Non si sa quale sarà lo sbocco
della nuova grave crisi che sta interessando
il Nord Kivu e che ha fatto negli ultimi tempi numerose vittime, dopo
averne fatto diversi milioni nel passato, come sostenuto in documenti ufficiali
dell’Onu. Questa volta, oltre che sul campo, il confronto si sta effettuando in
sede diplomatica tra accuse dell’Onu sulle intromissioni del Rwanda nelle
questioni interne congolesi e le sdegnose smentite delle autorità di Kigali
circa un coinvolgimento ruandese nella
crisi. Al di là delle schermaglie diplomatiche resta un fatto. Questa crisi ha
mutato il sentiment internazionale nei confronti del Rwanda.Accompagnato nel
post 94 da una generalizzata simpatia di tutti i paesi e istituzioni
internazionali che hanno contribuito generosamente alla ricostruzione del paese
appoggiando il nuovo corso ruandese con
comprensione, a volte con qualche condiscendenza di troppo, ed enfatizzando
spesso i reali progressi messi a segno, il Rwanda si trova oggi a fare il conto
con un clima internazionale totalmente mutato. Sembra che la comunità internazionale,
in passato mossa da un sotterraneo senso
di colta per non aver saputo o voluto evitare l’eccidio del 1994, non sia più disposta a riservare un occhio di
riguardo, concedendo tutti gli sconti del caso, al presidente Paul Kagame. A
fatica le agenzie di pubbliche relazioni ingaggiate da Kigali per curare
l’immagine del paese riescono a tenere a bada la stampa internazionale. Rende
bene l’idea di come sia cambiato il vento il titolo, An isolated autocrat, con cui il quotidiano Financial Times ha titolato un suo recente pezzo sul
presidente rwandese; cosa impensabile fino a poche settimane fa. Purtroppo per i
rwandesi non si tratta solo di aver perso il favore dei media internazionali, ma molto più
concretamente di essersi giocati milioni di dollari di aiuti internazionali,
congelati da diversi paesi a seguito del ruolo, vero o presunto che sia, tenuto
dal Rwanda nella crisi del Kivu.Hanno cominciato gli Usa tagliando, in maniera
poco più che simbolica ma dando un chiaro avvertimento, 200.000 dollari di un aiuto per una scuola
militare, hanno fatto seguito la GranBretagna che ha annunciato la sospensione
di 25 dei 118 milioni di dollari annuali
previsti, l’Olanda con la sospensione di 5 milioni di euro di aiuti, seguite da
altri paesi europei, compresa la Germania che ha congelato 21 milioni di euro e quindi la Svezia.
La reazione di Kigali è stata immediata. Promosso ufficialmente dalla diaspora
rwandese nel mondo è stato creato un fondo sovrano denominato Agaciro Development Fund (AgDF), con l’immediata apertura di tre conti sulle tre principali
banche rwandesi su cui veicolare le donazioni che dovrebbero sopperire ai tagli
dei partners internazionali. Una reazione d’orgoglio, la parola agaciro che
compare nella denominazione del Fondo significa valori e dignità,
che certo non attenua il duro colpo che l’immagine del Rwanda ha subito
in questa crisi. Le autorità di Kigali, cui non manca certo la capacità di
leggere i segni del mutato sentiment internazionale, dovranno correre ai ripari
apportando le necessarie correzioni di rotta
alla propria politica nel Kivu e, forse, non solo a quella.
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