L'odierno incontro del presidente Paul Kagame con il presidente americano Donald Trump, a margine del Forum economico mondiale (WEF) in corso a Davos, in Svizzera, sembra aver riportato il sereno nei rapporti USA-Africa.Dopo la recente scivolata di Trump, che si era lasciata sfuggire una battuta infelice sui paesi "poveri", l'incontro con Kagame, nella veste anche di presidente dell'Unione Africana, sembra aver decisamente archiviato quella gaffe. Infatti, nell'incontro sono state prese in esame, oltre che le relazioni bilaterali tra i due paesi, anche le questioni di interesse per l'Unione africana, di cui Kagame è il presidente per il 2018. In questa veste, rivolgendosi alla stampa dopo l'incontro, il presidente Kagame ha affermato come non veda "l'ora di lavorare con gli Stati Uniti a livello dell'Unione Africana, dove stiamo portando avanti le riforme", elogiando il presidente Trump per l'attenzione degli Stati Uniti sull'importanza dello sviluppo economico nel continente. Passando alla situazione dei rapporti bilaterali, Kagame ha sottolineato come "il Rwanda abbia beneficiato enormemente del sostegno degli Stati Uniti in molte aree: nelle operazioni di sostegno alla pace, svolte in diverse parti del mondo, e soprattutto nel sostegno all'economia, nel commercio e negli investimenti, senza dimenticari i molti turisti provenienti dagli Stati Uniti che visitano il Rwanda ". I due leader hanno quindi ribadito la preminenza della
comprensione reciproca e hanno concordato di collaborare per identificare
ulteriori modi per migliorare i partenariati strategici. Quello con Trump è
solo il più importante dei numerosi colloqui bilaterali che Kagame ha avuto con
i leader politici ed economici di tutto il mondo.
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venerdì 26 gennaio 2018
lunedì 22 gennaio 2018
In Rwanda, appalti on line snelliscono le pratiche e contrastano la corruzione
Grazie al sistema di sistema e-procurement, la gestione degli
appalti pubblici online, entrato in funzione sei mesi fa, è diventata più snella e, soprattutto, si sta rivelando un efficace strumento per prevenire le pratiche scorrette che possono caratterizzare le gare pubbliche, come la
falsificazione di documenti e la corruzione. Sono 137, su un totale di 150, le
istituzioni pubbliche, utilizzanti fondi del bilancio nazionale, che fanno ricorso al sistema su circa 150 agenzie nel paese. Sull’altro fronte, gli imprenditori registrati
nella piattaforma di offerta online sono al momento 3.493 su 5.000 che solitamente partecipano alle offerte pubbliche. A
partire da dicembre 2017, sui 2.000 appalti pubblici messi a bando, oltre 1.300 sono stati gestiti
tramite il nuovo sistema in modo tempestivo, tanto che, ad oggi, sono già stati
firmati 839 contratti. Nel frattempo, già 180 imprenditori sono stati inseriti
nella lista nera per aver operato scorrettamente attraverso la falsificazione dei documenti di gara. Secondo gli stessi imprenditori il sistema
aiuta l'offerente a risparmiare tempo, perché la maggior parte dei documenti amministrativi
necessari sono ora fornitisu, richiesta dell'offerente, in forma elettronica da istituzioni come le banche,
l'Agenzia delle entrate e il Consiglio di sicurezza sociale. Vengono così meno tutte le spese connesse con la
produzione della documentazione cartacea, che per certi appalti arrivava a dover
produrre fino a 5 copie di documentazione per un ammontare di 1500 fogli, con i
conseguenti costi di riproduzione. Ma quel che più conta è l'efficia che lo strumento ha nella lotta contro la corruzione. Infatt, per garantire la trasparenza nelle procedure
di gara, il sistema è concepito in modo tale da ridurre il contatto fisico tra
l'offerente e l'ente appaltante e ha una misura di sicurezza in base alla quale
solo la persona giusta (offerente) può accedere alle informazioni sul proprio
documento, mentre il comitato di gara può accedervi al momento giusto (giorno
di apertura delle offerte). Il sistema, che si inserisce nel più ampio progetto
di digitalizzazione del paese, è stato
sviluppato nel 2015, richiedendo un investimento di 5 milioni di euro, ed è stato lanciato come progetto pilota in
otto istituzioni pubbliche, compresi ministeri e distretti, nel 2016/2017.
