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Scuola di Kiruri: i nuovi arredi appena consegnati |
La decisione del governo rwandese di rendere obbligatorio l’uso dell’inglese nell’insegnamento scolastico di ogni ordine e grado, di cui avevamo data notizia in precedenti post, è stata parzialmente rivista. L'iniziativa aveva suscitato non poche perplessità; ricordiamo in proposito la presa di posizione del vescovo di Byumba mons. Servilien Nzakamwita ( vedi post del 22 dicembre scorso) che aveva sottolineato la difficoltà per gli studenti ad adattarsi a una simile scelta.Ora, iterviene il Ministro per l'istruzione primaria e secondaria, dottor Mathias Harebamungu, per annunciare una decisione del governo che prevede la conservazione del Kinyarwanda come lingua d'insegnamento nella scuola materna e nei primi tre anni della scuola primaria, fermo restando l’insegnamento della lingua francese e inglese. Le motivazioni addotte, per quella che suona come una parziale marcia indietro rispetto alla precedente decisione, fanno riferimento a ricerche e a studi condotti, anche dall’Unesco, che hanno dimostrato come il bambino apprenda meglio se l’insegnamento avviene nella propria lingua madre. Una simile scelta dovrebbe, secondo il ministro, evitare ai bambini un’esperienza, per certi versi scioccante, come quella di costringerli a misurarsi con una realtà nuova come quella scolastica e con un ambiente di apprendimento dove viene usata una lingua non conosciuta. Il Ministro ha anche cercato di tranquillizzare chi, da più parti, ha avanzato dubbi sull’efficacia di rendere obbligatorio l’inglese, affermando che le modifiche in corso mirano a ottimizzare il sistema di istruzione, soprattutto, in prospettiva futura.Ha inoltre sottolineato che la scelta di mantenere il Kinyarwanda, almeno all'inizio del percorso scolastico, ha lo scopo di preservare la cultura del Rwanda e di garantirne la sopravvivenza, anche perché "molti giovani oggi hanno difficoltà a parlare o scrivere Kinyarwanda, e ciò è pericoloso per il Paese ". Lo conferma quanto ci è capitato di leggere nei giorni scorsi: la confessione di un commentatore de The New Times che in un suo pezzo, naturalmente in inglese, ammetteva candidamente di non sapersi esprimere perfettamente in Kinyarwanda.
Molto probabilmente l'intervento correttivo annunciato dal ministro non sarà l'ultimo; è, infatti, evidente come un problema delicato come quello della lingua, con tutto quello che comporta in termini culturali e sociali, richieda interventi graduali e condivisi.
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