La conferma della crisi finanziaria della diocesi di Kibungo, che ha evidenziato un deficit finanziario di oltre un milione di euro e ha portato alla rinuncia del vescovo preposto, impone qualche considerazione anche per trarre dall’esperienza insegnamenti utili per evitare che altre realtà ecclesiali rwandesi, dai precari equilibri finanziari, possano incorrere in analoghi spiacevoli incidenti che tanto sconcerto portano nella comunità ecclesiale. La gestione delle finanze di una diocesi può contare da tempo su strumenti e tecniche, già ampiamente consolidati in ambito aziendale, che dovrebbero consentire ai responsabili di mettersi al riparo da qualsiasi sorpresa e affrontare per tempo ogni possibile segnale di crisi. Certo è necessario poter disporre di persone di accertata affidabilità e di sicura competenza che dominino la materia e sappiano intervenire per tempo per disinnescare ogni possibile rischio.Purtroppo non sempre i requisiti dell’affidabilità e della competenza albergano nella stessa persona con le ovvie inevitabili conseguenze Sono altresì necessarie figure che svolgano azioni di controllo sulla gestione, per evitare che le criticità siano scoperte quando ormai la situazione è di fatto fuori controllo, per incompetenza o, peggio, per inaffidabilità dei preposti alla gestione. Tali professionalità, da sole, non sono però sufficienti se da parte del vescovo, responsabile in ultima istanza della gestione della diocesi, non c’è la disponibilità ad ascoltare e accettare anche i no che il proprio economo deve spesso opporre alle richieste che arrivano dall’alto. Purtroppo i significativi flussi finanziari che negli ultimi anni confluiscono sul territorio, interessando spesso direttamente le singole diocesi, sembrano aver fatto dimenticare a tante strutture ecclesiali un approccio più misurato con il denaro, lasciando il posto a gestioni non sempre rigorose. Abbiamo spesso assistito a spese non giustificate alla luce delle finanze diocesane, a stili di vita non coerenti con la dura realtà locale e con le scelte di vita religiosa. Un po’ più di misura da parte di tutti sarebbe, quindi, quanto mai auspicabile. Così come sarebbe auspicabile che certi modelli gestionali, di cui le Onlus più attente a una prudente e puntuale gestione delle somme loro affidate dai benefattori si fanno portatrici, fossero visti come modelli da imitare piuttosto che astruserie da muzungu, come qualche volta succede.
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