giovedì 18 gennaio 2018
Volkswagen sbarca in Rwanda con uno stabilmento di assemblaggio
Il gruppo Volkswagen ha annunciato oggi, per bocca del Chief Executive
di Volkswagen South Africa, Thomas Schafer, un investimento di $ 20 milioni per
realizzare in Rwanda un impianto di assemblaggio di autovetture per il
mercato africano. La prima auto uscira' dal nuovo stabilimeno entro il prossimo maggio di
quest'anno. L'impianto che sarà situato nella Zona Economica Speciale avrà una
capacità produttiva di 5000 automobili annue ed è destinato inizialmente a creare tra i
500 e i 1000 posti di lavoro.Le prime attrezzature sono in arrivo al porto di
Mombasa. L'impianto si concentrerà nella prima fase sulla produzione di tre
modelli, Teramont, Jetta e Polo berlina ma potrebbe prendere in considerazione anche
altri modelli, senza mai entrare in concorrenza con lo stabilimento situato in Kenya, che produce altri modelli.Il gruppo tedesco ha propri impianti produttivi in Nigeria e in Sud Africa. Volkswagen Mobility Solutions, questo il nome della società rwandese, prevede inoltre di dar vita a un servizio di car sharing, che dovrebbe iniziare entro la fine dell'anno con un totale di 300 auto, tra quelle prodotte in loco.Per implementare il servizio, l'azienda sta collaborando con una
società tecnologica locale, Awesomity Lab, che creerà soluzioni personalizzate
per il mercato locale.Oltre al servizio di auto di servizio riservato a ministeri e aziende, il car sharing potrebbe evolvere successivamente in un peer to peer car sharing, dove i proprietari di auto possono dare le loro auto in uso e guadagnare denaro sul modello di Uber.Senza rivelare i ritorni attesi dall'investimento,
l'azienda afferma di essere ottimista circa la crescita del mercato ruandese, che importa annualmente dalle 7000 alle 9000, per la gran parte di seconda mano, aggiungendo che l'investimento e' in una prospettiva di lungo termine.L'investimento sarà distribuito in tre fasi, con la previsione di vedere l'azienda aumentare la capacità produttiva, i modelli di auto, i dipendenti e le possibilità di esportazione.Lo stabilimento di Gasabo sarà anche coinvolto in servizi di formazione, con l'obiettivo di trasferire competenze ai ruandesi che lavoreranno nello stabilimento.
domenica 14 gennaio 2018
Giornata dei migranti: non c'è solo il popolo dei barconi
Campo profughi di Mahama (foto The New Times) |
Oggi si celebra la Giornata mondiale dei migranti, con il serio rischio che in Italia si riduca alla giornata dell'accoglienza, dimenticando totalmente i milioni di rifugiati, sfollati e migranti sparpagliati nel mondo. In Africa, l'ultimo dato delle agenzie dell'ONU quantifica in oltre 17 milioni le persone che si trovano in una situazione di aver abbandonato la propria casa, se mai ne avevano una, per trovare rifugio in campi più o meno attrezzati ed assistiti grazie agli aiuti internazionali.Un piccolo spaccato di questo mondo lo troviamo anche in Rwanda.
Fin dal lontano
1996 sono attivi in Rwanda due campi profughi gestiti dall’UNCHR,
rispettivamente a Byumba e nei pressi di Gatsibo con 17.000 rifugiati congolesi
cadauno, in gran parte di etnia banyamulenge, provenienti dalla regione del
nord Kiwu da cui si sono allontanati per sfuggire ai vari momenti di guerra che
si sono succeduti in quel periodo nella regione.Negli anni successivi ci
furono ulteriori afflussi di rifugiati, tanto che fino
al giugno 2014, furono aperti altri tre campi profughi gestiti
dall’UNHCR, per un numero complessivo di rifugiati di poco inferiore a
75.000. Un numero decisamente maggiore,
171.126, si trovavano invece in Uganda. A partire
dall’aprile 2015, la crisi politica venutasi a creare nel vicino Burundi, a
seguito dell’intenzione del presidente uscente, Pierre
Nkurunziza , di correre per un terzo mandato in spregio alla
costituzione, ha provocato la fuoriuscita dal paese di migliaia di
persone.Secondo i dati dell’UNHCR, nel giro di un anno
si sono riversati in Rwanda, 73.926
rifugiati, su un totale di circa 250.000 rifugiati burundesi suddivisi tra i
paesi confinanti:circa 48mila rifugiati
vivono nel campo di Mahama, il più grande campo del Rwanda, e più di
26mila a Kigali e in altre città. A
novembre 2017, risultavano presenti nei diversi
campi profughi operativi in Rwanda
172.706 rifugiati e richiedenti asilo, di cui il 50 per cento minorenni.
In questi campi, i rifugiati godono degli stessi diritti dei cittadini
rwandesi: i rifugiati possono liberamente accedere all'istruzione e
all'assistenza sanitaria e, se in possesso di qualche qualifica, possono
sfruttare le opportunità di lavoro che si presentano.
