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domenica 12 ottobre 2008

Riflessione in margine a una serata missionaria

La bella serata di ieri, passata ad ascoltare le testimonianze di alcuni giovani che hanno vissuto un’esperienza di una ventina di giorni nelle parrocchie che la diocesi di Como regge i Camerun, offre lo spunto per qualche riflessione. L’entusiasmo con il quale hanno parlato di questa loro esperienza era forte e sincero. Allo scorrere delle immagini che accompagnavano i loro interventi quasi si percepivano le forti emozioni da loro vissute: rivivevano panorami dai colori vivi e
dalle vedute inconsuete, odori forti e penetranti, incontri con un’umanità variegata e coinvolgente, il confronto con stili di vita differenti e con valori spesso dimenticati.
Venti giorni vissuti intensamente.
E adesso?
Che cosa differenzia questa esperienza da un comune viaggio africano di una comitiva di turisti che potrebbero aver fatto un itinerario analogo?
Quando tutte le sensazioni forti si sono sedimentate, dovrebbero sopravvivere quegli sguardi di bambini, donne, anziani che tante volte si sono incrociati durante il viaggio e che, con il pudore di cui solo gli ultimi sono capaci accompagnato da un sorriso, lanciavano una silenziosa implorazione di vicinanza e di aiuto.
E’ allora forse limitativo pensare che sia sufficiente rispondere a tale richiesta d’aiuto con una generica, seppur apprezzabile, sensibilizzazione missionaria senza spingere, come laici, lo sguardo oltre il confine delle nostre parrocchie. Tanti bravi sacerdoti indigeni, ai quali in tanti paesi africani è ormai affidata la quasi totalità delle parrocchie, sono ben lieti di poter contare sul sostegno dei laici per arricchire la propria azione pastorale anche con attività di promozione umana a favore delle rispettive comunità.

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