio, senza scomodare il Papa regnante, a nome
della conferenza episcopale argentina firmò un documento in cui si diceva che
“i passi che la giustizia compie nel chiarimento di questi fatti devono servire
a rinnovare gli sforzi di tutti i cittadini nel cammino della riconciliazione e
sono un appello ad allontanarci sia dall’impunità che dal rancore”. E ancora, “Se qualche membro della Chiesa, qualunque fosse la sua condizione, avesse
avallato con il suo consiglio o la sua complicità qualcuno di questi fatti (la
repressione violenta), avrebbe agito sotto la sua responsabilità personale,
errando o peccando gravemente contro Dio, l’umanità e la sua coscienza”.
Basterebbe che ripetesse le ultime 4 righe del tuo post.
RispondiEliminaÉ quello che ogni persona qui in Rwanda si aspetta.
In questa settimana sono stato in diversi luoghi religiosi, a partire dal vescovo fino ai posti più umili dove le suore assistono i bambini abbandonati o dove assistono i bambini ed i giovani con handicap. L'impressione è che nella povertà ci sia una religiosità senza pari, mentre più si sale di grado e più é vista come un lavoro, una occupazione. E vissuta anche con un pó di frustrazione, con la consapevolezza di essere tra l'incuidine delle aspettative della gente ed il martello del silenzio di Roma.
Le scuse non servono a niente se non sono accompagnate dal pentimento. E la chiesa sta continuando la politica che ha portato al genocidio. Faremmo anche a meno delle scuse, ci basterebbe che ci lasciasse in pace
RispondiEliminadragor
RispondiEliminaPrendiamo atto delle opinioni dell'ineffabile Dragor , insolitamente misurato nel parlare di Chiesa.
Resta da capire se milioni di rwandesi concordano con lui quando invoca che la Chiesa, " ci lasciasse in pace"; deve cioe' cessare tutte le attivita' a favore della promozione umana e dello sviluppo della popolazione?
Chiudiamo scuole, centri sanitari, dispensari, cooperative, asili,centri nutrizionali...?