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mercoledì 17 dicembre 2008

La fame nel mondo si vince con l’educazione

Dal blog ARMAGHEDDO di Padre Piero Gheddo riprendiamo questo contributo di cui condividiamo, anche alla luce della piccola esperienza maturata, il richiamo all'impegno formativo a favore delle popolazioni dei paesi dove ancora la fame è un problema con cui misurarsi quotidianamente.
Il Rapporto annuale della FAO 2008 sulla “insicurezza alimentare”, presentato alla stampa internazionale il 9 dicembre corso, porta una triste notizia: l’impegno che i Grandi della terra avevano preso all’inizio del 2000 di dimezzare la fame nel mondo entro il 2015 non sarà realizzato, anzi negli ultimi anni la situazione va peggiorando. Nel 2000 gli “affamati” erano 842 milioni, alla fine del 2007 923 milioni! Dei quali 583 in Asia e Pacifico, 236 in Africa, 51 in America Latina e Caraibi, 37 nel Medio Oriente e Nord Africa, 16 nei cosiddetti “paesi sviluppati”. Il direttore generale della FAO, Jacques Diouf, ha affermato che “per salvare gli affamati servono 30 miliardi di dollari l’anno, poca cosa in confronto alle spese per armamenti”.
Più che una notizia, questo è un grido d’angoscia, che non può lasciarci indifferenti. Lo scandalo della “fame nel mondo” è scoppiato nel 1960 quando la stessa FAO lanciava la campagna mondiale contro questo terribile flagello. Quasi cinquant’anni dopo non si sa ancora cosa fare per vincere “l’unica guerra che merita di essere combattuta”. Mi stupisco sempre di come la FAO, quando presenta questi dati che sono una sconfitta per tutti, parli sempre e solo di soldi, di prezzi mondiali degli alimenti, di tecniche per produrre più cibo. Non parla mai di educazione a produrre di più, da parte dei popoli che soffrono la fame. Eppure questa è l‘esperienza di tutti i missionari che vivono tra le popolazioni più misere e diseredate e anche l’impegno della Chiesa per elevare la condizione umana: “Prima insegnare a lavorare per bastare a se stessi, poi costruiremo la chiesa”, diceva il Venerabile padre Clemente Vismara, per 65 anni missionario in Birmania.
E’ mancata finora una vera analisi del perché le popolazioni più povere e analfabete soffrono la fame. Il vero problema che si osserva viaggiando nelle regioni più colpite dal flagello, è di rendere tutti i popoli autosufficienti almeno nella produzione del cibo che consumano. Sembra quasi che avendo 30 miliardi di dollari all’anno da spendere si risolva automaticamente lo scandalo della fame. I soldi sono necessari, ma dati ad un popolo che non è capace di produrre, non ha la mentalità di produrre con tecniche nuove, creano corruzione. Ma è più facile mandare milioni di dollari in aiuto, che convincere i governi locali a spendere di più per l’educazione, per le campagne, per le fasce di popolo più povere e isolate. E’ più facile mandare trattori e altre macchine e navi di cibo da distribuire, che offrire personale, volontario o stipendiato, per aiutare nell’opera di educazione, di formazione del piccolo popolo abbandonato.
In concreto, come possono la maggioranza dei paesi africani vincere la fame, quando il loro analfabetismo è ancora superiore al 50% della popolazione? L’Africa nera, secondo dati della FAO, nel 1960 esportava cibo, oggi importa il 30% del cibo che consuma. Aumentano gli abitanti e non aumenta in proporzione la produzione agricola. Nel 1964, il grande agronomo francese René Dumont, scriveva un libro profetico, “L’Afrique noire est mal partie”. Dopo un viaggio di indagine sull’agricoltura in vari paesi africani, scriveva che “se i governi da poco diventati indipendenti trascurano i contadini e l’educazione dei giovani, l’Africa va incontro ad una grave crisi alimentare”. E dimostrava questa sua previsione. Che infatti si sta realizzando alla lettera.

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