I
rifugiati rwandesi all’estero
Contemporaneamente, secondo dati ufficiali dell’UNHCR,
a fine 2017, permanevano all’estero 269.500 rwandesi, dopo che ben 3,5 milioni erano rientrati a diverse tornate in Rwanda,
martedì 9 gennaio 2018
Test antidroga per i giovani rwandesi che vanno a studiare all'estero
Una nuova direttiva del Ministero dell'Istruzione rwandese richiede
che tutti gli studenti in procinto di andare all’estero per motivi di studio, con una borsa di studio governativa, si
sottopongano a un test antidroga in un ospedale autorizzato.Prima della
partenza gli studenti dovranno esibire un certificato medico che attesti che non facciano uso di droga. La decisione di
introdurre il nuovo test si basa sul fatto che l'uso di droghe si sta
diffondendo tra i giovani, anche in Rwanda. Oltre al test prima della partenza,
il governo prevede che tutte le
ambasciate ruandesi in tutto il mondo seguano gli studenti nella loro vita scolastica. Sarà
anche approntato un apposito database
aggiornato degli studenti ruandesi, soprattutto quelli che vivono all'estero,
al fine di sostenerli continuamente. La decisione trae spunto anche da recenti
casi di scarso rendimento e di espulsione dalle università di studenti per abuso di droghe. La direttiva riguarda
tutti gli studenti ruandesi che studiano o coloro che intendono studiare
all'estero su sponsorizzazioni governative, borse di studio o sponsorizzazioni
private. Sono circa 150 gli studenti che annualmente vengono inviati in
università estere con il sostegno del governo, mentre circa 50 studiano con borse di studio della cooperazione
internazionale.
lunedì 8 gennaio 2018
Unione Africana: inizia la presidenza Kagame. Molte le attese
Paul Kagame |
Dal 1 ° gennaio 2018, il presidente ruandese Paul Kagame
presiederà l'Unione Africana, per tutto l’anno in corso. Lo aveva designato la 29ª
sessione ordinaria dell'Assemblea dell'Unione africana (UA), tenutasi ad Addis
Abeba, in Etiopia, nel luglio 2017. La 30ª sessione ordinaria dell'Assemblea
dei capi di Stato e di governo, che si riunirà ad Addis Abeba, in Etiopia, dal
28 al 29 gennaio, sarà quindi presieduta dal presidente Paul Kagame, nella sua
veste di presidente dell'Unione. Sostituisce il suo omologo guineano, il
presidente Alpha Condé.Sarà una presidenza che probabilmente segnerà fortemente
la storia dell’Unione Africana, tenuto conto che proprio Kagame era stato
incaricato dal 27 ° vertice dell'UA a
Kigali nel luglio 2016, di predisporre uno studio per riformare la Commissione
dell'UA e l'Unione per renderle più efficienti, permettendo così all'Africa di
raggiungere il suo obiettivo di autosostenibilità e di far sentire la propria
voce sulla scena internazionale.Dal vertice di Kigali, Paul Kagame ha
esercitato un'influenza sull'organizzazione continentale, ridisegnando la sua
struttura interna e riformando la sua gestione finanziaria. In particolare, ha
beneficiato dell'esperienza e delle capacità del suo connazionale, ex
presidente della Banca africana di sviluppo, Donald Kaberuka, l'inventore di una
tassa dello 0,2% sulle importazioni
imponibili continentali, quale strumento per raccogliere circa 1,2 miliardi di dollari
all'anno che dovrebbero consentire all’U.A. di affrancarsi dagli aiuti esteri
per il suo funzionamento. Finora, 20 paesi (su 54) vi hanno aderito, cominciando a
rimettere nelle casse dell’Unione il tributo raccolto. Sicuramente, la nuova
presidenza opererà perché tutti i paesi vi aderiscano nel corso dell'anno.Tra le priorità che Kagame intende perseguire c’è quella di
muoversi rapidamente con quelle riforme che possono essere attuate subito, a
partire dalla necessità che l’Africa si presenti con un punto di vista comune,
quando si affaccia sul contesto internazionale, evitando l’attuale confusione.
