Ogni anno
l’UNDP, il programma di sviluppo dell'ONU, pubblica il
Rapporto sullo Sviluppo Umano che fotografa la situazione sociale ed economica
dei vari paesi del mondo sintentizzata nell' indice di sviluppo umano (HDI).
Si tratta di un
indice introdotto in alternativa alle misure convenzionali di
sviluppo nazionale, come il livello di reddito e il tasso di crescita
economica, che fornisce una definizione più ampia di benessere basandosi
su una misura composita di tre dimensioni fondamentali dello sviluppo umano: la
salute, l'istruzione e il reddito.Il Rapporto 2013, rilasciato nei giorni scorsi a
Città del Messico, ci consegna una fotografia del Rwanda non propriamente in
linea con quella che è la rappresentazione comunemente diffusa dai media
internazionali: quella di un paese da additare quale esempio da seguire sulla
via dello sviluppo per gli altri paesi del sud del mondo. Magari si enfatizzano
aspetti più appariscenti che sostanziali, come fa questa mattina The Sunday
Times che presenta così i risultati del Rapporto:"Il Rwanda ha
ottenuto 0,434 nell'HDI classificandosi 76esimo su 187 paesi nella promozione
della parità dei sessi". Come si vede si bada più al politically
correct che alla sostanza. Purtroppo l’HDI che emerge, pari appunto allo 0,434
come correttamente riferisce The Sunday Times, colloca il Rwanda
al 167 esimo posto sui 187 paesi presi in esame, la medesima
posizione che occupava nel 2007.
Lascia sorpresi anche noi costatare che,
al di là delle realizzazioni in campo economico e sociale di cui da qualche
anno ci sforziamo di dar conto su questo piccolo blog, nell’ultimo quinquennio
il Rwanda sia rimasto inchiodato a questa per niente gratificante
posizione di coda nel ranking mondiale. Anche all’interno della propria
area geografica, il Rwanda non è riuscito a portarsi al livello degli altri
paesi, collocandosi al di sotto della media regionale dei paesi dell’area
subsahariana, pari al 0,475. Su base continentale, il Rwanda si pone in una
posizione mediana, lasciandosi alle spalle 19 paesi africani ma avendone
davanti una trentina. Sono dati che dovrebbero far riflettere i responsabili
politici del paese a cui, evidentemente, consiglieri internazionali un po’
troppo compiacenti, come Tony Blair, non fanno un buon servizio, mancando di evidenziare anche le aree critiche necessarie di intervento. Come da tempo andiamo sottolineando, oltre i confini della capitale esiste un altro Rwanda i cui stili e livelli di vita evidentemente concorrono ad abbassare quei parametri su cui si basa la determinazione dell'HDI.
I principali indicatori riferentesi al Rwanda, su
ognuno dei quali meriterebbe fosse fatta una riflessione, sono
consultabili cliccando qui.
HDI: Trends 1980-2012 |
Mi trovo attualmente in Rwanda. Dal mio tablet non riesco a visualizzare gli indicatori. Ma mi pare che sul metodo utilizzato ci sia qualcosa da ridire.
RispondiEliminaParagonare l'incidenza di malattie tropicali come la malaria tra nazioni africane e islanda o norvegia mi sembra una stupidaggine.
Così come valutare le emissioni di co2 tra chi cerca disperatamente uno sviluppo e chi invece lo sviluppo lo ha perseguito nei secoli scorsi avvelenando la terra.
Spazio per crescere qui ce n'è molto, ma in tutta onestà mi pare venga utilizzato nel migliore dei modi.
Certo che quando quasi tutte le risorse vengono utilizzate per il fine, tutti i parassiti che solitamente ci lucrano, sono scontenti.... Questo è il motivo per cui aiuto direttamente e non tramite le onlus.
Il confronto non è tanto con la Norvegia, ma con quei trenta paesi africani che sopravanzano il Rwanda nel ranking per i quali i parametri di raffronto dovrebbero essere omogenei. La cosa dovrebbe comunque far riflettere, soprattutto quei media e quegli sponsor che adittano acriticamente a quei paesi africani l'esperienza rwandese, come esempio da imitare. Cosa vera per tante conquiste e innovazioni della società rwandese, un po' meno per altre.
RispondiEliminaUn'ultima cosa; gli aiuti che passanoo attraverso le onlus arrivano per la gran parte a destinazione nei villaggi ( attenuando il grave gap esistente tra campagna e capitale) e non ingrassano il ceto politico amministrativo della capitale.Non so se si può dire altrettanto di altre forme di aiuto.
Dico solo che le situazioni vanno vissute .
RispondiEliminaSiamo abituati a generalizzare, al politicamente corretto. Ma la realtà è diversa.
Si ha la tendenza a scrivere sulla lavagna i nomi dei buoni e cattivi. E guarda caso spesso chi scrive applica la regola del politicamente corretto per ottenere il massimo beneficio personale dal compito svolto.
Personalmente ho elargito qualche centinaio di migliaia di euro ( non molti, appena appena per poter usare il plurale...:-) )
E dopo aver constatato che i miei sacrifici servivano non ai destinatari finali ma agli intermediari, ho deciso di operare in prima persona. Ho ancora il rimorso di due mezzi di soccorso che,so in italia dopo tre o quattro anni e due ecografi consegnati nel 2009 e mai arrivati a destinazione. Purtroppo fame e malattie hanno tempi immediati, proprio come quimda noi.
Fa piacere sapere di una persona impegnata sul campo.Ognuno cerca di fare del proprio meglio, secondo possibilità e capacità, come per esempio gli amici di Kwizera la cui attività puoi trovare nell'e book Kwizera Rwanda scaricabile dal blog. Chissà che un domani ci si possa trovare a collaborare.
RispondiElimina