In passato, il presidente rwandese ha
anche sottolineato la necessità di prevedere un meccanismo che responsabilizzi
i paesi partecipanti nel dare piena attuazione alle decisioni adottate
dall’Unione Africana, particolarmente in materia di finanziamento e di riforme
istituzionali. Il clima favorevole al cambiamento, percepibile nel contesto
africano, dovrebbe favorire un proseguimento spedito sulla strada delle
riforme, quali potrebbero essere la
valorizzazione del ruolo delle comunità
economiche regionali a prendere l'iniziativa sulle questioni regionali,
lasciando che l'Unione Africana si
concentri sulle priorità continentali. Kagame non mancherà di portare nell’istituzione
uno stile di governo mirante all’efficienza nella gestione degli affari e dei lavori comunitari ,
nonché nella selezione del personale preposto. Tenuto conto che da diverse
parti si sottolinea come la segreteria
dell'UA, i vari dipartimenti e uffici siano significativamente sotto organico e manchino
delle competenza necessarie, per
esempio, in materia di commerci.Indubbiamente Kagame, forte del consenso che
gode tra i suoi colleghi e a livello internazionale, non esclusi i rapporti con l'Unione Europea, si proporrà un’agenda
sfidante, come è nello stile del personaggio, così da segnare questa sua
presidenza come quella che ha portato una svolta nel ruolo dell’Unione, nel
segno dell'Agenda 2063, un quadro strategico per la trasformazione socioeconomica
del continente nei prossimi 50 anni, che
prevede, tra gli altri obiettivi, la fine dei conflitti sul continente
entro il 2020. In questo senso Kagame dovrà lavorare a stretto contatto con le
organizzazioni regionali e altri capi di stato per trovare soluzioni
sostenibili ai conflitti attualmente in corso sul continente. Questi vanno
dall'insurrezione di Boko Haram in Nigeria, un conflitto armato senza fine
nella regione del Sudan del Darfur, il conflitto della Repubblica
Centrafricana, violenza nel Sud Sudan; ripetuti attacchi in Kenya del gruppo
terroristico al-Shabab con sede in Somalia, senza dimenticare le attività di
militanti e terroristi islamici nelle regioni del Maghreb e del Sahel del Nord
Africa.Ciò significa che il presidente Kagame dovrà lavorare a stretto contatto
con le organizzazioni regionali e altri capi di stato per trovare soluzioni
sostenibili ai conflitti e prevenire le loro cause. Un’altra sfida che Kagame
metterà sul piatto sarà quella della libera circolazione delle persone all’interno del continente, anche alla luce
dell’esempio del Rwanda, dove da inizio 2018 si può entrare senza la necessità
di avere un visto. Una sfida, quella della libera circolazione delle persone che
dovrà necessariamente declinarsi con i flussi migratori infraafricani, alla
ricerca di opportunità di lavoro e protezione. Ma le sfide più impegnative che
attendono Kagame riguarderanno l’estrema
etereogeneità dei paesi africani così sintetizzata da un esperto:le
economie e le priorità di bilancio sono a diversi livelli, alcuni paesi hanno
addirittura i loro interi bilanci nazionali finanziati dai donatori. Diversi
paesi non hanno pagato le quote associative da anni, altri sono insolventi cronici.
Alcuni sono più fedeli ai loro padroni coloniali e ai loro interessi, piuttosto
che agli interessi dei loro vicini africani .Alcuni paesi dipendono dai paesi
occidentali per la loro difesa e sicurezza. Quindi sarà difficile per Kagame cambiare la mentalità e gli atteggiamenti di tali paesi in favore di una visione continentale, con il
rischio che le ambizioni del continente
siano sacrificate sull’altare degli interessi nazionali.
Ma questo si sa, non è solo un problema dell’Africa.
Ma questo si sa, non è solo un problema dell’Africa.
domenica 7 gennaio 2018
Il Rwanda fa marcia indietro sull'accoglimento di rifugiati espulsi da Israele
Venerdì scorso il Rwanda
ha smentito di aver raggiunto un accordo con Israele per accogliere parte dei 38.000 migranti irregolari, in maggioranza eritrei e sudanesi, che Israele intende espellere dal paese entro la fine di marzo, minacciando in caso contrario di imprigionarli per un periodo indefinito.E' toccato al Segretario di Stato per Affari esteri, Olivier Nduhungirehe, smentire la notizia che circolava da oltre un mese, affermando che "ci sono stati negoziati in passato,
ma non c'è stato alcun accordo. Questa storia di un accordo tra Israele e Rwanda
è una falsa informazione", aggiungendo che queste discussioni avevano avuto
luogo tre anni fa.La smentita giunge a sorpresa dopo che a fine novembre scorso, come riferito in un precedente post, fu il Ministro degli esteri rwandese, Louise Mushikiwabo, a parlare di negoziati in corso da un po' di
tempo tra Rwanda e Israele anche se non avevano
ancora raggiunto una conclusione dichiarando che "abbiamo avuto
discussioni con Israele sulla ricezione di alcuni degli immigrati e richiedenti
asilo provenienti da questa parte dell'Africa che sarebbero disposti a venire in Rwanda e che noi
saremmo disposti ad accoglierli"
sottolineando, peraltro, che " i dettagli circa le modalità di questi trasferimenti
e della accoglienza e conseguente sostentamento non sono però stati ancora conclusi
". Analoga smentita è venuta, giovedì scorso, dall'Uganda che ha negato, attraverso il suo ministro
degli Esteri, Henry Okello Oryem, l'esistenza di un accordo del genere.Non si conoscono, al momento, le reali ragione di una marcia indietro abbastanza sorprendente.